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Col voto tedesco, Europa e Italia si giocano molto più dell’austerity. Parla Codogno (Lse)

Intervista al docente della London School of Economics ed ex capo economista del Mef. Più che un ritorno o meno al rigore stile Maastricht, l’esito del voto tedesco può sancire un’accelerazione o lo stop all’integrazione fiscale europea, in parte già avviata con il Recovery Fund. L’obiettivo è la creazione di un debito comunitario il più sicuro possibile. La Bce? Il tapering ci sarà, ma soft, l’Italia stia attenta a non farsi sorprendere

La Germania, l’Europa, l’Italia. C’è un unico filo rosso che unisce tre contesti mai cosi vicini come ai tempi della grande pandemia. Mancano meno di tre settimane a uno degli appuntamenti più importanti dell’anno, le elezioni per la cancelleria tedesca, dopo 16 anni di regno incontrastato sulla Germania e sull’Europa di Angela Merkel.

Dalla sfida tra Armin LaschetAnnalena Baerbock e Olaf Scholz del prossimo 26 settembre, chiunque sia il vincitore, l’Europa e l’Italia possono guadagnarci o perderci. Ma non è solo una questione di conti pubblici. Sì, Berlino, volenti o nolenti, deciderà la postura dell’Europa sui debiti sovrani per gli anni a venire, come è d’altronde è sempre stato. E con un debito a ridosso del 160% del Pil e lo spettro di un ritorno del Patto di Stabilità, per l’Italia l’orientamento della Germania sarà decisivo. Ma in ballo c’è qualcosa di più, quella integrazione europea sancita in parte dal Recovery Fund. Questa è la vera posta in gioco. Formiche.net ne ha parlato con Lorenzo Codogno, economista della London School of Economics con un passato ai vertici del Tesoro italiano.

Tra poche settimane la Germania avrà un nuovo governo, dal quale dipenderà la postura prima tedesca e poi europea verso i conti pubblici dei Paesi i cui deficit sono esplosi con la pandemia. Cosa cambierà per l’Italia?

La Germania è il principale Paese dell’Unione Europea e dell’Eurozona. E quindi é ovvio che se dopo 16 anni di guida Merkel ci sarà un cambiamento significativo questo può avere ripercussioni per tutti i Paesi e per il processo di integrazione europea. Penso che sarà importante non tanto per l’applicazione più o meno rigorosa delle regole europee, in realtà affidata alla Commissione, o per una loro revisione – attesa, ma che per il momento è in sospeso – ma per il futuro dell’Europa.

Che cosa intende dire?

Penso che un cambiamento in Germania possa essere importante per la costituzione di una capacità fiscale centralizzata a livello europeo, un budget per l’intera Unione Europea, di fatto consolidando i passi in avanti fatti con lo schema temporaneo di Next Generation Eu.

Però c’è di mezzo l’emissione di debito comunitario, i famosi eurobond. I tedeschi per anni sono stati d’accordo…

Certamente questo ovviamente implica anche un uso diverso dei bond emessi dalla Commissione Europea, per farli diventare dei safe assets, strumenti sicuri che preservino valore e che sostengano una parte importante delle necessità finanziarie degli Stati europei. Su questo, i partiti in Germania hanno idee molto diverse. L’Italia dovrà comunque tornare alla disciplina fiscale con gradualità non appena l’emergenza sarà finita.

In realtà ci sono alcuni Paesi, tra cui l’Austria, che sognano un ritorno del Patto di Stabilità nella sua applicazione più letterale. Quale il peso specifico del voto tedesco su un possibile ritorno al passato dell’Ue in materia di rigore sui conti?

Come ho appena detto, le novità potrebbe arrivare sulla politica fiscale comune e non solo sulle regole di bilancio. Il prossimo governo tedesco sarà quasi sicuramente un governo di coalizione. Questo significa che le varie anime della Germania dovranno trovare un punto di caduta condiviso, che probabilmente non sarà molto distante da quello attuale.

Proviamo a tracciare degli scenari…

La Spd, guidata da Olaf Scholz, ha un approccio molto simile all’attuale governo in materia di regole fiscali, ma potrebbe essere più coraggiosa nell’intraprendere nuove strade verso l’integrazione europea. I verdi sono quelli che più si spingerebbero verso una capacità fiscale dell’Unione Europee con safe assets emessi centralmente, ma con ogni probabilità dovranno vivere in coabitazione con altri e il Ministero delle Finanze non spetterebbe a loro. Non si tratta di rigore o meno. Il vero nodo è se il governo tedesco sosterrà un percorso più accelerato di integrazione europea, con un coordinamento più stretto delle politiche fiscali a livello europeo.

Vale la pena sperare…

Questo è un percorso difficilissimo per la Germania, perché probabilmente richiederebbe dei cambiamenti a livello costituzionale.

La Bce sembra aver piano piano avviato il disimpegno dagli stimoli monetari, nonostante un sostegno all’economia ancora robusto. Possiamo immaginare nel breve termine un tapering formato Ue?

La Bce sta per iniziare un percorso di normalizzazione della politica monetaria, ma sarà un percorso molto lento e graduale che si dispiegherà nei prossimi anni. Sarà inoltre modulato a seconda delle iniziative e della posizione complessiva adottata dalla politica fiscale negli stati europei e dall’Eurozona nel suo complesso. Anche se non verrà chiamato con quel nome e se non verrà indicato come un cambiamento della posizione di politica monetaria, la riduzione nell’acquisto di titoli del programma temporaneo Pepp di contrasto agli effetti della pandemica, di fatto sarà già un tapering.

Allora un tapering ma soft, insomma…

Sì. Ci vorrà tuttavia sino a fine 2023 per arrivare all’esaurimento degli acquisti netti di titoli, e probabilmente all’inizio del 2024 per la prima mossa restrittiva sui tassi di interesse. Quindi un percorso molto lungo a graduale.

E l’Italia? Come si dovrebbe regolare?

L’Italia dovrebbe programmare sin da ora una fase meno favorevole sui tassi di interesse e rimettere in equilibrio i conti pubblici prima che questa fase inizi. In questo senso, il programma europeo Next Generation Eu sarà in grado di compensare un necessario ridimensionamento della spesa pubblica dopo la risposta alla pandemia. In sostanza, l’Italia dovrà iniziare un percorso di riduzione del rapporto debito/Pil prima che vi sia una svolta significativa nella politica monetaria.


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