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Se Draghi teme l’uscita di Merkel. Parla Rino Formica

Intervista a Rino Formica, più volte ministro socialista. Il successo della Spd in Germania è un esempio per la sinistra europea, il Pd è l’unico partito che si vergogna di parlare di socialismo e i risultati si vedono. Draghi? Con l’uscita di Merkel perde il suo angelo custode a Bruxelles. Può cambiare l’Ue, a partire da qui

È un bel giorno per Rino Formica, “dalla socialdemocrazia tedesca può rinascere quella europea”. Il voto in Germania che ha messo il leader della Spd Olaf Scholz in pole per diventare cancelliere rallegra l’ex ministro socialista, 93 anni, già a fianco di Bettino Craxi. Non tutti però hanno da esultare, dice a Formiche.net: per l’Italia e soprattutto per Mario Draghi l’uscita di scena di Angela Merkel non è una buona notizia.

Formica, è finita un’era?

Siamo di fronte a una rivoluzione dei sistemi politici dei Paesi mitteleuropei. È la prima volta che i partiti coalizzanti delle democrazie occidentali scendono sotto il 30%.

Cosa significa?

Che questi partiti e le loro classi dirigenti non sono più egemonici, faticano a produrre stabilità. E l’instabilità rallenta la costruzione di un’Europa unificata sul piano economico e politico.

I socialdemocratici escono comunque vincitori dal voto in Germania. Un socialista come lei non dovrebbe esultare?

Solo in parte. La gara che vede Cdu e Spd intenti a captare e convogliare forze non irrilevanti ma di modeste dimensioni come Verdi e liberali è il segno evidente della debolezza di questi due partiti, un tempo centro motore della Gross-Koalition.

La grande coalizione può tornare?

No, quei tempi sono archiviati. Prima l’unione dei due partiti, entrambi sopra il 30%, aveva un significato diverso, era stabilità nella necessità. E la stabilità della Germania è decisiva per la stabilità dell’intera Europa. No, da questa contesa uscirà vincitore una sola forza.

La Spd, stando ai pronostici. Qual è il segreto della rimonta di Scholz?

Più che di Scholz, è un segreto della Spd. Una forza politica con una storia secolare, che ha sempre dimostrato grande capacità di adattamento e revisionismo dottrinario.

Di che revisionismo parla?

Ha saputo rimanere legata ai principi fondanti del movimento socialista tenendo al tempo stesso un occhio aperto ai mutamenti della società. Insomma, è un partito che, a differenza di altri, sa come rivedere il rapporto pensiero-azione.

E lo ha fatto in fretta. Scholz ha dimostrato doti da scattista…

In un mese ha raddoppiato i consensi. Ancora una volta la natura popolare e non populista della Spd, la sua capacità di coniugare teoria e realtà, ne hanno fatto un riferimento. Non è un caso se la storia del socialismo europeo nel Novecento ha trovato tante anticipazioni in quella della socialdemocrazia tedesca.

C’è una lezione per il Pd?

Attenzione, non mischiamo i piani. Il Pd c’entra poco con la Spd. Non nasce come partito socialista revisionista, ma come operazione puramente tattico-politica. È la trasformazione in partito politico della vecchia coalizione di governo tra cattolici ed ex comunisti. Ha notato che se in Europa il Pd è legato al gruppo socialista, in Italia ritiene impronunciabile la parola socialismo?

Torniamo in Germania. Quanto dura lo stallo?

Formeranno un nuovo governo entro Natale.

Poi?

All’interno dei due grandi partiti tradizionali, Spd e Cdu, ci sarà un rinnovamento di classe dirigente. È finita la stagione del “tutto già previsto e predeterminato”. Forse è un bene: dalla rinascita della socialdemocrazia tedesca si può forgiare una nuova socialdemocrazia europea, oggi indebolita ovunque, dalla Francia all’Italia. La stessa crisi attraversa altre famiglie politiche, basta guardare il declino del popolarismo cattolico in Europa.

Verdi e liberali escono vincitori?

È una vittoria di Pirro. Sono entrambi essenziali per la formazione di un nuovo governo, ma hanno una debolezza intrinseca. La Fdp è troppo legata a interessi facilmente negoziabili. I Verdi continuano a ondeggiare fra realismo e utopia.

Con Merkel in uscita l’Italia di Draghi ha una chance di prendere il timone europeo?

Chiunque sarà cancelliere non cederà volentieri la leadership europea a Palazzo Chigi. E sarei cauto a considerare l’uscita di scena di Merkel una buona notizia per Draghi. Lei è stata la sua più grande forza durante gli anni alla guida della Bce. Era Merkel a proteggere Draghi, non il contrario. La cancelliera lo ha “adottato”, e ha messo in riga la Banca centrale tedesca. Ora non sarà facile per il premier italiano cambiare l’Ue.

Da dove si parte?

Da due grandi provvedimenti che devono dare al mondo il segnale di un’integrazione europea irreversibile. Dotare il Parlamento europeo di veri poteri legislativi, archiviando temporeggiamenti e finte riflessioni che hanno l’unico obiettivo di conservare lo status quo. Poi abolire una volta per tutte il sistema dell’unanimità al Consiglio europeo. Il resto sono chiacchiere.


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