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Se la Difesa europea è un vaso di coccio. Il corsivo di Stefanini

La Difesa europea non è un problema di mezzi, ma di volontà politica. Mentre ad Est Putin marcia insieme a Lukashenko nell’esercitazione Zapad e Biden muove le sue pedine nell’Indo-Pacifico, a Bruxelles firmano letterine di intenti. Il corsivo di Stefano Stefanini, già rappresentante permanente dell’Italia alla Nato

“Abbiamo bisogno di una Unione Europea della Difesa”. Mentre Ursula von der Leyen lo annunciava solennemente nel discorso sullo stato dell’Unione a Strasburgo, Corea del Nord e Corea del Sud si scaldavano ai bordi del Mar cinese settentrionale con uno scambio sperimentale di missili balistici – in grado, quelli nordcoreani, di raggiungere il Giappone; quelli sudcoreani la Cina.

Stati Uniti, Regno Unito e Australia lanciavano una nuova alleanza che vedrà sommergibili australiani a propulsione nucleare solcare le acque del Pacifico e dell’Indiano. Russia e Bielorussia concludevano una maxi-esercitazione militare ai confini con Polonia e Baltici.

Un inconsapevole abisso separava Strasburgo dal mondo reale. L’Ue si destreggia fra “Compasso Strategico”, esercizio di pianificazione di una risposta unitaria in difesa e sicurezza, nuova dichiarazione congiunta Ue-Nato prima della fine dell’anno, e vertice sulla difesa europea da convocare sotto presidenza francese, nella prima metà del 2022. Intorno a noi, si spostano velocemente le placche tettoniche della sicurezza internazionale.

La Presidente della Commissione ha confermato che l’Ue intende dotarsi di nuovi “battlegroup”. Josep Borrell l’aveva all’indomani del caotico ritiro da Kabul che aveva visto gli europei ancora una volta dipendenti dagli americani, se non per i voli – l’Italia ha fatto egregiamente con i propri mezzi – per la sicurezza dell’aeroporto. Un “battlegroup” corrisponde a un battaglione, cioè a circa 1500 unità. Borrell ne aveva menzionate 5000; per l’evacuazione da Kabul gli americani ne avevano spiegati circa 6000 che corrisponderebbero a circa quattro nuovi contingenti Ue.

A poco più di un migliaio di chilometri di distanza dal Parlamento europeo, forze armate russe e bielorusse, con vari osservatori asiatici (cinesi, pakistani), stavano portando a termine la massiccia esercitazione Zapad (Occidente) 2021. Non sulle lontane acque del Pacifico, nelle pianure al centro dell’Europa, a ridosso del perimetro Ue e Nato. Secondo Mosca, che però tende a inflazionare, vi partecipavano circa 200.000 unità. In aggiunta alle forze russe ai confini dell’Ucraina, della Georgia, in Transnistria. Sul piano della sicurezza europea i nuovi battlegroup saranno poco più di una goccia nel mare.

Ad onor del vero, von der Leyen non ha cercato di presentare la difesa europea come un toccasana, solo come parte di una soluzione ancora fortemente transatlantica. Ha fatto un quadro realistico di quanto l’Ue possa fare in materia di difesa e sicurezza, mettendo l’accento su alcuni punti di forza quali resilienza, sicurezza informatica, missioni militari-civili e su obiettivi importanti come interoperabilità e intelligence.

Né ha torto nel dire che “non c’è più bisogno di eserciti e missili per provocare danni massicci”, lo si può fare anche da “un portatile” – ma questo non pone l’Europa al sicuro da chi ha eserciti e missili. Si è anche saggiamente astenuta dalla frase fatta “autonomia strategica”. Avrebbe dovuto spiegare come detta autonomia sia però “complementare” – alla Nato. Neanche in un tema di terza elementare si confonderebbe autonomia con complementarità.

La Presidente della Commissione ha usato le parole giuste. Il problema è che sono, appunto, parole. In Hindu Kush, nel Pacifico, nelle pianure russe e bielorusse, nel Golfo, in Siria, in Libia, nella corsa missilistica delle due Coree e dell’Iran, abbondano i fatti. E quanto a fatti, ad ormai quattro anni dal rilancio della difesa europea attraverso la PESCO (“cooperazione strutturata”), la montagna Ue ha partorito solo topolini.

Non è un problema di mezzi – in Europa non manca nulla né risorse né tecnologia, neppure la deterrenza nucleare – francese e, fuori Ue, britannica – ma di volontà politica. Che deve venire dalle capitali che contano (poche). L’Ue che, a differenza della Nato, non è un’alleanza militare difensiva, non prevede alcun impegno di reciproca assistenza in caso di aggressione, non può sostituirsi alle nazioni.

Può darsi che il vertice che Emmanuel Macron e von der Leyen presiederanno insieme l’anno prossimo darà la sferzata necessaria alla difesa europea. Speriamo. Fra sei mesi. Per ora dobbiamo accontentarci dei battlegroup e di tante buone parole. E sapere che il resto del mondo, amici e nemici, non sta a guardare.

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