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Ombre cinesi sul voto in Germania. Parla Small (Gmf)

Le elezioni in Germania decideranno il nuovo corso dell’Ue con la Cina, dice Andrew Small, Senior Fellow del German Marshall Fund. A Washington studiano l’era dopo Merkel sperando in una svolta nei rapporti con Pechino. Biden? Il ritiro da Kabul un trampolino per l’Indo-Pacifico

Tutte le strade portano a Pechino. Molto più del caos in Afghanistan, sarà il fattore Cina a decidere il nuovo corso della politica estera europea post Merkel. Di diplomazia la campagna elettorale per le elezioni al Bundestag del 26 settembre si è occupata poco e niente.

I riflettori internazionali, invece, sono puntati su una tornata elettorale che può davvero scrivere una nuova pagina dei rapporti fra Europa, Cina e Stati Uniti. Ne è convinto Andrew Small, Senior Transatlantic Fellow del German Marshall Fund ed esperto di Cina: “C’è grande fermento nella comunità internazionale, così come fra le élites industriali tedesche, intorno al futuro delle relazioni fra Cina e Germania”. C’è anche questo nello “status quo” garantito da Angela Merkel per vent’anni al potere.

Un sottile equilibrio fra interessi economici e sicurezza che ora rischia di saltare. “La stessa fuoriuscita di Merkel avrà un impatto enorme sulla politica estera dell’Ue verso la Cina, lascia un vuoto difficile da colmare – dice Small – in Germania c’è chi vorrebbe superare la sua legacy, il suo canale diretto con potenze rivali come Cina e Russia, in pochi sono in grado di farlo”.

A prescindere da chi sarà cancelliere fra due settimane, scrive Janka Oertel in un’analisi per l’Ecfr (European Council on foreign relations), “sarà sempre più difficile mantenere l’attuale livello di prosperità – e di sicurezza – senza inaugurare un nuovo corso con la Cina”. Il disegno della cancelliera democristiana, curare il business nella speranza di un progressivo allentamento dell’autocrazia cinese è ormai superato dai fatti.

La Cina di Xi Jinping ha cambiato volto. Ha soffocato Hong Kong, ha lanciato la Via della Seta, raddoppiato la presenza militare nel Pacifico, e ora si accanisce perfino contro le grandi aziende e le ong nazionali. “La Germania deve chiedersi quanto vogliono continuare a dipendere da uno Stato che fa dei legami economici un’arma, e lo fa alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti, oggi lo ammette perfino la Confindustria tedesca”, nota Small. “Merkel finora ha fatto da ago della bilancia. Con l’amministrazione Biden c’è la richiesta di una più chiara scelta di campo fra autocrazie e la coalizione di democrazie occidentali”.

Ecco spiegato perché a Washington seguono passo passo l’ultimo miglio elettorale a Berlino. Anche se finora la diplomazia americana non si è sbilanciata. “Il programma dei Verdi di Annalena Baerbock ha avuto un certo appeal sulla Casa Bianca per la dura condanna dell’autoritarismo russo e cinese ma rimangono diverse remore – commenta l’esperto del Gmf – sono contrari a un aumento della spesa militare e non pensano che con la Cina esista un trade-off tra affari economici e diritti umani”.

Il voto tedesco cade in un momento particolarmente saliente nella contesa fra Stati Uniti e Cina. Con l’abbandono dell’Afghanistan e la progressiva fuoriuscita dall’Asia centrale Biden è tornato a occuparsi di Cina e di Indo-Pacifico convocando alla Casa Bianca per il 23 settembre una riunione del Quad, il vertice con India, Giappone e Australia. “Questa è sempre stata l’intenzione dietro il ritiro da Kabul – dice Small – concentrare risorse e attenzioni sul quadrante Indo-Pacifico, passare dalla contro-insurrezione alla competizione in Asia”. Una vera e propria riscrittura dell’agenda diplomatica, ma anche un segnale: “Il ritiro dall’Asia centrale non è una fuga, ma una riorganizzazione delle forze alla luce di nuove priorità”.

All’appello è chiamata anche l’Europa. L’Ue ha risposto pubblicando la sua strategia per l’Indo-Pacifico, un documento strategico che pone le basi per un’alleanza digitale con i Paesi della regione per contenere le ambizioni cinesi. Al suo interno c’è solo un generico e timido riferimento ai “regimi autoritari” che mettono in pericolo “i principi democratici e i diritti umani”. Una dichiarazione di intenti, niente di più. Per scrivere la vera strategia cinese l’Ue è appesa a quel voto epocale che fra due settimane chiuderà l’era Merkel.


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