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L’elogio del negativo. Contraddizioni e sovvertimenti nel linguaggio ai tempi del Covid

È approdato in libreria il volume scritto da Aurelio Tommasetti e da Lorenzo Calò per Rubbettino. “L’epidemia ha imposto una nuova categoria dell’essere, il ‘negativo’, che è diventato sinonimo di ‘non malato’, dunque incolume rispetto all’aggressione del male. Un rovesciamento linguistico e logico che ha anche profondamente modificato le prospettive in campo politico, economico, sociale, culturale”

Chi ha detto che positivo è sempre sinonimo di ottimismo e felice approdo del pensiero dominante, della prassi quotidiana, dell’esperienza di vita? E se non fosse così? Da questo ribaltamento della prospettiva è nato ‘Elogio del negativo’ (Rubbettino, pag. 102, euro 14), da poco approdato nelle librerie. La dura legge del Covid. “Se sei negativo al tampone stai bene, se risulti positivo vuol dire che il virus ha beccato anche te. L’epidemia ha imposto una nuova categoria dell’essere, il «negativo», che è diventato sinonimo di «non malato», dunque incolume rispetto all’aggressione del male. Un rovesciamento linguistico e logico che ha cambiato il paradigma della comunicazione ma che ha anche profondamente modificato le prospettive in campo politico, economico, sociale, culturale”. A dirlo è Aurelio Tommasetti, già rettore dell’università di Salerno e coautore, assieme al giornalista Lorenzo Calò, del libro.

 Tommasetti, la dura legge del Covid ha cambiato radicalmente il nostro mondo. Nonostante ci troviamo in una fase di ripresa, un’aura di incertezza continua a pervadere tutto, e tanti sono i dubbi sul futuro, sotto ogni aspetto.

Il libro si propone di attuare un’analisi dei cambiamenti che questa pandemia ha apportato al nostro mondo. Appare evidente che siamo di fronte a un mutamento epocale e approfondire alcune tematiche aiuta ad acquisire una più matura consapevolezza dell’importanza di agire in fretta per evitare che gli effetti negativi del Covid si radicalizzino in un sistema Paese già in estrema difficoltà.

Negativo è sano e bello, si legge tra le righe della sua opera. Il Covid ha mutato dunque così a fondo anche la nostra stessa prospettiva di vita, in un vero e proprio rovesciamento dialettico?

Si è imposta una nuova categoria dell’essere, il negativo, che sembra essere – secondo la logica che si è affermata negli ultimi due anni – incolume rispetto all’aggressione dal male. Una visione di società, di economia, di organizzazione della vita pubblica e delle istituzioni, perfino dell’etica, permeata dall’incertezza e dal timore.

 Per lei che dell’università ha fatto la sua missione di vita, come crede sia cambiato questo settore?

Il mondo universitario ha dovuto rapidamente cambiare rotta rispetto ai suoi elementi caratteristici che lo avevano contraddistinto sin dalle sue origini. È stato fatto un uso massiccio della didattica a distanza, che ha consentito di superare un momento di crisi ma che, certamente, non può rappresentare la soluzione definitiva per la fruizione dell’offerta formativa delle università tradizionali. Eppure, ancora oggi, nonostante l’elevata copertura vaccinale, si riprende in presenza parzialmente e con tanti dubbi sul futuro.

Colpisce molto la scelta di intitolare un capitolo del libro “La ricerca ci salverà”. Cosa significa?

Il Covid ha dimostrato la crucialità della ricerca scientifica. Oggi, se si vuole puntare ad avere atenei e centri di ricerca competitivi è necessario, anzitutto, contemperare il criterio dell’eccellenza nel finanziamento della ricerca con un ritorno a un finanziamento diffuso. Bisogna, poi, sburocratizzare la macchina amministrativa delle università e dei centri di ricerca: usare i fondi di ricerca è diventato problematico e l’opera di valutazione dell’attività universitaria (assolutamente necessaria) è divenuta una burocratica raccolta di informazioni, che si traduce nella continua compilazione di moduli, il cui uso non sembra in alcun modo promuovere una miglior ricerca o una miglior didattica.

