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In Germania il banco ha vinto tutto. Politi sul dopo-Merkel

Il direttore della Nato Defense College Foundation: dovevano essere le elezioni contro l’establishment, ma l’establishment è il vero vincitore. La Cdu non ne esce malissimo, nonostante i danni di Laschet

Ha vinto l’establishment contro gli sfidanti, il trasversalismo pragmatico figlio della proverbiale stabilità tedesca va oltre partiti e leaders.

Lo dice a Formiche.net Alessandro Politi, Direttore della Nato Defense College Foundation, proprio in questi giorni in libreria con “Goodbye, Merkel. Perché per sedici anni ha comandato lei” (Edizioni del Capricorno), scritto con Letizia Tortello. Politi analizza a 360 gradi le elezioni in Germania che hanno fatto segnare un distacco lieve tra Spd (25,7) e Cdu (24,1). I socialdemocratici hanno vinto di poco e sono in corso negoziati di coalizione. “In fin dei conti la Cdu è scesa meno del previsto – osserva – è una vittoria di Pirro”.

Non un tracollo per la Cdu? Poteva andare peggio?

Ha perso 9 punti, con la zavorra di Laschet. In fin dei conti non una tragedia. Certo, il pragmatismo di Merkel, così come quello di Cavour, magari non era bello da vedere, ma molto efficace nell’affrontare i problemi. Oggi spesso sappiamo solo posticipare le soluzioni.

La AfD si conferma al 10%: solo voto di protesta?

Qualcuno accosta il risultato alle sue posizioni no-vax: ma i dati ufficiali li avremo a metà ottobre. La protesta è un sintomo da non sottovalutare, poi però ha bisogno di affermarsi con delle vere alternative.

La vittoria della Spd è più una sorpresa o la conferma che la proverbiale stabilità tedesca va oltre partiti e leader?

La proverbiale stabilità tedesca va oltre i partiti, non c’è dubbio. Se queste elezioni dovevano lanciare una sfida all’establishment, allora ha vinto l’establishment: numeri dei seggi alla mano, 467 sono andati ai tre soliti partiti contro i 255 di tutti gli altri, Verdi inclusi. È sempre il solito spettro politico ed è l’unica cosa che conta. Una coalizione “Germania” è fattibile, ma si sapeva già prima della chiusura delle urne. A meno che la Spd non voglia intraprendere una strada del tutto nuova.

Coinvolgendo i Verdi?

Anche i liberali, che sono un pezzo di establishment indispensabile. Vedremo dove arriveranno. Gli americani pensano che chi non è establishment è anche un antiamericano: non è vero. Pensiamo un attimo a cosa sia un partito di establishment: chi mantiene il sistema della globalizzazione attuale con gli opportuni correttivi. Il contestatore invece è chi lo vuole smontare. Questo è il discrimine delle forze politiche. Ricordiamo che non fu Catilina a cambiare la Repubblica Romana, ma Cesare. Tutti si rendono conto che la democrazia, così com’è, è stata svuotata dalla globalizzazione. È chiaro poi che, guardando alle alternative tra Est e Sud-Est Europa, meglio tenersi questa democrazia, almeno per ora. Si pensi che noi italiani abbiamo sottoposto, più di altri, il nostro sistema a continui stress test dal 1989 ad oggi. E non troviamo ancora pace, così come non la trovavano i Comuni italiani nel ‘200. Un chiaro sintomo di crisi.

Scholz e Laschet sono leader diversi. Ha pesato più la volontà di cambiare partito ma senza cambiare policies, oppure la differenza oggettiva tra Laschet e Merkel?

I tedeschi sono consapevoli che i pacchetti di voti, alla fine, contano. Ma i partiti hanno mantenuto ancora una forza territoriale e non si sono fatti superare dal cosiddetto “partito leggero” , modello preso ad esempio da qualcuno in Italia. Nel mio libro sull’era Merkel spiego come dietro i successi internazionali della Cancelliera ci sia un ferreo controllo del partito.

Il nuovo ministro dell’economia tedesco crede che, dopo la parentesi legata alla pandemia, tornerà alla carica con la politica del rigore tanto caro ai tedeschi?

È difficile dirlo, molto dipenderà anche da chi ricoprirà quel ruolo. La Merkel ha incarnato profondamente un realismo politico, sia di ciò che è possibile ottenere sia di ciò che non lo è. Ad esempio, era assolutamente a favore di quote di migranti distribuite fra stati membri, ma ha dovuto rinunciarvi. Così come la cancelliera, sia con lotte che con intese insieme a Draghi, ha capito che non è possibile mantenere l’euro nelle condizioni attuali. Anche i cinesi glielo avevano fatto intendere, quando ancora si pensava che i greci potesso fare default e uscire dalla moneta unica.

Come finì?

Gli imprenditori di Pechino a quel punto avevano minacciato di non acquistare più bond. Esiste un problema di percezione da parte di un investitore di quanto sia solida una politica. Di contro, il fatto che in passato la cancelliera sia scesa a più miti consigli, non esclude che da domani possa tornare in auge il dibattito fra cicale e formiche. È probabile che ci sia un altro round, Merkel ha impostato una realtà molto solida: però i tedeschi dovrebbero capire che non possono avere un euro a loro immagine e somiglianza, senza un beneficio davvero collettivo per tutti i membri, accanto ad una stabilità condivisa.

La frase di Draghi, “è il momento di dare e non di prendere”, come verrà pesata dal nuovo cancelliere? E come tale tema impatterà tanto a Berlino quanto a Bruxelles?

È interessante quella frase pronunciata dal nostro premier. Lui è un finanziere che forse per la prima volta nella sua vita ha visto, sia pure nella bolla di Palazzo Chigi, gli effetti concreti delle misure finaziarie proiettate su un Paese. “È il momento di dare” nella sua impostazione credo voglia significare che bisogna andare incontro alla gente che non ne può più. Quindi bisogna quantomeno attenuare l’impatto delle disparità. La Germania ha costruito un invidiabile avanzo commerciale, adesso il nodo non è tanto come mantenerlo, anche se mercati come Russia e Cina hanno i loro problemi. Il primo problema per Berlino credo sarà come gestire le relazioni con quei due mercati. Mi chiedo al contempo a cosa serva l’avanzo tedesco: non basta solo per la pace sociale in Germania, serve a far sì che un’Europa faccia squadra in modo convinto.

@FDepalo


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