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Russia, Turchia, Emirati Arabi Uniti. E i servizi organizzano e indagano

La recente riformulazione del ruolo del Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa da parte di Vladimir Putin fornisce alcune indicazioni sulla direzione in cui presto sarà annunciata la strategia di sicurezza nazionale che attraverserà i mari, i confini e sicurezza delle informazioni di importanza strategica. L’analisi di Giancarlo Elia Valori

L’FSB (Federal’naja Služba Bezopasnosti Rossijskoj Federácii, Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa) – nato nel 1995 sulle ceneri del Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti (KGB), Comitato per la Sicurezza dello Stato – è pronto per ulteriori responsabilità nell’ambito della nuova strategia di sicurezza nazionale. La recente riformulazione del ruolo dell’FSB da parte di Vladimir Putin fornisce alcune indicazioni sulla direzione in cui presto sarà annunciata la strategia di sicurezza nazionale che attraverserà i mari, i confini e sicurezza delle informazioni di importanza strategica.

Il 1° giugno scorso il presidente Putin ha emesso un decreto che delinea le nuove priorità che saranno date all’FSB nella strategia di sicurezza nazionale rivista della Russia, che sostituisce quella che ufficialmente si è conclusa lo scorso anno.

Le modifiche al quadro normativo del servizio di intelligence, anche periferico, danno qualche indicazione delle priorità di sicurezza del Cremlino. Alcune delle principali modifiche includono ulteriori responsabilità per la sicurezza delle informazioni, la lotta al terrorismo, il controllo delle frontiere e più forti tutele degli interessi marittimi.

Il controllo delle frontiere e i vari riferimenti all’antiterrorismo, inteso nella sua accezione più ampia, come recentemente definito da Mosca, significa affidare al servizio di sicurezza una serie di nuove aree, compresa la ridefinizione delle procedure per rilevare la radicalizzazione politica.

Anche il controllo delle frontiere viene rafforzato nelle norme riviste, con le guardie di frontiera dell’FSB i quali acquisiranno registri, archivieranno i dati biometrici nonché otterranno ed elaboreranno le informazioni sul DNA ottenute durante i controlli di frontiera.

I dettagli sull’accesso al suolo russo fanno luce sui problemi del Cremlino per quanto riguarda i propri connazionali. Nell’articolo sul coinvolgimento dell’FSB nel controllo dell’ingresso in Russia, il decreto rende menzione di «territori che richiedono un’‘autorizzazione speciale’» come la Transnistria, alcune parti della Georgia e l’Ucraina orientale, e afferma che l’FSB sarà coinvolto in un programma nazionale per aiutare il rimpatrio volontario dei russi che vivono all’estero.

L’informazione è un bene prezioso, e la sicurezza delle informazioni è sempre stata una delle principali preoccupazioni del Cremlino, per cui la nuova strategia rende l’FSB l’agenzia principale, e non solo l’utente finale riguardo computer, sicurezza e crittografia delle telecomunicazioni.

Esso supervisionerà l’implementazione della nuova sicurezza tecnologica in tutta la comunità. Tutto questo è stato abbozzato in una legge a dicembre che ha ridefinito il ruolo del Centro per le licenze, la certificazione e la protezione dello Stato da parte dell’FSB. Esso concederà licenze per l’uso di «mezzi tecnici speciali destinati a ricevere segretamente informazioni».

L’FSB esaminerà anche i brevetti per invenzioni classificate. Oltre al suo ruolo ufficiale nella guerra dell’informazione, l’FSB è stato incaricato di produrre più misure di sicurezza per proteggere l’identità di agenti dell’intelligence russa, e custodire la riservatezza dei propri funzionari e soldati.

Il servizio di sicurezza interna istituirà anche un nuovo procedura per ispezionare agenti e individui che entrano nell’esercito, nei servizi di intelligence e nell’amministrazione federale. Usando la protezione della vita marina quale ulteriore incarico, l’FSB avrà anche maggiori responsabilità per i mari, compreso competenze sulla protezione delle zone di pesca al di fuori della zona economica esclusiva della Russia, l’istituzione di posti di blocco per i pescherecci in entrata o in uscita dalla zona e il potere di sospendere il diritto di passaggio per le navi straniere in alcune zone marittime russe.

Il servizio definirà anche la struttura delle sedi operative nelle zone marittime. Queste misure seguono una legge approvata lo scorso ottobre che delinea il ruolo dell’FSB nell’«istituzione di controlli nella pesca e nel conservazione delle risorse biologiche del mare».