E dal lato degli studenti? Quali opportunità potrebbero derivare dal superamento della crisi socio-sanitaria?

Il sistema universitario necessita di una riforma strutturale e strategica per invertire un declino altrimenti inarrestabile. La strada maestra è la valorizzazione del merito.  Numeri alla mano, l’Italia non è un Paese che investe sui giovani. Ritengo che questo sia il momento di lanciare la campagna «L’Italia premia il merito», incentrata sulla previsione del rimborso parziale o totale delle tasse di iscrizione al termine di ciascun anno accademico per gli studenti in regola con gli esami, tenendo conto anche del voto di profitto conseguito nelle singole prove. È una iniziativa che, da rettore, ho attuato nel mio ateneo e che ha prodotto risultati straordinari, soprattutto in termini di motivazione dei ragazzi e delle loro famiglie.

Un libro non solo dal forte imprinting filosofico ma anche fatto di riflessioni sull’economia e sui cambiamenti dello stato sociale conseguenti all’insorgenza della pandemia. L’opportunità del PNRR indubbiamente non può essere sprecata: la classe dirigente italiana ne è all’altezza?

Purtroppo paghiamo ancora lo scotto di anni nei quali si è avuta l’illusione che la democrazia potesse essere cambiata in meglio dal dominio della rete. Il sistema di condivisione basato sul paradigma inconsistente della piattaforma Rousseau e dell’ “uno vale uno” ha mostrato tutta la sua fallacia. Dopo un periodo di horror vacui adesso abbiamo una leadership forte, quella di Draghi, cui va riconosciuta la capacità di contemperare le varie spinte programmatiche e le differenti pulsioni ideologiche provenienti dalla composita maggioranza che lo sostiene. E finalmente è stata impressa una svolta rispetto al regime delle chiusure e del terrorismo psicologico di contiana memoria.

L’Europa ha deciso di non assistere passivamente al suo lento e inesorabile declino. Ma il nodo delle riforme strutturali da sciogliere resta, e così anche la necessità di un deciso cambio di passo nella gestione della fiscalità generale, oltre che del welfare e della sanità.

 Non è un caso che il nostro libro si soffermi su questi aspetti, la cui discussione è fondamentale per pensare a un lieto fine di questa vicenda, che non può certo sconfinare in derive assistenzialistiche. Con riguardo al sistema sanitario, puntare sulla telemedicina e sul potenziamento dell’assistenza territoriale, anche con lo scopo di reagire meglio ad eventuali nuove situazioni emergenziali, sarà un investimento fondamentale da cui non si potrà prescindere. Ma la riorganizzazione del sistema sanitario va di pari passo con la necessità di attuare una riforma fiscale. In tal senso, la Flat tax, seriamente articolata, può alimentare una ripartenza seria dell’economia e della società.

Ma, allora, qual è la ricetta per far ripartire l’Italia?

Purtroppo non esiste uno schema standardizzato per stimolare la ripresa, anche perché sono molteplici i fattori coinvolti. Ma per creare ricchezza, una ricchezza sostenibile nel tempo, bisogna difendere i produttori, gli imprenditori, i commercianti, le partite iva, i lavoratori autonomi ma anche i dipendenti delle imprese. Il declino può essere evitato solo mettendo al centro della missione nazionale il tema della produzione.

 Si ritornerà a una società più simile a quella passata o saremo condannati a vivere in un mondo sovvertito in cui il concetto di “negativo” prenderà definitivamente il sopravvento? 

 Non ci è dato saperlo: in larga misura ciò dipenderà dalla governance che si vorrà adottare a tutti i livelli istituzionali. Nel libro lo spieghiamo chiaramente: crediamo in un nuovo umanesimo, moderato, democratico ma anche e soprattutto libertario. Abbiamo il dovere morale di lottare per lasciarci alle spalle quest’amara stagione che abbiamo vissuto, i cui strascichi sono ancora altamente presenti nelle nostre vite. Mettendo da parte le tante storture del dominio liberticida del politically correct, a partire dall’affermazione della cancel culture, che ha creato un humus di dannosità che non ci è stato di supporto nella gestione di un’emergenza senza precedenti, e al contempo senza cadere nella rete del populismo nichilista.

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