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Putin, l’Ue e i russofili a Bruxelles. Parla Andrius Kubilius

Intervista ad Andrius Kubilius, ex primo ministro della Lituania ed esponente di punta del Ppe, autore del rapporto votato dal Parlamento Ue sulla Russia. Le elezioni? Putin teme per il suo futuro, i giovani lo stanno scaricando. Ue troppo pavida, il Nord Stream II un errore grave ma il Green Deal farà tremare Mosca. Lega e Salvini? Se tagliano i fili con i russi possono avvicinarsi ai popolari

Vladimir Putin ha paura. L’Europa anche”. Andrius Kubilius si fa scuro in volto. Ex primo ministro della Lituania, esponente di spicco del Partito popolare europeo (Ppe), è convinto che l’Occidente abbia preso un “abbaglio” nei confronti di Mosca. “Non capiscono che è la prima minaccia per l’Europa. Qui e oggi, non c’è niente di più pericoloso”. Lo incontriamo nella hall dell’Hotel Excelsior, durante un ritrovo dei popolari a Roma. Al culmine di una settimana impegnativa: il nome di Kubilius è stato sulle bocche di tutti a Bruxelles. In Lituania è una celebrità: due volte a capo del governo, leader dei conservatori di “Unione della Patria”. In Europa, in queste ore, è conosciuto come l’autore del rapporto sulle relazioni fra Ue e Russia votato a stragrande maggioranza del Parlamento Ue. Un lungo j’accuse contro l’autoritarismo russo firmato Putin, un appello all’Unione per sanzionare più severamente le violazioni dei diritti umani. Sullo sfondo una speranza: la Russia può diventare una democrazia?

Brogli, minacce alle opposizioni, propaganda. Le elezioni russe per la Duma non sono già una risposta eloquente alla sua domanda?

La vera domanda non è se, ma quando e come la Russia diventerà una democrazia. Non saranno le urne a portare nel Paese il cambiamento, ma un percorso. Putin ha due modi per perpetuarsi al potere. Da una parte diffonde l’immagine di una Russia ancora nel club delle superpotenze e piena di armi nucleari. Dall’altra silenzia o fa avvelenare con il Novichok chi “provoca” il governo russo con i suoi ideali democratici.

Sta funzionando?

No, il sistema Putin sta mostrando le sue crepe. C’è un vento di democrazia che inizia a soffiare nell’Est Europa. Noi, in Lituania, siamo stati salvati dalla promessa di adesione all’Ue. Oggi in altri Stati che un tempo furono repubbliche sovietiche si registra una richiesta crescente di diritti e libertà che parte dal basso. Ucraina, Moldavia, Georgia, perfino in Bielorussia.

Anche in Russia?

La Russia non fa eccezione. Le manifestazioni di piazza, i sondaggi, quelli veri, che fotografano il calo di Russia Unita, dimostrano che il popolo russo non è così diverso da noi.

Putin però non è in discussione.

Questa è l’immagine che lui vuole proiettare. I numeri raccontano una realtà diversa. Un sondaggio del Centro Levada di questa primavera ha chiesto agli intervistati se voteranno Putin nel 2024. Il 60% degli under-30 ha risposto no. Il ricambio generazionale è un guaio per il Cremlino.

L’Europa si è mostrata in grado di tenere testa allo zar?

Il problema di questa Ue si può riassumere in un termine perfettamente coniato da Wolfgang Ischinger durante l’ultima Conferenza sulla Sicurezza di Monaco: “Westlessness”. L’Occidente non è più capace di difendere le sue ragioni, di occuparsi del suo vicinato. Ma guardo al bicchiere mezzo pieno. Per la prima volta l’Europa inizia a parlare di Russia, a riconoscere l’evidenza.

Quale evidenza?

Che la Russia è la prima minaccia per la sicurezza europea.

Più della Cina?

