Secondo il Wsj il governo avrebbe avvisato le amministrazioni periferiche di tenersi pronte a un default del colosso immobiliare in agonia da settimane. Un crack avrebbe un effetto a cascata su tutte le piccole banche di territorio finanziatrici dei progetti rimasti invenduti. Ma dal Credit Suisse rassicurano, non c’è un rischio sistemico….
Evergrande, ultimo atto? A meno di 24 ore dalla promessa di ripagare 35 milioni di dollari di interessi sui bond sottoscritti, il gigante dell’immobiliare cinese ormai al collasso sotto i colpi di un’insolvenza da 305 miliardi di riavvicina paurosamente al crack. Una mossa, quella di ieri, dettata più che altro dalla disperazione e con l’obiettivo di placare almeno per poche ore l’ira dei risparmiatori le cui obbligazioni sono ormai ridotte a carta straccia, un po’ come le azioni del gruppo, crollate del 90% in poche settimane.
Ora però il Wall Street Journal ha sganciato la bomba. Le autorità di Pechino, che sembrano essere riluttanti a salvare Evergrande, ad oggi il gruppo cinese più indebitato del Paese e nel mondo per 305 miliardi di dollari, avrebbe chiesto ai funzionari locali in tutto il Paese di prepararsi a una possibile tempesta. In altre parole, di allacciare le cinture perché Evergrande potrebbe fallire.
D’altronde, gli enti locali e le amministrazioni locali sono forse le istituzioni più esposte a un possibile default di Evergrande. Il colosso ha infatti realizzato il grosso delle case, invendute, proprio nelle province della Cina e non certo nelle metropoli, facendosi prestare denaro, oltre che dai risparmiatori sottoscrittori di bond, dalle banche locali per finanziare i progetti. Il fallimento del gruppo avrebbe quasi certamente un effetto a cascata sulle economie locali.
Per questo, racconta il quotidiano americano, le amministrazioni locali sarebbero state incaricate di intervenire per gestire le conseguenze sui territori nel caso in cui Evergrande non riuscisse a superare la notte. E pensare che il presidente e fondatore di Evergrande, Hui Ka Yan, ha assicurato che “l’azienda farà del suo meglio per riprendere lavoro e produzione”. I fatti però raccontano un’altra verità. Per esempio che Chinese Estates Holdings, secondo socio di Evergrande, ha cominciato a vendere le sue azioni, annusando forse l’imminente tracollo.
Oppure che in queste ore scadrà la cedola da 84 milioni di dollari sul debito offshore da 2 miliardi di dollari. La prossima settimana è il turno di un’altra rata da 47,5 milioni. E ad oggi non si vede l’ombra di un rimborso. In tutto ciò prosegue il silenzio assordante di Pechino, che ancora non ha sciolto la riserva sul futuro di Evergrande. nonostante sottotraccia il governo provinciale del GuangDong starebbe lavorando a raggiungere un accordo su come dovrebbe procedere la ristrutturazione gestita.
C’è però chi è ottimista sull’impatto della crisi di Evergrande sulla crescita cinese. Qualcuno come gli analisti di Credit Suisse. “Non vediamo ancora un rischio sistemico per la crescita cinese perché i prezzi degli immobili non sono ancora in calo e poi crediamo che, per ottenere una svalutazione vera, i prezzi degli immobili dovrebbero scendere del 20% o più”. E poi la Cina “se vuole, permettersi di salvare gli sviluppatori stampando denaro. Infine il mercato obbligazionario domestico si mantiene molto bene”. Meglio così.