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Dossier Roma, le sfide della Capitale raccontate da Cerra (Ced)

Capitale

Quali sono le sfide che attendono la Capitale? Città e capitali europee con un’area come quella di Roma sono frazionate per mandamenti e municipalità che contengono e governano, con tutti gli adeguati poteri, al massimo trecentomila persone, mentre Roma è gestita come un piccolo centro di provincia. Il confronto con Berlino, Londra, Parigi e Barcellona. L’analisi di Rosario Cerra, fondatore e presidente del Centro Economia Digitale

Il complicato periodo vissuto nell’ultimo anno e mezzo ha messo in luce punti di forza e debolezza strutturali sia delle nazioni che dei loro territori, ma la Capitale d’Italia vive un’oggettiva difficoltà da innumerevoli anni, ben prima che la crisi indotta dalla pandemia ci colpisse, e causata dalla mancanza di una chiara e concreta visione strategica, dagli enormi problemi di governance per realizzarla e dall’insufficienza di azioni mirate.

Eppure, la “visione” per il futuro di Roma è evidente e definita proprio da quelli che sono i suoi punti di forza, primo fra tutti ciò che strutturalmente la differenzia dalle altre grandi aree metropolitane estere con cui è in competizione nel mercato globale: essere, facendo proprio un titolo da Oscar, la Capitale de “La Grande Bellezza” che pone al centro l’uomo e il suo habitat nella dimensione relazionale, economica, culturale, tecnologica e religiosa, permeata di uno stile di vita italiano che tutto il mondo ammira e ci invidia.

Ma non solo, altro punto di forza di Roma è rappresentato dal suo “capitale economico”, in quanto sede delle più importanti corporation italiane, Enel, Eni, Leonardo, Open Fiber, Tim, per citarne alcune, nonché sede delle università tra le più grandi in Europa e delle principali accademie di arte e cultura straniere. Città all’avanguardia nei più importanti settori: imprenditoria, ricerca, sanità. E capitale mondiale della cristianità, racchiudendo all’interno del suo perimetro uno stato sovrano, che protegge e tutela il potere spirituale del papato, quale strumento fondamentale di garanzia per tutto il mondo cattolico.

Per non parlare del ruolo fondamentale che la contraddistingue dalle altre città dello Stivale, e che ne rappresenta il “capitale sociale”: essere la Capitale d’Italia, sede delle sue istituzioni e degli organi costituzionali, snodo strutturale, essenziale per il Paese, di persone, idee, merci e investimenti, nonché punto di raccordo identitario e operativo tra Nord e Sud d’Italia, territori spesso troppo disomogenei.

Si tratta di enormi ricchezze che Roma possiede e deve necessariamente proteggere e valorizzare, ma per promuovere tale posizionamento occorre che le istituzioni e i cittadini investano tutte le loro capacità e il loro impegno.

LE SFIDE

Quali sono allora, in concreto, le sfide che attendono la Capitale? La più importante e impellente è sicuramente legata al governo del suo territorio, che continuamente manifesta criticità, impedendo la corretta creazione di un sistema di governance multilivello in grado di consentire una migliore strutturazione del proprio ordinamento interno.

Roma, infatti, è un’area metropolitana di oltre 4 milioni di persone, la quinta per grandezza in Europa dopo Parigi, Londra, Madrid e Berlino, tuttavia di fatto gestita come un piccolo centro di provincia. Gestita senza una legislazione ad hoc per una Capitale, senza alcuna reale devoluzione di poteri e competenze dal Comune ai Municipi, pertanto, senza la possibilità di una vera interlocuzione democratica e funzionale tra i cittadini e l’amministrazione.

Città e capitali europee con un’area come quella di Roma sono frazionate per mandamenti e municipalità che contengono e governano, con tutti gli adeguati poteri, al massimo trecentomila persone. Nella nostra Capitale, al momento, si passa, quasi senza filtri, dal sindaco a milioni di abitanti, con un meccanismo che palesemente non funziona.

Nel ridefinire la struttura di governance e nell’individuare quali azioni concrete intraprendere, occorre prendere pertanto esempio dalle altre grandi capitali europee, a oggi strutturalmente posizionate meglio della nostra Capitale. Tra queste, vi sono Londra e Parigi, città capitali di due stati unitari con elevata centralizzazione delle politiche a livello nazionale; vi è Berlino, capitale di uno stato federale con forti poteri assegnati agli stati e ai governi municipali; e poi ancora Barcellona, capitale di una regione autonoma, anch’essa dotata di forti poteri municipali.

