Il ruolo dell’individuo nella cronaca, nella letteratura e nei fatti storici: politica, stampa e letteratura a confronto nell’analisi di Claudio Mattia Serafin
La narrazione biografica costituisce un importante esempio di genere letterario, che affonda le proprie radici nella sociologia, nella politica e nell’antropologia; in punto di definizione, la biografia può essere definita come il resoconto di fatti collegati alla vita di un personaggio illustre, con l’analisi e l’interpretazione della sua attività.
Oggi molti esponenti della politica anche internazionale (si pensi ai soli Joe Biden e Kamala Harris), dell’imprenditoria e della stampa (in questi giorni Oscar Farinetti e Aldo Cazzullo con le opere destinate alle italiane illustri e a Dante, per ora con Inferno e Purgatorio) o della cultura (lo stesso Woody Allen, fino agli italiani Giulio Della Vite o Paolo Nori, il cui ultimo libro è una ricerca sulla vita dell’autore russo Fëdor M. Dostoevskij) ricorrono a tale mezzo divulgativo per spiegare le proprie ragioni e per avere una sorta di documento alla mano: un manifesto che metta nero su bianco le proprie motivazioni programmatiche oppure di ricerca.
Lo scopo della Harris (in Italia con La nave di Teseo) ha peraltro radici molto antiche, proprio perché nelle sue politiche ella si dichiara evidentemente vicina alle sensibilità degli ultimi, dei dimenticati, di coloro che sono stati lasciati indietro, e ciò ha un evidente collegamento con il motto “E pluribus unum”, sì statunitense ma di fatto virgiliano, perché richiama la pietas ben descritta nell’Eneide, che vede protagonisti alcuni eroici fondatori di una nuova civiltà (Roma e la penisola italica), dopo aver subito una grave sconfitta (la guerra di Troia).
Non a caso, molte di queste narrazioni promanano da voci che appartengono al mondo del giornalismo o delle relazioni pubbliche; finanche le voci letterarie seguono questa impostazione.
Lo spiegano molto bene Chuck Palahniuk, Bret Easton Ellis e tutti gli scrittori che provengono da quel mondo, contrapponendo quest’ultimo a quello dell’accademia e delle scuole letterarie, più sofisticate (“spettacolari”, le definisce Palahniuk in Tieni presente che, Mondadori, 2020), eppure artificiose e distanti dalla sensibilità del tessuto sociale.
Di diverso avviso invece è l’autore, da poco scomparso, Antonio Pennacchi, che pur nel suo vero pragmatismo ritiene la letteratura qualcosa di emotivo e creativo rispetto al dovere di cronaca, ambiti dunque che a suo avviso dovrebbero rimanere separati.
Il dato certo è ausiliare, tuttavia molto importante nella vita dei consociati: si esamini il motivo. È vero che ognuno ha accesso alla libera fonte della speculazione e della fantasia, ma vi sono poi pericolosi terreni di mezzo dove tale fonte può diventare arbitraria e incontrollata. Per questo un buon atteggiamento nei confronti invece dell’accaduto, della tradizione, della Storia (inutile parlare di memoria, perché ne abbiamo tutti ben poca, essendo esseri umani e non software) e dei fatti accaduti nelle vite di ognuno è sicuramente il contraltare all’accennato uso della fantasia.
Da un punto di vista storico, è proprio nel mondo antico, e in specie in quello ellenistico, che nasce l’interesse acuto per l’individuo, al fine di proporre un “modello” da imitare; anche con la letteratura romana si parla di viri illustres, uomini illustri per meriti politici e civili. Si leggono queste storie in Tacito, Svetonio, nel greco Plutarco con le Vite parallele; e via dicendo anche con la letteratura cristiana, le vite dei santi, di coloro che hanno dato l’esempio in vita. C’è un antico vocabolo, oggi non comune, il verbo biografare, che appunto indica l’attività di rendicontare una vita; lo stesso umanista Luciano Canfora ha dedicato in egual misura attenzione a personaggi della classicità oppure a partiti politici di matrice riformista, tramite intense monografie tematiche.
Venendo alla contemporaneità, Ray Bradbury parla di estate incantata e di addio all’estate, di fatti biografici attribuiti a un certo Douglas, che in realtà è lo stesso Bradbury; e via così con Céline, Hemingway e altri.
Il genere biografico è nobile e importante per una serie di ragioni: anzitutto costituisce l’attaccamento al dato reale, all’informazione certa, di cui ora c’è più bisogno che mai (si vedano gli innumerevoli riferimenti alla disinformazione, più che al fumoso concetto di fake news).
Scopo della biografia è questo, passando poi a un ulteriore, complementare aspetto dato dalla comprensione del tessuto sociale, ovverosia come e dove si muove il protagonista – realmente esistito – della narrazione. È difficile, infatti, disgiungere questo genere di trattazioni dalle attività svolte in vita da parte del soggetto preso in esame, e questa è anche la tendenza contemporanea, sorta in età illuministica: spiegare la vita in combinato disposto con il contesto circostante e le opere prodotte.