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Dai sottomarini ai satelliti. Così Aukus lancia la tecnopolitica

Usa, Uk e Australia hanno lanciato un’alleanza in funzione anticinese. Canberra acquisterà sottomarini nucleari statunitensi al posto di quelli francesi. Parigi si sente tradita, ma lo scontro sui sommergibili è solo la punta dell’iceberg di un confronto tecnopolitico tra Paesi alleati che riguarda (molto) anche lo Spazio L’opinione dell’ingegnere ed esperto aerospaziale Marcello Spagnulo

La cancellazione da parte del governo australiano del contratto con la ditta francese Naval Group per la realizzazione di dodici sommergibili a favore della fornitura di sottomarini a propulsione nucleare da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito, ha scatenato la reazione di Parigi che ha richiamato per consultazioni i propri ambasciatori a Washington e Canberra. Ciò ha certamente dato ampio risalto mediatico alla collera francese, ma gli sviluppi concreti di tali atti richiederanno altri passi e azioni.

Non interessa qui analizzare gli aspetti diplomatici della vicenda, quanto piuttosto elaborare sul tema della “tecnopolitica” che deriva dalla situazione creatasi a seguito della decisione australiana. Con il termine tecnopolitica non intendiamo far riferimento al fenomeno che vede le tecnologie dell’informazione e della comunicazione strutturare forme nuove della politica stessa, quanto quella forma di intreccio tra tecnologia e politica estera che produce, e altera, equilibri di potere e alleanze attraverso i canali delle relazioni commerciali e industriali tra paesi.

I sottomarini a propulsione nucleare sono in grado di assicurare all’Australia (e al Regno Unito che già ne dispone) una supremazia tecnologica in chiave di contenimento dell’espansionismo cinese, ma nel contempo costituiranno un legame tecnopolitico con gli Stati Uniti ancora più corposo di quello già esistente, e che sarà direttamente legato non solo alla disponibilità di tecnologia marittima ma anche cibernetica e spaziale.

Il legame tra spazio e sommergibili è infatti plurivalente. Il Gps che oggi tutti noi usiamo comunemente è stato sviluppato negli anni Settanta per la guida dei sottomarini nucleari statunitensi e delle testate missilistiche da essi lanciate. Poi, il suo uso è stato esteso alle applicazioni più disparate, anche civili, ma è sempre gestito dal Pentagono. Questi dal 2018 ha avviato i lanci del primo lotto di satelliti Gps di terza generazione, che offriranno una precisione tripla e una capacità anti-jamming di otto volte superiore rispetto all’attuale flotta operativa in orbita. E saranno ovviamente a disposizione dei sommergibili australiani, oltre che inglesi.

La seconda valenza del legame spazio-sottomarini è data dalla capacità di comunicare su lunghe distanze. Per le forze sottomarine la connessione sicura e ad alta velocità di trasmissione con i centri di comando e con le navi in dispiegamento nei teatri operativi è di fondamentale importanza. Poiché le onde radio non si propagano bene nelle masse d’acqua salata, i sommergibili a propulsione nucleare, che possono rimanere sommersi per mesi, usano potenti trasmettitori Vlf (Very low frequency) per le comunicazioni, le cui onde radio penetrano l’acqua di mare. Solo un pugno di Paesi al mondo gestiscono sistemi Vlf e pochissimi (Usa, Russia, India e Francia) sono noti per aver realizzato sistemi a radio frequenza Elf (Extremy low frequency) per raggiungere i sottomarini a profondità operative.

Entro il 2024 la US Navy doterà la propria flotta di sommergibili con antenne di ultimissima generazione, denominate SubHdr (Submarine High data rate) per collegare i mezzi subacquei con la flotta di satelliti geostazionari Milstar e con la costellazione Dscs (Defense satellite communications system) per comunicazioni sicure a banda larga. Ecco che quando un prodotto a tecnologia ultra sensibile, come un sottomarino nucleare, viene reso disponibile all’export, esso si integra con sistemi di comando e controllo che implicano dipendenza da ulteriori elementi, quali appunto quelli spaziali. Si viene così a determinare una dimensione di alleanza tecnopolitica a esplicito carattere industrial-militare in un modo stabile e duraturo.

C’è poi un trait-d’union comune che lega la dimensione sottomarina a quella spaziale: la sfera cibernetica. I sottomarini, per quanto fisicamente scollegati dal mondo e protetti da firewall non sono immuni da intrusioni cyber ma, come altri sistemi critici, non devono solo sopravvivere a questi attacchi, ma anche essere in grado di fornire la controffensiva di ultima istanza in un’ottica di deterrenza finale. Per questo, sottomarini, armi nucleari, satelliti e centri di comando e controllo devono essere progettati, assemblati, collaudati e aggiornati utilizzando personale e procedure di massima fiducia e questo crea un legame tecnopolitico tra Paesi in grado di formare alleanze, politiche e industriali, di lungo periodo. Ciò può avvenire per convenienze economiche o per comunanza di obiettivi geostrategici, cosa quest’ultima che sembra essere il caso dei sottomarini australiani.

A valle di quanto sopra, un’ultima considerazione sul tema spazio per quel che riguarda l’Unione europea. Nel 2016 l’allora primo ministro britannico Theresa May e il suo segretario agli Esteri Boris Johnson annunciarono la strategia per una nuova “Global Britain”, e due anni dopo, l’allora presidente Usa Donald Trump pose le basi per un accordo bilaterale strategico con il Regno Unito tale da portare a un incremento da quattro a cinque volte il valore della reciproca bilancia commerciale. L’amministrazione Biden sembra aver nei fatti seguito questo percorso e l’accordo Aukus ne è uno degli aspetti, quello militare.

L’Ue ha di fatto escluso gli inglesi dalla partecipazione al sistema di navigazione satellitare europeo Galileo dopo che il Regno Unito aveva investito circa 1 miliardo di sterline nel progetto. Nel 2020 il governo di Londra ha annunciato ingenti investimenti per lo Spazio, ha approvato un piano per costruire delle basi di lancio nel nord della Scozia e, infine, ha acquistato, evitandole il fallimento, la società OneWeb che oggi conta 288 satelliti in orbita e punta ad averne 648 entro i prossimi due anni. L’Unione europea non dispone di un’analoga capacità, quantomeno in termini numerici, di costellazioni per telecomunicazioni e ne sta progettando una per il 2030.

La reazione francese alla decisione australiana sui sottomarini sottende l’avvio di una forte spinta in ambito Ue per dar vita a un primo nucleo di Difesa comune europea, tutta da definire, di cui il tema dell’integrazione industriale (leggasi fusioni) tra aziende aerospaziali è un grande punto interrogativo che coinvolge direttamente l’industria nazionale. Circa quest’ultimo aspetto è bene drizzare le antenne e riflettere su alleanze a geometria variabile (termine qui ripreso da un editoriale del quotidiano francese Les Echos) in cui la sovranità nazionale, termine molto amato in Francia e meno in Italia, operi in relazione cooperativa e in autonomia decisionale vis-a-vis della dimensione interna ed esterna dell’Ue. Senza criticare il tema dell’appartenenza all’Europa, si può star bene al suo interno salvaguardando i propri interessi e anche guardando talora con più accortezza al perimetro extra-Ue.


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