LA GOVERNANCE DELLE CAPITALI EUROPEE A CONFRONTO

Seppur ognuna con le proprie specificità, sempre più spesso le grandi aree metropolitane stanno adottando modelli di governance su due livelli, nel tentativo di gestire al meglio la crescente complessità territoriale ed economica.

In un modello di governance a due livelli esiste un organo di governo di livello superiore che comprende un’area geografica abbastanza ampia e fornisce servizi a livello regionale o metropolitano, e comuni o unità amministrative di livello inferiore che sono responsabili di servizi di natura locale.

La governance a livello sovra-comunale è essenziale per le grandi città, ma nessun modello è al di sopra degli altri. L’ampia varietà di istituzioni e modelli decisionali riflette sia il contesto e la storia locale, sia la complessità dei problemi da risolvere.

Oltre a puntare sulla governance multilivello, le capitali europee che funzionano investono nella specializzazione funzionale, con “Authority” che si prendono carico di grandi questioni settoriali, quali il trasporto pubblico, per fare un esempio, e nella capacità di promuovere specificità e asset dei territori, mettendo in campo azioni organiche e sistematiche.

LONDRA

Sono già più di venti anni che questa città ha adottato un modello di governance su due livelli, godendo di un forte sostegno pubblico e degli stakeholder locali per la creazione, nel 2000, della “Greater London Authority” (GLA), che si occupa della pianificazione strategica e ha sotto la propria giurisdizione i trasporti, la polizia, l’ambiente, lo sviluppo economico, la salute, la cultura, la protezione civile e la gestione delle emergenze. La GLA possiede strumenti sia di natura amministrativa che normativa. I 33 ‘Boroughs’ (corrispondenti ai municipi) si occupano della gestione ordinaria, seguendo un approccio tradizionalmente più decentralizzato e con distretti indipendenti. La cultura della pianificazione del Regno Unito prevede, infatti, un sistema piuttosto discrezionale, in cui le decisioni vengono prese caso per caso. Specificità di Londra è il “sindaco forte”, eletto direttamente e con un solido potere esecutivo, mentre il consiglio svolge un ruolo di supervisione. Il sindaco dirige la burocrazia, ha il potere di nominare i capi di dipartimento, stabilisce l’agenda del consiglio, prepara il bilancio e svolge il ruolo di integrazione tra i livelli di governance.

PARIGI

Il modello di pianificazione di Parigi è quello dirigistico per eccellenza, tuttavia, qualcosa sta cambiando negli ultimi anni, con l’obiettivo di stabilire un governo metropolitano, attuando un processo di decentramento. Diversi, infatti, sono stati i tentativi di lanciare la Metropoli di Parigi, tra cui l’iniziativa “Grand Paris” presentata da Sarkozy nel 2008 e istituita ufficialmente con una legge nel 2010, come progetto di sviluppo sostenibile d’interesse nazionale per unire Parigi e la circostante regione dell’Île-de-France; e, più di recente, le “Métropole du Grand Paris”, struttura amministrativa fondata nel 2016 per supportare la cooperazione tra Parigi e i 130 comuni dell’hinterland. Dal 2016 Parigi ha inoltre un’autorità settoriale per il trasporto pubblico, “La Société du Grand Paris”, che, operando su due livelli e coordinandosi con il territorio, ha la specifica missione operativa di progettare e gestire la rete di trasporto pubblico metropolitano. La gestione ordinaria è invece a livello di “arrondissement” (i municipi), ognuno dei quali ha un consiglio direttamente eletto che a sua volta elegge un sindaco di arrondissement. Il Consiglio è formato da una selezione di membri di ogni arrondissement e, a sua volta, elegge il sindaco di Parigi.

