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Censura via software, la Lituania consiglia di buttare via i telefoni cinesi

Di Otto Lanzavecchia e Emanuele Rossi

Secondo la Difesa lituana i popolarissimi cellulari Xiaomi possono censurare slogan invisi a Pechino – anche in Europa. È l’ultimo sviluppo del botta e risposta tra Cina e Lituania, come anche della saga globale per il controllo della transizione digitale

L’ente statale lituano per la sicurezza informatica ha dichiarato che i telefoni venduti dalla cinese Xiaomi hanno la capacità integrata di rilevare e censurare termini come “Free Tibet”, “Long live Taiwan independence” oppure “democracy movement”.

Il ministero della Difesa di Vilnius ha detto ai consumatori di non acquistare più prodotti cinesi e di “buttare via” quelli che già hanno perché all’interno ci sarebbe un software-censura. Secondo l’ente per la cibersicurezza questo software sarebbe stato spento nel modello Mi 10T 5G destinato alla “regione Ue”, ma potrebbe essere riattivato in qualsiasi momento da remoto.

“La nostra raccomandazione è di non acquistare nuovi telefoni cinesi e di sbarazzarsi di quelli già acquistati il ​​più velocemente possibile”, ha detto ai giornalisti il ​​viceministro della Difesa Margiris Abukevicius presentando il rapporto. La dichiarazione sembra singolare (lo è nei toni della comunicazione), ma segue un pattern.

La Lituania ha da tempo preso una posizione molto critica nei confronti della Cina. Ultimamente è uscita dal “17+1”, il sistema di dialogo che Pechino aveva creato con i Paesi dell’Europa centrale e orientale come forma di divide et impera, e ha permesso l’apertura di una sede diplomatica taiwanese nella capitale Vilnius che rafforza le capacità di crearsi connessioni internazionali a quella che il Partito/Stato considera una provincia ribelle.

A questi sviluppi hanno fatto seguito istanze di dalla “wolf warrior diplomacy” cinese, sfociate poi sul piano commerciale. La questione degli smartphone è sulla stessa traiettoria. Tanto più se si considera che il Consigliere per la sicurezza nazionale statunitense, Jake Sullivan, ha parlato settimana scorsa con il primo ministro lituano, Ingrida Simonyte, e ha sottolineato il sostegno al suo Paese di fronte alle pressioni della Cina. Che Vilnius si sia sentita protetta nel pubblicare il proprio rapporto contro le aziende tech cinesi dopo quel colloquio?

È probabile che il Dragone legga quanto avvenuto come l’ennesimo schiaffo lituano ne propri confronti. Xiaomi è un vero e proprio gioiello nazionale: le vendite globali dell’azienda hanno superato quelle della Apple nel secondo trimestre del 2021, rendendola il secondo produttore di smartphone al mondo.

Il brand è un giocatore dominante nei mercati asiatici (specie Cina e India) ed è in rapida espansione anche altrove. Un rapporto di Canalys ne ha evidenziato la crescita meteorica nelle fasce inferiori dei mercati sudamericani, africani ed europei: in soldoni, il prossimo smartphone di un cliente che non punta al top di gamma ha forti probabilità di essere targato Xiaomi.

Inevitabilmente la compagnia ha attratto l’attenzione degli americani, che da anni suonano l’allarme riguardo alla privacy della tecnologia cinese. Essendo basata in Cina, Xiaomi è soggetta alla legge locale per cui una compagnia deve obbligatoriamente condividere i dati in proprio possesso con le autorità su richiesta. E nonostante Pechino e la stessa Xiaomi rigettino le accuse di raccolta dati e spionaggio, sono già emersi i motivi per cui conviene tenere la guardia alta.

La criticità scoperta dai lituani non è nemmeno la prima: l’anno scorso Forbes ha rivelato un “buco” nel sistema operativo che esfiltrava dati personali non anonimizzati dai telefoni Xiaomi e li spediva in Cina. A gennaio 2021 il governo americano ha sanzionato l’azienda e l’ha dichiarata “di proprietà o sotto il controllo” dell’Esercito cinese. A marzo una corte statunitense bloccò le sanzioni e a maggio un accordo tra Xiaomi e il Dipartimento di Stato ha rimosso la designazione.

La vicenda riaccende i riflettori sulla sicurezza della tecnologia cinese, materia al centro della guerra commerciale per le reti di prossima generazione (5G) e della transizione digitale in senso più ampio. Diversi Stati occidentali stanno seguendo l’esempio americano, vagliando le componenti cinesi che possono entrare nelle infrastrutture tecnologiche e talvolta escludendole direttamente. Come raccontato su Formiche.net, anche l’Italia sta controllando e limitando l’acquisizione di materiale sospetto.

AGGIORNAMENTO

“I dispositivi Xiaomi non censurano le comunicazioni da o verso i propri utenti”, ha dichiarato l’azienda in un comunicato ufficiale rilasciato in seguito all’evolversi della vicenda. “Xiaomi non ha mai limitato e mai limiterà o bloccherà alcun tipo di comportamento personale da parte dei propri utenti. Funzioni come quelle di ricerca, chiamata, navigazione sul web o l’uso di software di comunicazione di terze parti non sono e non saranno mai limitate. Xiaomi rispetta e protegge pienamente i diritti legali di tutti i suoi utenti, ed è conforme al Regolamento generale sulla protezione dei dati dell’Unione Europea (GDPR)”.


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