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Il petrolio s’impenna e l’Europa è senza gas. La tempesta perfetta spiegata da Saglia

Gli scenari energetici secondo il componente del Collegio di Arera, Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente: “La domanda asiatica cresce, la pandemia non finisce, l’Europa è un vaso di coccio e un grande consumatore netto. Il Tap? Una felice intuizione, se da sud arriverà più gas allora il prezzo avrà una competizione e l’Italia potrà essere un hub energetico”

Se dal corridoio sud arriverà più gas, allora il prezzo avrà una competizione anche nel centro Europa e al contempo l’Italia potrà essere un hub del gas, con “vista” Balcani.

Lo dice a Formiche.net Stefano Saglia, componente del Collegio di Arera (Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente) che scompone il dato rappresentato dal greggio a 80 dollari ragionando sulle potenzialità future legate alle reti, alle nuove infrastrutture che necessitano di meno burocrazia per le autorizzazioni e al potenziale italiano nei Balcani ancora non completamente espresso.

Il petrolio a 80 dollari è una sorpresa?

La crescita del prezzo del petrolio non è più determinata, come si immaginava un tempo, dall’Opec o dalle organizzazioni internazionali. Le compagnie agiscono secondo logiche di mercato e cercano evidentemente di recuperare i dati bassi che hanno registrato durante la pandemia. Quando Kissinger istituì l’Agenzia Internazionale dell’Energia fece senza dubbio un passo importante, ma stiamo parlando degli anni ’70.

Oggi?

Oggi gli strumenti che controllano il mercato sostanzialmente non esistono: è la domanda che la fa da padrone, oltre che la produzione. La domanda infatti è spinta fortemente dalle esigenze cinesi e asiatiche. A torto o a ragione, la Cina è uscita dalla pandemia prima degli altri e ha iniziato a produrre al massimo delle proprie potenzialità.

E l’Europa?

E’ chiaro che l’Europa vede diminuire fortemente la propria produzione in virtù del fatto che persino i pozzi norvegesi hanno rallentato molto. Per cui sicuramente è il continente più esposto anche rispetto ad un altro dato: la pandemia ha ridotto il nuovo grande esportatore di idrocarburi, ovvero gli Usa. Da quando esistono lo shale oil e lo shale gas, gli Stati Uniti sono diventati un grande esportatore. Nel periodo del covid, poiché la produzione di oil non è più controllata dalle grandi compagnie ma da piccole realtà industriali, si è avuto un crollo di queste compagnie che non avevano una solidissima capacità finanziaria. Così è venuta meno per l’Ue anche quella rotta di approvvigionamento.

Con quale risultato?

Che ci troviamo a vivere nella tempesta perfetta: la domanda asiatica che cresce, la pandemia che non finisce definitivamente e il vaso di coccio dell’Europa che è solo un grande consumatore netto.

Il caro petrolio può rappresentare paradossalmente l’occasione per un’accelerazione verso le rinnovabili?

Sicuramente i segnali di prezzo dirigono anche gli investimenti e rendono competitive ancora di più le rinnovabili, però guardando all’Italia ci sono grossi ostacoli autorizzativi. Dovrebbero crescere rapidamente gli investimenti nelle reti che al momento sono intermittenti: non dimentichiamo che le reti elettriche sono decisive per il dispacciamento delle fonti rinnovabili che non possono produrre per tutto l’arco della giornata, ma necessitano di una energia di base che, inevitabilmente, è ancora prodotta dal carbone, dal nucleare o dal gas. L’Europa ha dinanzi a sé una transizione che rischia di durare almeno un ventennio. Alle grandi dichiarazioni mondiali a favore dell’energia green dovrebbero seguire delle effettive semplificazioni per autorizzare gli impianti sui territori.

In questo scenario il dossier gasdotti, Tap, Tanap e Eastmed, come impatta sulla crescita italiana e mediterranea?

La contingenza attuale dimostra, con evidenza, che la realizzazione del Tap è stata una felice intuizione: si pensi che questi 8 miliardi di metri cubi che transitano verso l’Italia sono un effetto alternativo rispetto al fornitore russo. Se dal corridoio sud arriverà più gas allora il prezzo avrà una competizione nel centro Europa e al contempo l’Italia potrà essere un hub del gas. Così l’Europa potrà essere meno fragile. Lo stesso potenziamento di Tap è un argomento molto forte che deve accelerare. Mi permetta una battuta: se poi scopriamo che gli unici ulivi pugliesi salvati dalla Xylella sono quelli spostati e poi ripiantati, allora vuol dire che una riflessione seria andrà fatta davvero.

Le prospettive italiane nei Balcani alla voce energia come possono essere meglio implementate?

I paesi balcanici hanno un ruolo importantissimo perché si tratta di nuove rotte del gas all’interno di un tessuto geopolitico sul quale l’Europa dovrebbe riflettere molto. Nel nostro piccolo come Arera stiamo lavorando intensamente nei Balcani nella formazione delle autorità di regolazioni locali: stiamo insegnando loro come funziona il mercato all’interno di un’attività di capacity building parecchio rilevante. Al contempo, ci rendiamo conto che esiste una macro frammentazione che va gestita: Albania, Serbia, Kosovo presentano questioni di geopolitica ancora irrisolte dall’Ue.

Può essere l’Italia player centrale nel costone balcanico, anche alla luce delle buone relazioni, sociali e umane, che sa costruire?

L’Italia nei Balcani può essere la punta più avanzata dell’Europa, un pivot: è indubbio che il dialogo con noi da parte delle popolazioni balcaniche è molto più amichevole rispetto a quello che possono avere con altri paesi europei. Per cui abbiamo una responsabilità maggiore, accanto alle infrastrutture realizzate che influiscono non poco: penso all’elettrodotto Italia-Montenegro che oggi, al di là delle polemiche passate, funziona bene e riesce anche in alcune ore del giorno ad esportare energia.

@FDepalo



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