BERLINO

Nel sistema federale tedesco, la responsabilità del governo locale spetta ai Lander, le superpotenti regioni tedesche, ognuno con strutture di governance diverse nelle diverse aree metropolitane. Il governo federale interviene nello sviluppo locale principalmente attraverso le leggi e il sostegno finanziario, mentre i governi locali hanno pieni poteri di prendere decisioni autonome. Come Amburgo e Brema, Berlino è una città-stato, con poteri ed entrate/risorse analoghi a quelli dei Lander. Berlino non ha un organo di governo metropolitano poiché il tentativo di formare un’area metropolitana che include il Lander di Brandeburgo, che circonda interamente Berlino, fallì nel 1996, quando venne bocciato al referendum il cosiddetto “Atto di Unione”. La collaborazione avviene, quindi, attraverso il “Dipartimento di Pianificazione territoriale congiunta Berlino-Brandeburgo”, ente territoriale stabilito, sempre nel 1996, che può prendere decisioni di pianificazione e gestione del territorio a livello di stato federale. Berlino ha un sistema di governance centralizzato ma localmente sviluppato su due livelli. Le 12 circoscrizioni sono responsabili di compiti municipali, principalmente legati alla fornitura di servizi e all’attuazione delle politiche urbane. Legalmente, le amministrazioni delle circoscrizioni possono agire solo “per conto del Land Berlin”. Il governo di Berlino (il Senato) è composto da un gabinetto con otto senatori e un sindaco, il cosiddetto “borgomastro”, primo ministro dello stato federale, eletto dalla Camera dei Rappresentanti di Berlino (il Parlamento) e che, a sua volta, nomina tutti i senatori. Sono proprio i senatori che assicurano l’integrazione tra i livelli e le agende di pianificazione, e non il sindaco, differentemente da come avviene a Londra, che formula solo le linee guida generali della politica del governo, verificandone il rispetto da parte dei membri del Senato.

BARCELLONA

La città è un recente esempio della creazione di una struttura di governance su due livelli: nel 2010 il Parlamento regionale ha approvato una legislazione che ha creato un governo metropolitano di livello superiore, e 36 governi di livello inferiore che operano nei comuni, un’amministrazione pubblica che nella pratica è un’intercomunalità come quella di Parigi. Tale nuova amministrazione pubblica metropolitana (denominata “Area Metropolitana di Barcellona”), nata nel 2011, ha sostituito le tre entità metropolitane in vigore fino a quel momento (Associazione dei Comuni dell’Area Metropolitana di Barcellona, basato sulla partecipazione volontaria di 31 comuni; Ente Ambientale, comprendente 33 comuni; ed Ente Metropolitano dei Trasporti, costituito da 18 comuni), riducendo enormemente la sostanziale complessità del precedente sistema. Il nuovo Consiglio metropolitano è eletto indirettamente e comprende 90 consiglieri, il comitato direttivo e il presidente. Tutti i sindaci nell’area metropolitana siedono al Consiglio metropolitano e tra di essi viene eletto il presidente. Il “Modello Barcellona” consisteva, e consiste ancora, in un approccio di “Strategic Planning”, attuato attraverso consorzi che includono diversi attori, tra cui camere di commercio, università e associazioni non-profit. Dagli anni Ottanta, attraverso le numerose associazioni civiche e di quartiere, la governance di Barcellona si caratterizza per una forte partecipazione dei cittadini nei processi di decision-making, caratteristica che ha decretato il successo dei giochi Olimpici tenuti nella città nel 1992, mettendo in atto un circolo virtuoso di crescita economica e coesione sociale.

I PRIMI PASSI VERSO LA RIFORMA DELLA CAPITALE

L’analisi comparata dei sistemi di governance di alcune delle più importanti capitali europee ci aiuta a comprendere che Roma può e deve ritrovare la propria centralità internazionale nel vedersi riconosciuta una particolare autonomia, dovuta al suo stato di Capitale.

Finalmente qualcosa si sta smuovendo nella direzione di una modifica delle funzioni e della governance della Capitale, come dimostra la proposta di riforma costituzionale avviata a marzo scorso ed il cui iter di approvazione ha avuto inizio dall’8 settembre. L’obiettivo della riforma, modificando l’articolo 114 della Costituzione, è quello di implementare i poteri e l’autonomia decisionale e gestionale di Roma, analogamente alle Regioni e alle città metropolitane europee, dotando in tal modo la Capitale di uno statuto proprio, con la precisa elencazione dei poteri dei vari organi istituzionali e dei limiti alle competenze attribuite. Grazie alla riforma, la Capitale potrà avere accesso diretto ai fondi nazionali, senza intermediari ed in tempi più brevi.

Entro la fine di questo mese si prevede che i parlamentari del comitato ristretto in commissione Affari Costituzionali alla Camera arrivino a un testo condiviso che unisca le sei proposte già depositate in Parlamento. L’obiettivo è quello di garantire alla Capitale le più qualificanti funzioni delle Regioni: competenze legislative, autonomia differenziata e potere di ricorrere alla Corte costituzionale. Parallelamente alla riforma costituzionale, si richiede l’approvazione di una legge ordinaria per il trasferimento dalla Regione alla Capitale di maggiori poteri su beni culturali, edilizia pubblica e privata, funzionamento dei servizi pubblici e la riorganizzazione dei Municipi.