Un concetto importante nella storia e vita russe è quello di silovik. Egli è un rappresentante di agenzie statali responsabili dell’applicazione della legge, di agenzie di intelligence, di forze armate e di altre strutture a cui lo Stato delega il diritto di usare la forza. Tale concetto è spesso esteso ai rappresentanti dei gruppi politici, ma anche agli uomini d’affari, associati alle strutture di potere in Russia o in passato nell’Unione Sovietica.
Come termine gergale, questa parola è usata in altre lingue come termine politico ampio nella conversazione quotidiana e nel giornalismo per descrivere i processi politici peculiari della Russia o dell’ex spazio sovietico. L’etimologia della parola è il termine russo sila, che significa forza.

Putin – cercando di rinnovare il predetto concetto – immette un nuovo impulso a tale significato. Dopo aver posto la questione all’ordine del giorno della Sicurezza Nazionale Consiglio del 28 maggio scorso, il presidente sta ora spingendo per la pubblicazione della strategia di sicurezza nazionale. Esso è stato ritardato nonostante il vicesegretario del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa (Sovet bezopasnosti Rossijskoj Federacii), Sergej Vachrukov avesse annunciato che era per essere pubblicato a febbraio.

Come si potrebbe comunemente credere i passi per rafforzare i servizi segreti russi, non sono tanto in funzione del citato e filmico derby fra 007, ma s’intendono principalmente mirati verso il tradizionale avversario “ottomano” di Mosca ossia la vicina Turchia.

L’incontro ufficiale di Recep Tayyip Erdoğan con il consigliere per la sicurezza nazionale degli Emirati Arabi Uniti, Tahnun bin Zayed al-Nahyan e i rinnovati legami con Abu Dhabi sono il frutto di operazioni di intelligence regionali dietro le quinte, nei quali il Cremlino vuol vederci chiaro.

Mentre c’è ancora un profondo divario politico sia fra Russia e Turchia, che fra Turchia ed Emirati Arabi Uniti, tra questi ultimi due Paesi, il presidente turco spera di incoraggiare un futuro investimento emiratino. L’incontro senza precedenti del presidente turco Erdoğan con il rappresentante della sicurezza nazionale degli Emirati Arabi Uniti, il predetto al-Nahyan ad Ankara il 18 agosto scorso, può essere in gran parte attribuito al lavoro di i servizi di intelligence dei due Paesi e di altri degli mesi.

C’è voglia di voltare pagina su otto anni di gelide relazioni, cristallizzate dal rovesciamento nel 2013 dell’egiziano Mohamed Morsi, un membro dei Fratelli Musulmani vicino alla Turchia e fermamente osteggiato dagli Emirati Arabi Uniti.

I passi verso la riconciliazione sono iniziati il 5 gennaio 2021 al vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo di al-Ula. Il vertice che, decretando la fine dell’isolamento del Qatar, ha aperto la strada ad un ripristino delle relazioni fra Emirati Arabi Uniti e Turchia. Dopo il vertice, al-Nahyan si è recato al Cairo dove ha incontrato il presidente Abdel Fattah al-Sisi, che lo ha fortemente incoraggiato ad aprire un nuovo capitolo con Ankara.

Proprio nello stesso momento, il servizio di intelligence egiziano, Mukhabarat al-Amma, si impegnava in colloqui segreti con la loro controparte turca, il Milli İstihbarat Teşkilatı. Ma è stato l’incontro di al-Nahya con il capo dell’intelligence turco Hakan Fidan al Cairo, poche settimane dopo, che ha ottenuto i primi risultati.

Questo incontro è stato organizzato dal capo del Mukhabarat al-Amma e da Abbas Kamel, responsabile regionale di al-Sisi insieme a Ahmed Hosni, uomo forte del giordano Dayirat al-Mukhabarat al-Amma, che re Abdallah II aveva inviato da Amman. Da allora, ci sono stati altri otto incontri, fra Ankara ed Abu Dhabi, che poi hanno condotto al succitato incontro di Erdoğan con al-Nahyan, con la possibilità di un loro futuro vertice.

Questo riavvicinamento ha ancora difficoltà a nascondere il profondo divario tra i due Paesi in questioni regionali chiave: in particolare le rispettive posizioni su Siria e Libia. Mentre sono riusciti a trovare alcune aree di comprensione – por fine alle campagne diffamatorie e ai blocchi al commercio, riprendere il rilascio di visti, i collegamenti aerei diretti e il ritorno degli ambasciatori – Erdoğan e al-Nahyan stannno semplicemente tacendo sulle loro attuali differenze inconciliabili.

Le considerazioni politiche sono messe da parte per favorire i futuri investimenti degli Emirati Arabi Uniti in Turchia.

Il 25 agosto, il conglomerato emiratino International Holding CO ha annunciato che avrebbe dovuto investire massicciamente in Turchia, industrie sanitarie e agroalimentari mentre sembra che il fondo sovrano Abu Dhabi Investment Authority sia disposto a prestare ad Ankara 875 milioni di dollari statunitensi.
Sono solo affari? Mosca indaga.



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