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Evergrande ma non solo. Cosa c’è dietro la grande crisi cinese. Parla Sisci

Intervista al sinologo e docente all’Università del Popolo di Pechino. Wall Street è legata a doppio filo alle economie globali, quando crollò il contagio fu inevitabile mentre in Cina ci sono compartimenti stagni che impediscono una crisi sistemica all’esterno. Pechino non ha idea di come salvare Evergrande, ma qualunque cosa faccia ne uscirà con le ossa rotte

No, Evergrande non è Lehman Brothers e la crisi immobiliare cinese forse è meno pericolosa di quanto si creda, almeno per il mondo. Per la Repubblica Popolare e la sua economia il discorso è diverso. Nei giorni in cui i risparmiatori cinesi, accampati fuori il quartier generale di Evergrande, assistono attoniti al collasso del gigante immobiliare, insolvente per 305 miliardi di dollari verso i creditori titolari di bond e con le azioni ormai ridotte a carta straccia (nella sola giornata del 17 settembre il titolo è crollato del 13%), è lecito domandarsi se la crisi finanziaria in atto in Cina può rimettere le lancette indietro di 13 anni, a quel settembre del 2008.

La riposta arriva presto se la domanda viene girata a Francesco Sisci, sinologo, già corrispondete per la Stampa dalla Cina e docente all’Università del Popolo di Pechino. No, le cose non stanno così. Ma soprattutto, non c’è quel rischio sistemico tanto temuto.

Il mondo sta assistendo a una crisi che a molti osservatori ricorda il dramma di Lehman Brothers. Come stanno le cose?

Quello di Evergrande è un dramma ma non così drammatico, perdoni il gioco di parole. Ma con Lehman Brothers questa faccenda non c’entra forse molto.

Perché?

Il dollaro e Wall Street erano e sono il centro della finanza mondiale, crollato un pezzo crollò il castello di carte. La Cina non è organicamente collegata con il sistema finanziario mondiale, come lo sono gli Stati Uniti. Ha una serie di compartimenti stagni e la moneta non è convertibile e dunque non ci può essere una fuga di capitali. E poi ci sono delle restrizioni amministrative, non si può comprare una casa in Cina e rivenderla a piacimento. Inoltre grandi riserve monetarie e un enorme surplus commerciale difendono il RMB da eventuali altri tentativi di attacco. Tutto questo di fatto isola dal mondo la finanza cinese, dunque è difficile che questa crisi cinese sfoci nel mondo.

Allora Sisci dobbiamo essere un po’ meno preoccupati di quanto non lo siamo adesso?

Credo di sì.

Però la Cina ha un serio problema di debito, non lo si può negare.

Vero, ma è un problema di debito interno. Vede, il debito italiano è esterno perché il 60% dei detentori sono stranieri. In Giappone l’80% dei sottoscrittori sono domestici, la cosa è diversa, e in Cina lo stesso. I problemi in Cina ci sono, ma sono diversi da altre parti del mondo. Alcuni  paragoni  con Lehman sono forvianti. Semmai il problema è la bolla immobiliare…

Che cosa è successo?

Negli ultimi 13-14 anni, all’indomani della crisi finanziaria, la Cina ha costruito moltissimo, trasformando il Paese. Ma ha costruito anche per la classe media, creando un enorme debito interno. Queste opere, queste infrastrutture hanno migliorato la qualità della vita della gente. Ma oltre alle infrastrutture si è costruito per il mercato privato seguendo però le logiche dei governi locali, i quali hanno il 50% delle entrate dalla vendita dei terreni su cui edificare.

Tutto questo in cosa si è tradotto?

In milioni di immobili fantasma nelle periferie, una situazione a macchia di leopardo. Da una parte, nelle periferie, c’è troppa offerta e poca domanda, nelle zone metropolitane è il contrario. Ma il punto è che gli immobiliaristi hanno seguito le logiche fiscali delle amministrazioni e non al mercato. E così le amministrazioni hanno ceduto i terreni con cui garantirsi le entrate, i costruttori hanno edificato a ritmi forsennati ma non hanno venduto. E qui il problema.

Sarebbe?

A questo punto, con le case invendute, non si riescono a ripagare le banche ed ecco che scatta il corto circuito anche perché la legge cinese non consente ai gruppi immobiliari di vendere le case a sconto patteggiando con i creditori per ripagare il debito contratto con le banche.

Torniamo ad Evergrande. Come se ne esce?

Non si sa, la questione è complessa. Un salvataggio di Stato non sarebbe uno scherzo, parliamo di 305 miliardi di dollari. Un salvataggio di queste dimensioni in Italia sarebbe per esempio gigantesco anche facendo le proporzioni col pil. E comunque una simile operazione avrebbe un impatto notevole sulla Cina, dove il settore immobiliare, che è tutto contaminato dalla crisi di Evergrande, è il settore di punta di quella economia. Insomma, non è una scelta facile.

Allora la Cina ne uscirà male, a prescindere dalla soluzione…

Esatto. Qualunque cosa faccia noci saranno danni. Qualcosa a Pechino si inventeranno ma non è chiaro che cosa.

Sisci ma tutto questo potrà essere da lezione a Pechino?

Non ci sono soluzioni facili . Non basta mettere una A al posto di una B e viceversa. E poi per capire come e dove si potrà intervenire occorre prima capire come il governo risolverà la crisi di Evergrande. Sono due cose collegate, prima si trova la soluzione a questa crisi, poi, si vedrà.


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