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Aukus, occhio al fallo di reazione (francese). Parla Marrone

Intervista ad Alessandro Marrone, responsabile del programma Difesa dello Iai (Istituto affari internazionali): eccessiva la reazione francese ad Aukus, il patto tripartito nell’Indo-Pacifico. Parigi gioca una sua partita industriale, sbagliato farne una vicenda europea e italiana. Fincantieri? La commessa sfumata in Australia non c’entra nulla con la politica

Una questione privata. La contesa industriale aperta da Aukus, il patto militare fra Stati Uniti, Australia e Regno Unito nell’Indo-Pacifico, riguarda la Francia e le ambizioni della sua industria navale nei mari caldi a Sud della Cina. Farne una questione europea è un rischio, soprattutto per l’Italia, dice a Formiche.net Alessandro Marrone, responsabile del programma Difesa dello Iai (Istituto affari internazionali).

Dopo lo strappo con Stati Uniti e Australia, consumato con il richiamo dei rispettivi ambasciatori, Parigi lavora per cercare sponde europee e rispondere allo smacco subìto. Una commessa da 56 miliardi di euro vinta da Naval Group per la fornitura di sottomarini al governo australiano sotterrata dalla nuova partita dei più moderni sottomarini a propulsione nucleare al centro del patto tripartito Aukus.

“La reazione francese è eccessiva – nota Marrone – quel contratto è stato siglato nel 2016. In cinque anni ci sono stati significativi ritardi e aumenti dei costi, pochi progressi”. Da mesi ormai, denuncia oggi il governo guidato da Scott Morrison, la fornitura francese era finita su un binario morto. Di qui la decisione di accettare l’offerta di Joe Biden e Boris Johnson per tenere testa all’aggressività della Marina cinese, e la dura reazione dell’Eliseo, che è arrivato a parlare di una “coltellata alle spalle”.

Per Marrone è “una risposta spropositata”. E non è detto che il tiro alla fune dei francesi riesca a strappare qualche vantaggio per l’industria navale d’Oltralpe. C’è una finestra per Parigi: la possibilità di fornire all’Australia una “flotta ad interim” di sottomarini in attesa dell’arrivo della partita targata Aukus, che potrebbe concretizzarsi fra anni. “La Francia indurirà la sua campagna per l’autonomia strategica europea, proverà a ottenere concessioni dagli Stati Uniti. È una scommessa rischiosa – nota l’esperto dello Iai – l’amministrazione Biden ha ritirato le truppe dall’Afghanistan sopportando lo smacco della presa di Kabul, le critiche internazionali, il pressing interno dei Repubblicani. Non penso che cederà facilmente alle critiche strumentali dei francesi per avere una contropartita industriale”.

Si tratta comunque, chiarisce Marrone, di una questione squisitamente bilaterale da cui l’Italia farebbe bene a tenersi alla larga. In questi giorni c’è chi ha fatto notare la partnership industriale fra Naval Group e il campione della cantieristica italiana, Fincantieri. Che nel 2018 ha perso un’importante commessa del governo australiano da 23 miliardi di euro per la fornitura di nove fregate Fremm, progetto di cui fanno parte anche i francesi di Naval Group. Ma è una vicenda che nulla ha a che vedere con Aukus e il disegno di Biden nell’Indo-Pacifico.

“Quella gara fu vinta dall’inglese Bae Systems perché ritenuta la più competitiva, non ha senso parlare di brogli o cospirazioni. Certo, non è da escludere che allora come nel caso Aukus abbia influito l’appartenenza dell’Australia al Commonwealth. C’è un motivo se la marina australiana si chiama ‘Royal Navy’, è un richiamo della Casa di Windsor”. Fincantieri, spiega Marrone, “è un’azienda con una proiezione globale, ha appena chiuso un importante contratto con l’Indonesia, è presente nel Mediterraneo, ha un forte radicamento negli Stati Uniti. È normale che nel vicinato europeo benefici del sistema Italia”.

Il tentativo del governo francese di raccontare il caso Aukus come un affronto all’industria navale europea, compresa quella italiana, sembra dunque una forzatura. Legittimo invece esprimere riserve sulle modalità con cui gli Stati Uniti hanno annunciato il nuovo patto strategico, chiude Marrone. “A un mese dal ritiro precipitoso da Kabul, l’America non ha avvertito gli alleati europei del partenariato a tre in chiave anti-cinese. Anche l’Europa però ha le sue responsabilità, dovrebbe far sentire la sua voce all’interno della Nato. Due anni fa il vertice dell’Alleanza a Londra aveva messo nero su bianco un accenno di strategia per il contenimento cinese, anche nell’Indo-Pacifico, ma finora è rimasto tutto sulla carta”.

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