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Cosa insegna il flop No Vax. Il mosaico di Fusi

I leoni da tastiera che poi diventano (anche fortunatamente…) conigli nei comportamenti continuano ad esercitare un peso tutt’altro che indifferente nell’universo virtuale dei social. Il che determina uno strabismo che diversi leader e varie forze politiche cercano di cavalcare

Il flop delle manifestazioni No Vax con il tentativo di bloccare le stazioni andato fragorosamente a vuoto, ripropone un tema che continua a serpeggiare nel dibattito pubblico con un andamento carsico che non consente di afferrarne in pieno la complessità. Il riferimento è alla enorme capacità di padroneggiare i social anche da parte di minoranze sparute creando una bolla virtuale che sembra così grande da diventare protagonista e anticipatrice di effetti clamorosi, e la distanza che questo mondo ha con la realtà vera, che si dimostra sideralmente lontana dagli effetti temuti, reclamati o superficialmente preventivati.

Sia chiaro: non si tratta di sminuire una questione che ha fortissime implicazioni sociali e politiche come quella delle proteste contro i vaccini. Abbiamo visto che episodi di intolleranza e di violenza, a partire da quelli indirizzati contro giornalisti e cineoperatori, sono purtroppo concreti e pericolosi. L’elemento che però va sottolineato è che si tratta di episodi “fisici”, nei confronti dei quali la condanna politico-sociale nonché istituzionale e il fronteggiamento svolto delle forze dell’ordine è determinante e spesso risolutivo.

Tuttavia non sfugge che i leoni da tastiera che poi diventano (anche fortunatamente…) conigli nei comportamenti continuano ad esercitare un peso tutt’altro che indifferente nell’universo virtuale dei social. Il che determina uno strabismo che diversi leader e varie forze politiche cercano di cavalcare non necessariamente con effetti perversi o anti-sistema.

Basta pensare a ciò che ha rappresentato la comunicazione virtuale nella campagna elettorale di Barak Obama: una carta vincente. Però il punto è proprio questo. Chi immagina di poter arginare o addirittura interrompere la slavina comunicativa provocata dai vari Facebook, Instagram, Twitter e compagnia si getta nelle braccia dei Sisifo. Il problema è come evitare le possibili conseguenze patologiche di un meccanismo che riguarda e coinvolge milioni di persone ed è in mano a soggetti privati che possono gestirli come credono con l’obiettivo di creare profitti e scarsa considerazione per gli effetti collaterali.

Nell’attesa di individuare una strategia efficace e condivisa da parte degli Stati – e sempre che sia obiettivo raggiungibile – è opportuno mettere in guardia da chi nel mondo politico usa con disinvoltura i social come se fossero un mezzo “neutro”. Il rischio è che a qualche livello il piano virtuale è quello reale si sovrappongano, confondendosi e contaminandosi. In altri termini il pericolo è che ci sia chi crede che i like possano infilarsi nei seggi elettorali diventando voti e stabilendo livelli di consenso. Se è così il flop è assicurato ma le scorie che ne derivano contagiano e possono provocare conseguenze di delusione e rabbia.

Che a loro volta minacciano di innescare comportamenti devianti. Il meno che si possa reclamare è che chi maneggia i social e gioca con gli algoritmi che tutto sanno di noi mentre niente noi sappiamolo di loro, usi l’accortezza e il senso di responsabilità necessario per avere in mente e spiegare che i post sono strumenti che vivono sotto il cielo dell’effimero, ancorché espressione di sentimenti e idee tanto legittime quanto irrefrenabili. Ma che il mondo reale, a partire dall’adesione e riconoscimento politico, sono tutt’altra cosa. Forse meno suggestiva o evocativa. Però maggiormente rappresentativa. La politica fatta su e per i social ha i suoi vantaggi. Ciò non toglier sia a rischio astrattezza e affidabilità. La materialità della conquista del consenso è altra cosa, più faticosa e rispettosa di regole e diritti.


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