Lorenzo Guerini torna in visita ufficiale negli Stati Uniti dopo la trasferta di gennaio 2020. Domani sarà il primo collega straniero a essere ricevuto da Lloyd Austin al Pentagono dopo la crisi afghana. In agenda gli scenari di comune interesse (Mediterraneo compreso), il futuro della Nato e la collaborazione industriale
Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini è in partenza per gli Stati Uniti. Direzione Pentagono, dove domani sarà ricevuto dal segretario alla Difesa Lloyd Austin. L’attualità impone al primo punto dell’agenda la crisi in Afghanistan, per cui Italia e Stati Uniti hanno mantenuto uno stretto coordinamento anche nelle fasi più delicate all’aeroporto di Kabul. Su questo, Guerini e Austin si sono già scambiati messaggi incrociati, ribandendo la solidità dei rapporti tra i due Paesi nel campo della Difesa. La convinta adesione alla Nato, i programmi industriali e la presenza delle truppe Usa nella Penisola corredano un rapporto basato sulla condivisione dei valori transatlantici.
Tutto sarà ribadito al vertice di domani, in un momento di potenziale protagonismo per l’Italia sulla scena internazionale, favorito dalla presidenza del G20, nell’ambito della quale il governo di Mario Draghi lavora per un vertice straordinario dedicato proprio all’Afghanistan.
L’ultima visita di Guerini a Washington risale al gennaio del 2020. Nei mesi scorsi, tra vertici Nato e colloqui ufficiali, i contatti con Austin sono stati numerosi. Lato americano, il viaggio del titolare di palazzo Baracchini chiude i bilaterali del segretario alla Difesa con i colleghi dei maggiori Paesi europei. Tra giugno e luglio, in poco più di due settimane, al Pentagono sono arrivati Annegret Kramp-Karrenbauer, Florence Parly e Ben Wallace, titolari dei dicasteri di Germania, Francia e Regno Unito. La linea è quella di Biden, “America is back”, con il rilancio dell’azione diplomatica al cui servizio si è messa la postura militare guidata da Austin.
Dopo le difficoltà Trump-Merkel, con la Germania il clima è tornato sereno. Anche con la Francia si registrano un momento positivo sul lato della Difesa: nonostante alcune tradizionali divergenze strategiche (vedasi il concetto di “autonomia strategica europea”), a Washington piace l’attivismo francese nel Sahel. Più solida è sempre sembrata la sponda inglese per gli Usa. Austin e Wallace si erano già incontrati faccia-a-faccia ad aprile, a Londra, a poche settimane dalla presentazione della Global Britain e della “Defense in a competitive age”. Nel documento il Regno Unito ha rilanciato la partnership strategica con gli Stati Uniti, condividendo le preoccupazioni per la Russia e il focus sull’Indo-pacifico, lì dove Washington sta chiedendo agli alleati supporto nel contenimento dell’ascesa cinese. Eppure, a fine luglio, qualche divergenza sul tema è emersa. Proprio mentre il gruppo navale guidato dalla portaerei Queen Elizabeth attraversava lo stretto di Malacca, Austin chiariva la richiesta Usa agli alleati europei: disponibilità per sortite sull’Indo-Pacifico, ma orientamento strategico nelle aree geografiche di competenza, in particolare Africa, Medio Oriente e Golfo.
In tal senso gli Stati Uniti hanno già offerto sponda importante all’attivismo italiano nel “Mediterraneo allargato”, area di prioritario interesse per la nostra Difesa. Emblematico il caso dell’Iraq, dove l’Italia assumerà il prossimo anno il comando della missione Nato, potenziata in corrispondenza della volontà americana di ridurre l’impegno nel Paese. Tale prospettiva è stata ulteriormente ribadita lo scorso giugno, quando il segretario di Stato Tony Blinken e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio hanno co-presieduto a Roma la Coalizione globale anti-Daesh.
Il tema si lega al dibattito in seno alla Nato, che nel summit dello scorso giugno ha dato il via al processo che redigerà il nuovo Concetto strategico dell’Alleanza. Parte dall’agenda Nato2030 del segretario generale Jens Stoltenberg, un dibattito che ha visto l’Italia particolarmente attiva, anche nel tentativo di rafforzare la richiesta per una maggiore attenzione al fronte sud. Pochi giorni fa, Guerini ha ribadito come la “lezione afghana” debba inserirsi nel processo di riflessione strategica dell’Alleanza, tema che sarà sicuramente toccato nel bilaterale con Austin. Sul punto l’Italia può vantare il peso attuale nel dibattito interno all’Unione europea.
Mentre in Germania si avvicina la fine dell’era di Angela Merkel e la Francia di Emmanuel Macron è impegnata sulla prossima tornata elettorale, anche agli occhi di Washington la leadership europea dei prossimi anni è nelle mani di Draghi. Ciò può valere pure per la Difesa europea, nei mesi più rilevanti per la definizione dello “Strategic compass”, l’atteso documento che dovrà dare omogeneità alle varie iniziative dell’Ue, tra Pesco e fondo Edf. Oggi, prima di partire per Washington, Guerini è a Lubiana per una riunione informale con i colleghi dell’Ue (qui i dettagli).
L’Italia ha sempre difeso l’idea di un progetto aperto all’alleanza con gli Stati Uniti, sia sul fronte strategico, sia su quello industriale. Alla base c’è il noto dibattito sul concetto di “autonomia strategica” del Vecchio continente. Il nostro Paese (Guerini lo ha ribadito più volte) non accetta l’interpretazione più radicale del concetto, inteso come indipendenza dagli Stati Uniti. Al contrario, autonomia strategica significa rafforzamento del pilastro europeo dell’Alleanza Atlantica, e questo piace anche a Washington.
A condire il tutto ci sono i temi industriali. I rapporti sul campo sono ben consolidati, come dimostra la solida presenza negli Usa dei campioni italiani, Leonardo e Fincantieri. Tra i programmi congiunti ci sono l’F-35 (recente la campagna Usa della portaerei Cavour), la collaborazione tra Boeing e Leonardo per gli elicotteri MH-139 destinati alla US Air Force e quella tra Lockheed Martin e Fincantieri sulle unità Lcs.
Ma nell’agenda congiunta ci sono anche i futuri progetti “trasformazionali”, ad esempio nel campo dell’elicotteristica, con l’Italia che ha già mostrato interesse per il campo del Future Vertical Lift. Nel complesso, si tratta di abbracciare la logica del “multi-dominio”, alimentata dalle nuove tecnologie e dai domini cyber e spaziale. Gli Stati Uniti guidano lo sforzo teorico sul campo, ma anche l’Italia si sta muovendo in tale direzione.