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Silvio for president? La lettura di Cazzola

Credo che il discorso di Berlusconi sulle pagine del Corriere finirà ben presto in archivio, dove sarà interpretato come un colpo d’ala di una personalità politica, che tenta di far dimenticare il suo passato. Ma, oltre all’età, sarà proprio quel passato, a tarpare il sogno di finire un’esistenza ricca di esperienze e di successi, come di sconfitte e delusioni, sul Colle più alto di Roma. L’opinione di Giuliano Cazzola

L’intervento di Silvio Berlusconi sul Corriere della Sera non è soltanto il contributo di uno statista per caso in occasione di una crisi internazionale apparentemente locale, ma destinata a ridisegnare le tradizionali coordinate della geopolitica. Ma è qualcosa di più e di più impegnativo: si tratta di un discorso programmatico in vista delle elezioni del presidente della Repubblica. Un discorso che non è rivolto solo ai partiti, ma a tutto il Paese. Non è ancora una candidatura formale, ma un chiaro avviso ai grandi elettori: “in quella partita potrei essere in campo anch’io”.

I panni indossati da leader del centro destra gli starebbero troppo stretti. Nel suo intervento Berlusconi tenta di tracciare un perimetro che possa ricomprendere al proprio interno un ampio schieramento di forze. Il suo sembrerebbe quasi il tentativo di dotare di un’anima politica e di una visione comune una coalizione in cui ogni partito tende a trovare elementi di differenziazione dagli altri piuttosto che di unità di intenti.

L’ex premier si rende garante dei valori europei e della lealtà dell’Italia nei confronti dell’Unione, sottolinea gli importanti risultati raggiunti, ma ne indica – partendo da una presa di coscienza di un nuovo ruolo internazionale – i limiti e i progressi da compiere nel nuovo scenario internazionale in cui gli Usa stanno cambiando il baricentro della loro politica estera per “fronteggiare il pericolo egemonica ed espansionista cinese”.

In un Paese in cui i partiti rincorrono problemi non per la loro importanza, ma la possibilità di farne degli elementi di lotta politica identitaria, Berlusconi si è dimostrato consapevole del fatto che è la politica estera (ovvero le alleanze e gli interessi sovra nazionali) a condizionale quella interna. E che la politica estera non può essere tale se condotta da ‘’profeti disarmati’’, che restano tali quando si avvia a chiudersi l’appalto della nostra sicurezza al potente alleato americano.

La crisi afghana deve indurci – secondo Berlusconi. Deve essere il primo passo in quella direzione. Nei confronti del governo Draghi si avverte, nell’intervento, un indiscusso sostegno su quanto è stato fatto ed una chiara indicazione ad orientare la politica europea dopo gli scenari che potrebbero mutate a seguito degli esiti delle elezioni politiche in Francia e Germania. In tutto il corso della vicenda politica di Berlusconi ci sono altri tre discorsi che inciso sulla vita politica del Paese al pari dell’intervento sul Corriere della Sera.

Quello della sua discesa in campo del 1994, col quale fece intendere all’elettorato che della storia politica dell’Italia non erano rimasti protagonisti soltanto i partiti salvati dalla pulizia etnica delle procure. Ma quello fu un intervento di parte, che si contrapponeva ad una prospettiva che ormai pareva certa. Per molti anni Berlusconi ha dovuto difendersi, rivendicare una legittimità acquisita dal voto dell’elettorato, ma negata a livello dei rapporti istituzionali.

Quando nel 2008 la vittoria del Popolo della Libertà fu schiacciante. E a Berlusconi era persino riuscito di sdoganare Gianfranco Fini all’interno del Pdl. Nel discorso sulla fiducia alla Camera (che era la risposta ad una campagna elettorale civile e svolta sui contenuti dal Pd di Walter Veltroni) Berlusconi tentò di aprire una pagina nuova a livello dei rapporti politici. E si avvicinò molto a questo obiettivo con il famoso discorso di Onna, il 25 aprile del 2009, pronunciato all’indomani della tragica catastrofe del terremoto in Abruzzo.

I tempi sono maturi – declamò l’allora premier, perché la festa della liberazione “diventi festa di libertà. La resistenza fu un valore fondante della Costituzione” ma bisogna avere rispetto per tutti i combattenti, fossero essi partigiani o repubblichini, perché questo non vuol dire essere neutrali. Fu un discorso che voleva chiudere una ferita rimasta aperta dalla fine della seconda guerra mondiale, che Berlusconi non riuscì a risanare. Anche in questi ultimi giorni, vi è stato qualcuno che – rovistando nell’immondezzaio della storia – ha preteso di disconoscere la strage delle Fosse Ardeatine, come mattanza di pulizia etnica.

Per concludere credo che il discorso di Berlusconi sulle pagine del Corriere finirà ben presto in archivio, dove sarà interpretato come un colpo d’ala di una personalità politica, che tenta di far dimenticare il suo passato. Ma, oltre all’età, sarà proprio quel passato, durante il quale alle procure è riuscito il capolavoro giustizialista di trasformare stili di vita discutibili in veri e propri reati, a tarpare il sogno di finire un’esistenza ricca di esperienze e di successi, come di sconfitte e delusioni, sul Colle più alto di Roma.



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