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La trattativa che non c’era e la riforma della magistratura. Parla Caiazza (Camere Penali)

Secondo il presidente dell’Unione Camere Penali, il pronunciamento della Corte d’Assise d’appello è la prova di “un sistema mediatico-giudiziario che ha frantumato le vite degli imputati, e deve essere il punto di partenza per la vera riforma della giustizia”

Per chi non ama il tintinnio di manette, la sentenza della Corte d’Assise d’appello sulla presunta Trattativa Stato-Mafia suona come una conferma. Dell’innocenza del generale del Ros Mario Mori, di Antonio Subranni, di Giuseppe De Donno e perfino del senatore Marcello Dell’Utri, accusati di minaccia a Corpo politico dello Stato. Per i militari, secondo il tribunale, “il fatto non costituisce reato”, mentre l’ex senatore di Forza Italia è stato assolto per “non aver commesso il fatto”. Verdetto ribaltato. Sarà un boccone amaro da mandare giù per chi, attorno a questa “sconclusionata ipotesi accusatoria, ha costruito fortune editoriali e carrieristiche”. Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere Penali, è sempre stato convinto che il processo sia stata “una ben congegnata strategia per triturare la vita agli imputati”.

Caiazza, una sentenza storica, dopo anni di graticola giudiziaria.

Difatti il significato di questo pronunciamento della Corte d’Assise palermitana travalica i confini giudiziari. È la manifestazione dell’esistenza di un sistema mediatico-giudiziario che ha usato questo processo per esercitare un potere di influenza sulla politica e sulla vita sociale del Paese.

Qualcuno, secondo lei, pagherà per aver distrutto la vita agli imputati?

Mi sento di escluderlo, ed è la cosa che ritengo in assoluto più grave. In Italia abbiamo ancora un sistema che permette la totale impunità sotto questo profilo.

Secondo lei c’è stata una volontà di colpire e infangare l’arma dei Carabinieri?

Non credo. Però le figure degli ufficiali dei Carabinieri erano funzionali alla narrazione che si voleva fare di questo processo. Nell’ipotesi sconclusionata che era stata formulata, i militari sarebbero dovuti essere il braccio operativo della Trattativa.

L’assoluzione di Marcello Dell’Utri, politicamente, che riflessi avrà?

Al netto del caso di specie, il discorso politico è molto più ampio a margine di questa sentenza. Paradossalmente, per la classe politica nella sua interezza, questa è una grande occasione.

Per arrivare a quale obiettivo?

Si possono finalmente gettare le basi per una riflessione sulla vera riforma di cui ha bisogno il nostro Paese. Una riforma che riequilibri i rapporti fra i poteri dello stato. D’altro canto, il potere giudiziario in questi anni soprattutto ha condizionato fortemente quello politico. Generando quindi uno squilibrio democratico notevole. Su questi temi bisogna ragionare per cercare di arginare certe distorsioni della magistratura, attraversata da correnti e fazioni.

La riforma Cartabia, in questo senso, potrebbe rappresentare un punto di partenza per un passo avanti?

La riforma proposta dalla Guardasigilli è la dimostrazione di come l’influenza della magistratura sia capace di condizionare la politica a tutti i livelli. L’esempio lampante? Le pressioni che i giudici dell’Anm hanno fatto sulla parte relativa ai processi per mafia in ordine alla prescrizione. Questo squilibrio democratico deve essere risolto nel più breve tempo possibile.

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