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Oltre la battaglia, la ripresa passa per Generali e Mediobanca. Parla Messori

L’economista e docente Luiss: presto per dire chi vincerà lo scontro per il controllo del Leone, i due contendenti non hanno ancora scoperto del tutto le carte e rivelato i piani industriali. Una cosa è certa, Generali come Mediobanca sono cuori pulsanti della crescita italiana. La Bce fa bene a scegliere per il soft tapering, anche se…

Se c’era ancora qualche dubbio o perplessità sul fatto che alle Generali fosse in atto uno scontro titanico tra Mediobanca e il blocco Caltagirone-Del Vecchio-Crt, ci si può mettere l’anima in pace. Lo dicono una serie di indizi. Piazzetta Cuccia, tanto per cominciare, ha allungato il passo con una mossa a sorpresa, giovedì scorso, prendendo in prestito il 4,42% dei diritti di voto su Generali e portandosi così al 17,2% e distanziandosi dai soci pattisti, fermi al 12,5% del capitale. Segno che Mediobanca e il suo ceo Alberto Nagel non hanno alcuna intenzione di abdicare, mantenendo ben ferma la barra nel Leone e confermando per il terzo mandato l’ad Philippe Donnet.

Secondo, il board del 27 settembre chiamato ad avviare ufficialmente i lavori per il rinnovo della governance ha confermato i fronti emersi nell’incontro informale del 14 settembre. Nove consiglieri hanno votato a favore della costruzione di una lista con Donnet ceo, gli altri 4 hanno detto no. Sullo sfondo, la famiglia Benetton, azionista al 3,9% delle Generali ma che proprio in queste ore è uscita dal patto di Mediobanca, dichiarando nei fatti la propria neutralità nella battaglia. Alla luce di tutto questo però, rimane un fatto storico e cioè che per la prima volta l’influenza di Mediobanca nella prima compagnia assicurativa italiana è sotto attacco. Formiche.net ne ha parlato con Marcello Messori, economista della Luiss che la finanza italiana e le sue logiche le conosce bene.

Per la prima volta, dopo decenni, l’egemonia di Mediobanca nelle Generali è messa seriamente in discussione: è questa una lettura corretta dell’attuale scontro in atto nella compagnia? 

É indubbio che Mediobanca abbia esercitato, per un lunghissimo periodo di tempo, un controllo di fatto su Generali. E che tale controllo abbia fortemente condizionato sia le strategie della maggiore compagnia italiana di assicurazione sia l’evoluzione della stessa banca milanese. Del resto ancora oggi, nonostante i cambiamenti intervenuti nella sua attività, Mediobanca fonda una quota molto consistente della propria redditività sui cespiti derivanti dalla quota proprietaria di Generali.

Alla fine ci sarà un riassetto nella governance del Leone?

Credo sia difficile prevedere se i recenti cambiamenti nell’azionariato di Mediobanca e di Generali e la connessa spaccatura nel consiglio di amministrazione della compagnia preludano a trasformazioni strutturali nella gestione e nell’attività di due fra i più rilevanti attori finanziari nazionali oppure siano destinati a sfociare in una mera sostituzione di chi detiene le leve del comando nelle due società per obiettivi di breve termine.

Troppo presto per fare previsioni attendibili?

Sì perché per il momento né gli attuali gestori di Mediobanca, né gli attuali gestori di Generali, né i loro azionisti più attivi hanno reso pubblici progetti strategici che chiariscano quale potrebbe o dovrebbe essere il modello di attività delle due società nei mercati finanziari europei del post-pandemia. Al riguardo, mi limito a sottolineare due punti. L’economia italiana potrà ridurre i suoi ritardi rispetto ai Paesi forti dell’euro area e collocarsi su un sentiero di sviluppo sostenibile, solo se saprà avvalersi di mercati finanziari che indirizzino l’ingente ricchezza del Paese verso il sostegno di una radicale riorganizzazione delle imprese industriali. E al riguardo è essenziale che, insieme ad altri rilevanti gruppi finanziari italiani ed europei, Mediobanca e Generali svolgano ruoli attivi.

Generali, Mps e poi chissà. La finanza italiana vive una stagione di fermento. Siamo dinnanzi a un riassetto generalizzato o è solo normale congiuntura?

Oggi è urgente superare, nei modi meno inefficienti sotto il profilo economico e meno inefficaci sotto il profilo sociale, i casi critici che sono ancora presenti nel settore bancario italiano. Tali casi fungono, infatti, da grave ostacolo per quel riassetto dei nostri mercati finanziari che, come ho appena cercato di dire, rappresenta un ingrediente fondamentale del futuro progresso del nostro Paese.

Quali sono gli errori commessi fino ad oggi, che hanno portato alla formazione di questi ostacoli nella finanza italiana?

Fino a oggi, l’attenzione degli operatori si è concentrata sulla possibilità o meno di costruire un terzo polo bancario, capace di competere nelle attività tradizionali con Intesa San Paolo e con Unicredit, pronta a incorporare Mps o qualche altra banca di medie dimensioni. Credo che, se alziamo gli occhi verso il resto del settore finanziario e se prendiamo sul serio le potenzialità evolutive di Mediobanca e Generali, si debba essere più ambiziosi prefigurando anche modelli innovativi di attività finanziaria. Senza ovviamente dimenticare che il mercato finanziario italiano è destinato a essere una mera sezione del più ampio mercato finanziario europeo, pur se ancora in costruzione.

Andiamo in Europa. La Bce continua a respingere l’idea di un tapering puro, rallentando tuttavia gli acquisti di titoli. Un disimpegno morbido, senza strappi. Ricetta giusta?

Le autorità europee devono perseguire un’appropriata combinazione fra una politica fiscale centralizzata ed espansiva – specie grazie al Next Generation Eu e ai suoi futuri sviluppi – politiche fiscali nazionali sostenibili sia sotto il profilo della crescita macroeconomica che della loro sostenibilità di lungo periodo, e una politica monetaria in grado di evitare il futuro spettro della stagflazione. Questo policy mix è un tassello cruciale per creare quegli spazi di sviluppo nell’euro area, di cui abbiamo prima discusso.

Dunque? Francoforte è sulla buona strada?

In tale prospettiva, credo che le scelte adombrate dalla Bce siano appropriate. Però è necessario sottolineare che si tratta di scelte che vanno combinate con l’evoluzione della politica fiscale. Il graduale rientro della Bce dalle politiche monetarie di emergenza, realizzate da marzo 2020, e il futuro rallentamento delle politiche non convenzionali, attuate dall’inizio del 2015, possono inserirsi in un solco senza strappi solo se saranno complementari rispetto a un irrobustimento delle politiche fiscali europee centralizzate.

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