Bergoglio a Budapest ha incontrato Orban, il presidente Ader e i rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese e Comunità ebraiche dell’Ungheria. Il primo ministro ha fatto sapere di aver chiesto al papa “di non lasciare che l’Ungheria cristiana perisca”, ma questo viaggio è soprattutto occasione per ribadire il messaggio europeo e quello contro l’antisemitismo, “una miccia che va spenta”
“La croce non è mai di moda: oggi come in passato. Ma guarisce dentro”. Francesco conclude a Budapest il 52esimo Congresso eucaristico internazionale e ribadisce l’essenziale della visione cristiana: “È davanti al Crocifisso che sperimentiamo una benefica lotta interiore, l’aspro conflitto tra il pensare secondo Dio e il pensare secondo gli uomini”. Vuol dire che “da un lato, c’è la logica di Dio, che è quella dell’amore umile. La via di Dio rifugge da ogni imposizione, ostentazione e trionfalismo, è sempre protesa al bene altrui, fino al sacrificio di sé”. Dall’altro lato c’è il “pensare secondo gli uomini: la logica del mondo, attaccata all’onore e ai privilegi, rivolta al prestigio e al successo”.
Questo ovviamente va inteso come un impegno a voler cambiare il mondo, il nostro modo di pensare, di agire. Poi, all’Angelus, un’indicazione tutta ungherese, molto chiara, tanto da poterla sentire anche come un suggerimento al premier Viktor Orban: “Il sentimento religioso è la linfa di questa nazione, tanto attaccata alle sue radici. Ma la croce, piantata nel terreno, oltre a invitarci a radicarci bene, innalza ed estende le sue braccia verso tutti: esorta a mantenere salde le radici, ma senza arroccamenti; ad attingere alle sorgenti, aprendoci agli assetati del nostro tempo. Il mio augurio è che siate così: fondati e aperti, radicati e rispettosi”.
Una visione che risuona nella benedizione conclusiva: “La mia Benedizione, da questa grande città, vuole raggiungere tutti, in particolare i bambini e i giovani, gli anziani e gli ammalati, i poveri e gli esclusi”. Il senso tutto ungherese del viaggio è in queste parole ufficiali, pubbliche ha aggiunto il pontefice. Se il vero messaggio europeo, come vedremo più avanti, è stato importantissimo, l’incontro con il primo ministro Viktor Orban e il presidente della Repubblica d’Ungheria, Janos Ader, che ha avuto luogo invece poco dopo l’arrivo di Francesco, non è stato irrilevante, per il poco che si sa.
Fonti ufficiali hanno chiarito che tra gli argomenti affrontati nei quaranta minuti di colloquio spiccavano “il ruolo della Chiesa nel Paese, l’impegno per la salvaguardia dell’ambiente, la difesa e la promozione della famiglia”. Cosa si sono detti in realtà non lo sappiamo, ma se sorprende la frase divulgata dal premier Orban, che ha detto di aver chiesto al papa “di non lasciare che l’Ungheria cristiana perisca”, quasi che non sapesse che il viaggio di Francesco in terra magiara durava purtroppo solo nove ore, diviene tutto chiaro quando si legge che “Orban ha dato come regalo una copia della lettera che il re ungherese Béla IV nel 1250 aveva scritto a papa Innocenzo IV, in cui chiedeva l’aiuto dell’Occidente contro i bellicosi tartari che minacciavano l’Ungheria cristiana”.
Riflettendo si potrebbe pensare anche a un mondo nel quale quanto accaduto ieri sia uguale a quanto accade oggi, o forse che quanto accaduto ieri accada sempre: si può pensare senza la categoria del tempo? Potrebbe essere questo a rendere complesso a chi ragionasse così capire un uomo come Francesco, convinto che il “tempo è superiore allo spazio”, cioè che ciò che conta è avviare processi, non occupare o conquistare posizioni.
Ma, come si accennava, l’incontro più importante di questa sosta ungherese è stato un altro, quello con i Rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese e di Comunità ebraiche dell’Ungheria, durante il quale Francesco ha detto: “Apprezzo tanto l’impegno che avete testimoniato ad abbattere i muri di separazione del passato; ebrei e cristiani, desiderate vedere nell’altro non più un estraneo, ma un amico; non più un avversario, ma un fratello. A noi è chiesto di lasciare le incomprensioni del passato, le pretese di avere ragione e di dare torto agli altri, per metterci in cammino verso la sua promessa di pace, perché Dio ha sempre progetti di pace, mai di sventura”.
E ha sottolineato: “Ogni volta che c’è stata la tentazione di assorbire l’altro non si è costruito, ma si è distrutto; così pure quando si è voluto ghettizzarlo, anziché integrarlo. Quante volte nella storia è accaduto. Dobbiamo vigilare, dobbiamo pregare perché non accada più. E impegnarci a promuovere insieme una educazione alla fraternità, così che i rigurgiti di odio che vogliono distruggerla non prevalgano. Penso alla minaccia dell’antisemitismo, che ancora serpeggia in Europa e altrove. È una miccia che va spenta”.
Ora Francesco è in Slovacchia, seconda tappa di questo suo viaggio, il primo dopo l’operazione chirurgica dalla quale sembra essersi ripreso bene, nonostante tante speculazioni, alcune molto interessate.
Foto: account Twitter @antoniospadaro