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La Chiesa, con il sinodo, dice addio al clericalismo

È stato presentato oggi il Documento preparatorio della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi che si terrà a ottobre prossimo. Il sinodo, parola greca che vuol dire “camminare insieme”, diventa una vera e propria assemblea ecclesiale, cioè un’assemblea di tutto il popolo di Dio, consacrati e laici. Addio clericalismo. Quella odierna è davvero una giornata importante per la comprensione della parola “Chiesa”. Il commento di Riccardo Cristiano

Dopo più di cinquant’anni le vere intenzioni di Paolo VI quando istituì il sinodo dei vescovi trovano finalmente attuazione.

Leggere il Documento preparatorio della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi illustrato oggi lo rende esplicito a tutti. Le resistenze del verticismo, del centralismo e del clericalismo sono state superate. Il sinodo, parola greca che vuol dire “camminare insieme” diventa una vera e propria assemblea ecclesiale, cioè un’assemblea di tutto il popolo di Dio, consacrati e laici. Addio clericalismo.

Il documento illustra i parametri che declinano “la sinodalità come forma, come stile e come struttura della Chiesa”. Basta leggere per rendersi conto di cosa questo significhi: “La sinodalità rappresenta la strada maestra per la Chiesa, chiamata a rinnovarsi sotto l’azione dello Spirito e grazie all’ascolto della Parola. La capacità di immaginare un futuro diverso per la Chiesa e per le sue istituzioni all’altezza della missione ricevuta dipende in larga parte dalla scelta di avviare processi di ascolto, dialogo e discernimento comunitario, a cui tutti e ciascuno possano partecipare e contribuire”.

Il testo chiarisce bene per chi non avesse inteso: “La sinodalità non è una questione di semplice amministrazione interna alla Chiesa; essa indica lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa Popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice”. Bergoglio lo aveva detto chiaramente nel 50esimo anniversario dell’istituzione del sinodo dei vescovi: “Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola Sinodo. Camminare insieme – Laici, Pastori, Vescovo di Roma – è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica”.

Quel discorso parlò al mondo, in questa prospettiva: “Una Chiesa sinodale è come vessillo innalzato tra le nazioni in un mondo che – pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica – consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere. Come Chiesa che ‘cammina insieme’ agli uomini, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell’autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più bello e più degno dell’uomo per le generazioni che verranno dopo di noi”.

Era il 17 ottobre 2015, e il 17 ottobre del 2021 il cammino sinodale comincerà in ogni Chiesa del mondo. Prima, il 9 e 10 ottobre prossimi, la solenne apertura romana. Dunque Roma darà avvio a un cammino che si articolerà in ogni Chiesa, al quale seguirà il propriamente detto sinodo dei vescovi, nell’ottobre del 2023, che sarà seguito dalla fase attuativa, ancora in ogni Chiesa.

Una breve presentazione di alcuni dei punti più importanti del documento preparatorio non può che partire di qui: cosa vuol dire che la sinodalità è struttura della Chiesa? Vuol dire “fare memoria di come lo Spirito ha guidato il cammino della Chiesa nella storia e ci chiama oggi a essere insieme testimoni dell’amore di Dio; vivere un processo ecclesiale partecipato e inclusivo, che offra a ciascuno – in particolare a quanti per diverse ragioni si trovano ai margini – l’opportunità di esprimersi e di essere ascoltato per contribuire alla costruzione del Popolo di Dio; riconoscere e apprezzare la ricchezza e varietà dei doni e dei carismi che lo Spirito elargisce in libertà, per il bene della comunità e in favore dell’intera famiglia umana; sperimentare modi partecipativi di esercitare la responsabilità nell’annuncio del Vangelo e nell’impegno per costruire un mondo più bello e più abitabile; esaminare come nella Chiesa vengono vissuti la responsabilità e il potere, e le strutture con cui sono gestiti, facendo emergere e provando a convertire pregiudizi e prassi distorte che non sono radicati nel Vangelo; accreditare la comunità cristiana come soggetto credibile e partner affidabile in percorsi di dialogo sociale, guarigione, riconciliazione, inclusione e partecipazione, ricostruzione della democrazia, promozione della fraternità e dell’amicizia sociale; rigenerare le relazioni tra i membri delle comunità cristiane come pure tra le comunità e gli altri gruppi sociali, ad esempio comunità di credenti di altre confessioni e religioni, organizzazioni della società civile, movimenti popolari; favorire la valorizzazione e l’appropriazione dei frutti delle recenti esperienze sinodali a livello universale, regionale, nazionale e locale”.

Sembra difficile non cogliere la portata di queste indicazioni, dal più puro e semplice punto vista ecclesiale, cioè di cosa sia e di chi sia la Chiesa. Ma non basta. Ci sono dei riferimenti importanti all’attualità, quella concreta, fattuale. “La pandemia pur tra grandi differenze, accomuna l’intera famiglia umana, sfida la capacità della Chiesa di accompagnare le persone e le comunità a rileggere esperienze di lutto e sofferenza, che hanno smascherato molte false sicurezze, e a coltivare la speranza e la fede nella bontà del Creatore e della sua creazione. Non possiamo però nasconderci che la Chiesa stessa deve affrontare la mancanza di fede e la corruzione anche al suo interno. In particolare non possiamo dimenticare la sofferenza vissuta da minori e persone vulnerabili: per troppo tempo quello delle vittime è stato un grido che la Chiesa non ha saputo ascoltare a sufficienza. Si tratta di ferite profonde, che difficilmente si rimarginano, per le quali non si chiederà mai abbastanza perdono e che costituiscono ostacoli, talvolta imponenti, a procedere nella direzione del camminare insieme. La Chiesa tutta è chiamata a fare i conti con il peso di una cultura impregnata di clericalismo, che eredita dalla sua storia, e di forme di esercizio dell’autorità su cui si innestano i diversi tipi di abuso. Insieme chiediamo al Signore la grazia della conversione e l’unzione interiore per poter esprimere, davanti a questi crimini di abuso, il nostro pentimento e la nostra decisione di lottare con coraggio”. Questo è imprescindibile.

E se è imprescindibile questo è imprescindibile quanto si legge nella parte dedicata ai vescovi: “I Vescovi abbiano cura di raggiungere tutti. Il senso del cammino a cui tutti siamo chiamati è anzitutto quello di scoprire il volto e la forma di una Chiesa sinodale, in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo. Il Vescovo di Roma richiede a tutti i Vescovi e a tutte le Chiese particolari, nelle quali e a partire dalle quali esiste l’una e unica Chiesa cattolica di entrare con fiducia e coraggio nel cammino della sinodalità”.

Quella odierna è davvero una giornata importante per la comprensione di una parola, “Chiesa”. La vera riforma, della quale tanto si parla attendendo l’accorpamento di uffici o la creazione di uffici nuovi, è questa.



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