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Il dopo Merkel? Senza scossoni. Il realismo di Valensise

L’ex ambasciatore d’Italia a Berlino: “Soeder? Al di là del suo dinamismo e del suo seguito, non è il candidato, e sconta questa posizione. La stragrande maggioranza dello spettro politico tedesco si riconosce in pieno negli obiettivi dell’integrazione europea e del consolidamento del rapporto transatlantico”

Michele Valensise, Presidente del Centro italo-tedesco Villa Vigoni, già Segretario Generale della Farnesina e ambasciatore a Berlino, non ha dubbi: quale che sarà l’esito delle elezioni politiche in Germania, lo spettro parlamentare tedesco non muterà postura sull’europeismo e sull’alleanza transatlantica.

Alla conferenza del partito nel fine settimana, Markus Söder sarà rieletto presidente della CSU. Il suo segretario generale Markus Blume lo considera il miglior candidato alla cancelleria. Cosa ha più di Armin Laschet?

Ha qualcosa di meno, in quanto non è il candidato cancelliere. Quindi, al di là del suo dinamismo e del suo seguito, sconta una posizione difficile da modificare a questo punto della campagna elettorale. Deve fare buon viso a cattivo gioco e, a fronte della apparente debolezza di Laschet, deve sostenerlo fino in fondo.

Quali fattori hanno influito nel calo di consensi dei due maggiori partiti?

Non sono i due maggiori partiti, si tratta di tratta di un fenomeno che riguarda soprattutto la Cdu/Csu, causato da tre elementi: qualche incertezza programmatica rispetto agli altri, un’obiettiva debolezza del candidato prescelto, con una scarsa presa sull’elettorato. Infine un troppo tiepido sostegno iniziale da parte della Cancelliera Merkel.

La carenza di leadership, vista la differenza tra Merkel e i politici di oggi, quanto inciderà?

E’ naturale che sia così: il confronto tra un entrante e un’uscente, come l’attuale, che ha governato il paese per 16 anni è poco equilibrato. Ma credo sia un fatto che non riguarda solo la persona di Armin Laschet.

Molti temi di politica nazionale e internazionale non cambieranno: dunque la partita per le urne tedesche si gioca sostanzialmente solo sui nuovi leader, visto che la postura di Berlino resterà la stessa?

La grande maggioranza dello spettro politico tedesco, dai liberali alla Spd, escludendo cioè AfD e Linke, si riconosce in pieno negli obiettivi dell’integrazione europea e del consolidamento del rapporto transatlantico, anche in questa fase così incerta.

I Verdi, al di là del loro apporto programmatico, potranno riuscire anche a drenare il voto dei più giovani?

Sono due elementi importanti: sia puntare all’elettorato più giovane, sia rivolgere l’attenzione ai programmi cosiddetti green, legati alla sostenibilità ambientale. Se, come è probabile, i Verdi in una o altra formula entreranno a far parte del governo è indubbio che, forti del peso elettorale accresciuto, vorranno far valere alcune loro priorità programmatiche. Me lo aspetto.

Esce di scena la protagonista incontrastata di dinamiche e crisi non solo continentali: a livello europeo quale riverbero si avrà dalle elezioni tedesche?

L’orientamento pro-europeo della maggior parte delle forze politiche tedesche e della pubblica opinione non muterà. Non prevedo grandi scostamenti rispetto alle politiche viste fino ad ora, anzi mi auguro che ve ne siano di più incisive e ancora più ispirate all’ultimo periodo di Merkel. Ovvero una più pronunciata solidarietà nei confronti degli partner europei, sulla scia dell’adesione e del sostegno al Recovery Plan.

Quindi nessun contraccolpo neanche sulla diarchia Berlino-Parigi?

Il rapporto franco-tedesco in Europa, come sappiamo, è un elemento storico, da Adenauer e De Gaulle. In parte prescinde dalle personalità alla guida dei due Paesi: è un dato di fatto. Ora è importante verificare che non sia un rapporto escludente, ovvero qualcosa da cui altri paesi, in primis l’Italia, siano tagliati fuori. Varie indicazioni ci confermano che da parte di Germania e Francia non vi sia una conventio ad exludendum. Ma sta a noi, naturalmente, riempire di contenuti utili questa disponibilità a lavorare assieme.


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