La Cina ha una penetrazione economica e politica insidiosa, dovremmo ascoltare attentamente i moniti dagli Stati Uniti. Ma da una prospettiva europea la Russia è la minaccia numero uno.

Però la Russia è anche un partner, con l’Ue fa affari. Come il Nord Stream 2, il maxi gasdotto dal Mar Baltico alla Germania che alla fine ha avuto perfino il via libera di Biden.

Un grande errore geopolitico, che porta la firma dei tedeschi. Quel gasdotto non renderà più sicure le catene di fornitura energetica europee, farà il contrario. Basta vedere come la Russia alza i prezzi del gas a suo piacimento. Il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov è stato fin troppo esplicito: finché ci saranno politici europei pronti ad opporsi al progetto i prezzi andranno su.

C’è un’alternativa?

C’è eccome. L’Ue ha un’arma per rispondere alle minacce russe, si chiama Green deal. Nel giro di dieci, quindici anni quel piano può rendere l’Europa molto più indipendente dalle importazioni di gas russo. E avviare una trasformazione dell’economia russa che è anche l’antifona per una transizione politica a Mosca.

Nel frattempo l’Ue cerca l’autonomia, ma dagli Stati Uniti.

Lo so. “Autonomia strategica” è un termine che va molto di moda ultimamente (ride, ndr). Ma è anche estremamente fuorviante. Ripeto, se l’Ue stilasse una lista delle minacce alla sua sicurezza, la Russia sarebbe in testa. La Nato e gli Stati Uniti sono gli unici in grado di mettere in campo una deterrenza sufficiente.

Non è esagerato ritenere la Russia l’unica minaccia?

Ovviamente sì. Il terrorismo, l’instabilità del Nord Africa e del Sahel, l’immigrazione clandestina sono problemi seri. Di cui però può e deve occuparsi l’Europa senza dover chiedere l’intervento della Nato.

Dal 2014 l’Ue impone sanzioni contro la Russia per l’invasione della Crimea. C’è chi, anche in Italia, punta il dito contro gli effetti collaterali sulle imprese europee. Lei cosa pensa?

Che la democrazia ha un prezzo. In Lituania sappiamo qualcosa della pressione economica di uno Stato autoritario, chiedete alla Cina. Per me la questione è semplice: la dipendenza dagli affari di un’autocrazia è sempre un rischio. Molti dei nostri imprenditori chiedono al governo lituano di parlare con il Cremlino, che continua a intralciare il nostro export, specialmente quello alimentare.

Quindi?

Quindi ci sono due priorità. Difendere le nostre infrastrutture critiche da Russia e Cina, e trovare con loro un nuovo equilibrio nei rapporti commerciali. Specialmente per Paesi piccoli come il nostro, rimanere legati a doppio filo alle casse di un Paese autoritario è un pericolo troppo grande. L’Ue dovrebbe parlare a una sola voce, purtroppo succede raramente.

Veniamo al suo rapporto sulla Russia. Più di cento eurodeputati hanno votato contro, l’unanimità è ancora lontana.

È vero, non abbiamo raggiunto l’unanimità, ma è comunque un grande risultato: il 74% ha votato a favore del rapporto. Su altre risoluzioni, come quelle sull’avvelenamento e l’arresto di Alexei Navalny, abbiamo ottenuto risultati simili.

Fra chi ha votato contro ci sono parlamentari di Identità e democrazia, il partito europeo in cui milita la Lega di Matteo Salvini. Crede che una presa di posizione dei leghisti contro l’autoritarismo russo possa aprire al dialogo con il Ppe?

Certamente aiuterebbe. Anche nel Ppe, a dire il vero, ci sono sensibilità diverse e le votazioni a maggioranza assoluta non aiutano a cantare all’unisono. Non è un problema: noi lituani siamo i primi ad avere interesse in un miglioramento delle relazioni con la Russia. Ma la precondizione per una normalizzazione dei rapporti è l’apertura di Mosca a un processo di democratizzazione. Non è impossibile, è solo questione di tempo.


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