Bisogna quindi andare dritti per questa strada, continuare con il percorso intrapreso, perché riconoscere a Roma l’autonomia, le competenze e l’accesso alle risorse di cui una capitale di tale importanza e di tale estensione territoriale e popolazione (superiori a quelle di diverse Regioni italiane) necessita, snellendo in tal modo i processi decisionali, permetterebbe alla Capitale di ritrovare quel ruolo di città globale, non solo nei suoi aspetti più tradizionali, legati ad un passato importante che c’è stato, ma anche nel suo significato più moderno, di innovazione, di centro di rilancio economico, di connessioni finanziarie e multinazionali, di un più efficiente uso della tecnologia e degli standard internazionali. Ciò le consentirebbe di rivalorizzare le sue ricchezze, il suo patrimonio artistico, paesaggistico e culturale, e di capire e risolvere i problemi dei singoli territori, in un’ottica davvero globale.

LE AZIONI DA INTRAPRENDERE

Un modello di governance duale può sicuramente aiutare a realizzare in modo più efficace tutta una serie di azioni, già messe in campo nelle altre aree metropolitane, riguardanti più ambiti di intervento, che rappresentano dei driver fondamentali di sviluppo.

Tra le principali azioni intraprese negli ultimi anni dalle altre capitali europee meritano di essere citate come esempio da seguire le azioni per la realizzazione di partenariati tra pubblico e privato, la creazione di distretti di innovazione ed eco-sostenibilità, quelle per la realizzazione di grandi eventi e per la riqualificazione urbana, quelle per le infrastrutture e la mobilità metropolitana, per la promozione e il city branding e, infine, le azioni volte a rendere le capitali delle smart city.

I partenariati, tra l’altro, consentono di agire per i diversi livelli territoriali coinvolgendo attori pubblici e privati nell’elaborazione di piani strategici su diverse tematiche e per promuovere le caratteristiche dei territori. I distretti di innovazione ed eco-sostenibilità garantiscono un importante punto di riferimento per industrie e investitori che cercano partner, infrastrutture e know-how, promuovono settori come le bio-scienze, quello sanitario, l’energetico, realizzando sinergie tra le università e i laboratori di ricerca privati. I grandi eventi e la riqualificazione urbana sono fondamentali per valorizzare la propria città a livello internazionale, dando nuovo valore al territorio. Le azioni per le infrastrutture consentono di ottimizzare e gestire al meglio la mobilità urbana. Le azioni di promozione e city branding sono necessarie se si vuole attrarre investimenti nel proprio territorio e promuovere le proprie aziende a livello internazionale. Allo stesso modo, i progetti per una smart city consentono di migliorare la vita del cittadino, espandere la propria competitività, di puntare all’innovazione e alla trasformazione digitale in modo concreto.

È una grande occasione, quindi, concentrarsi sugli esempi concreti e già realizzati dagli altri. Una possibilità da prendere con la massima serietà per esserne stimolati, per valutarne con imparzialità le opportunità e coglierle, e le criticità per porvi preventivamente rimedio.

Vi è sicuramente ancora molto lavoro da fare a Roma per renderla al passo con le altre capitali europee, ma avendo chiara la visione, insieme a una governance efficace e ad azioni organiche che la inseriscano nella competizione internazionale, la nostra Capitale può davvero ripartire e tornare a splendere.

La Capitale d’Italia è certamente una questione nazionale, non solo del territorio, le cui soluzioni per risollevarla devono coinvolgere tutti, ma tali soluzioni, piuttosto che arrivare dall’alto o dal passato, devono arrivare dai romani. Sono i romani che devono prendersi il ruolo di “amministratori” della città, poiché tale ruolo può svolgerlo al meglio chi Roma la conosce profondamente, nei suoi dati strutturali e nei suoi asset intangibili, ma anche nelle sue dinamiche specifiche. E nessuno può farlo meglio dei romani, di chi la Capitale la vive e la respira ogni giorno.

L’obiettivo è necessariamente costruire una nostra Capitale che sia ammirata più per la sua capacità di fare guardando al futuro che di dire pensando al passato.

Le basi metodologiche ci sono, è ora di puntare con autorevolezza ed efficacia alle altezze.


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