Il punto con il politologo Marco Tarchi (Unifi) sulle due anime che caratterizzano il Carroccio. “Zaia, Giorgetti e soci attraggono nelle tradizionali zone della Lega, ma da Bologna in giù è difficile immaginare che possa riconquistare le posizioni perdute negli ultimi due anni senza far ricorso ai temi populisti”
E’ un po’ come un giano bifronte. La Lega, in questo momento storico, appare agli occhi degli osservatori un’entità politica sempre più bipolare. Da una parte quella governista che, sotto la guida del ministro Giancarlo Giorgetti si allinea alle posizioni di Mario Draghi e dell’agenda governativa. L’altra è la frangia più apertamente ostile alla vaccinazione, al green pass. In sostanza alla linea di Palazzo Chigi. Ma qual è il volto prevalente della Lega? Quella dei governatori o quella degli oltranzisti? E’ uno fra i quesiti che abbiamo posto a Marco Tarchi, politologo e professore ordinario facoltà di Scienze Politiche all’Università di Firenze.
Ormai è sempre più evidente che esistano due tipi di Lega. Una governista e una più barricadera. Lo squarcio si è concretizzato, ancor di più, sulla questione green pass. Come far coesistere le due anime in questa fase?
Di posizioni diverse e per certi versi perfino contrastanti, nella Lega, ce ne sono sempre state. È uno dei motivi che hanno causato, in passato, una sequela di espulsioni e abbandoni. All’inizio il maggiore punto di contrasto era legato alle questioni di definizione del progetto complessivo del movimento – federalismo, secessionismo, indipendentismo, espansione o no sotto la linea del Po e così via –, poi si è passati alla questione della collocazione sullo scacchiere politico – da soli, con il centrosinistra, con il centrodestra – per approdare alla disputa fra radicali e moderati in merito alle prospettive di partecipazione al governo, sia locale che nazionale.
Il tentativo di una sterzata verso la “normalizzazione” si è concretizzato nel passaggio alla segreteria Maroni, che aveva condotto ai peggiori risultati elettorali. Fallita quella via, è stata la volta del populismo radicale e nazionale di Salvini. Quando, dopo il successo delle europee del 2019, i tentativi di spallata in Emilia-Romagna e in Toscana non sono andati a buon fine, la tentazione moderata e di convergenza al centrodestra ha inevitabilmente ripreso fiato, incarnandosi in Giorgetti, che ha dalla sua il favore dei media e di ambienti politici ed economici che contano molto. E Salvini si è sforzato di fare buon viso a cattivo gioco.
Non penso che questo equilibrio durerà in eterno, ma per adesso è interesse di entrambe le parti proseguire nella partecipazione al governo Draghi. Almeno fino a nuove elezioni. Ma si pone, in prospettiva, un interrogativo non facile da risolvere: puntare su un rapporto più stretto con ciò che resta di Forza Italia o stringere una vera alleanza con Fratelli d’Italia? Tenere i piedi in due staffe potrebbe essere pericoloso e controproducente.
Chi rappresenta, in questo contesto, la vera anima del Carroccio?
La Lega è, da sempre, un partito populista e a guida carismatica. Bossi ne ha però fatto le fortune saldando la protesta anti-establishment al ruolo di tutela dei ceti produttivi del Nord, del “popolo delle partite Iva” e anche di una parte del ceto operaio di regioni colpite dagli effetti perniciosi della globalizzazione, in primis la delocalizzazione delle fabbriche. Salvini, puntando sull’opposizione ai flussi migratori e sulla lotta alla sensazione di insicurezza, era riuscito ad aumentare, di molto, il consenso nell’elettorato populista senza perdere gran parte di quello più moderato, ma con la fine del governo giallo-verde la prima componente si è quasi liquefatta. E la questione della “vera” identità leghista si ripropone.
L’elettorato, a chi guarda con maggior affezione, alla Lega di Salvini o a quella dei Governatori?
Dipende dalla collocazione geografica. Nelle tradizionali zone di insediamento, il profilo istituzionale di Zaia, Giorgetti e soci può esercitare più attrattiva, ma da Bologna in giù è difficile immaginare che la Lega possa riconquistare le posizioni perdute negli ultimi due anni senza far ricorso alle tematiche populiste – che peraltro stanno gradualmente spostando una buona parte dei suoi elettori “di protesta” verso Fratelli d’Italia.
Sul caso Lamorgese, traballerà la maggioranza? Il centrodestra otterrà le dimissioni del ministro?
Se, come credo, la Lega intende continuare a sostenere l’attuale esecutivo, non penso che la sua pressione su questo versante possa spingersi oltre una disfida verbale. Draghi tiene molto a mostrare il lato decisionista e irremovibile della sua personalità, e non penso che accetterebbe di dare l’impressione di piegarsi ad un diktat di Salvini.
La spaccatura con la triade Borghi, Bagnai e Rinaldi è sanabile?
Non è facile dirlo, perché in questo caso, al di là della solidità delle convinzioni che gli esponenti citati da tempo sostengono, contano sicuramente anche aspetti che riguardano i loro caratteri. E nessuno dei tre sembra essere portato a mediazioni o ammorbidimenti. Tuttavia, uno strappo di questa natura, se da un lato gioverebbe alla strategia crescita della “rispettabilità” della Lega messa in atto da Giorgetti, dall’altro mostrerebbe una lacerazione che gli elettori potrebbero non gradire.