Dopo le tensioni della prima parte dell’anno con sanzioni reciproche e stop all’accordo Cai, l’agenda Ue si infittisce di appuntamenti che potrebbero cambiare la relazione con Pechino (e anche quella con Washington)
Settembre sarà un mese di svolta per le relazioni tra Unione europea e Cina. La prima parte del 2021 ha preparato il terreno. Da una parte lo scambio di sanzioni, il congelamento dell’Accordo globale sugli investimenti e il rafforzamento dei legami transatlantici. Dall’altra lo sguardo europeo verso l’Indo-Pacifico e il recente ritiro dall’Afghanistan che ha rilanciato il dibattito sull’autonomia strategica.
Diamo un’occhiata ai prossimi appuntamenti da tenere d’occhio, messi in fila dagli analisti del Merics, per comprendere se e come cambieranno i rapporti tra Unione europea e Cina.
Si inizia il primo giorno del mese con la commissione per gli Affari esteri del Parlamento europeo chiamato a votare sul primo rapporto nella storia dell’Unione europea sui rapporti con Taiwan, che prevede anche una nuova denominazione per la rappresentanza dei 27 nell’isola, che dovrebbe passare da European Economic and Trade Office in Taiwan a European Union Office in Taipei.
Alla riunione informale dei ministeri degli Esteri organizzata dalla presidenza slovena il 2 e il 3 settembre la Cina sarà uno dei temi in agenda, e sarà la prima volta in questo formato. Fonti diplomatiche hanno spiegato a Stuart Lau di Politico che l’incontro sarà l’occasione per fare pressione sull’Ungheria in merito ad alcune dichiarazioni europee relative alla Cina concordate dagli altri 26 Stati membri. E che l’Unione europea non cambierà l’approccio alla Cina come “rivale sistemico”, “competitor economico” e “partner negoziale”. Il tutto nonostante le recenti dichiarazioni dell’Alto rappresentante Josep Borrell e le richieste di Pechino di rimuovere un “rivale sistematico”.
La plenaria del Parlamento europeo convocata dal 13 al 16 settembre voterà le raccomandazioni adottato dalla commissione per gli Affari esteri sulla revisione della strategia sulla Cina in cui viene posto l’accento su temi sensibili come i diritti umani, il 5G e la disinformazione.
Negli stessi giorni la Commissione europea e l’Alto rappresentante presenteranno una comunicazione congiunta sulla cooperazione nell’indo-Pacifico (il 14) e la presidenza Ursula von der Leyen toccherà il tema della connettività durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione (il 15).
Inoltre, entro fine mese, quello che si concluderà con le elezioni tedesche che metteranno fine a 16 anni di governo di Angela Merkel nel Paese e non soltanto (i Verdi, più duri con la Cina, faranno parte della coalizione di governo?), ci sarà il lancio ufficiale del Consiglio per il commercio e la tecnologia concordato da Unione europea e Stati Uniti in occasione della visita del presidente statunitense Joe Biden a Bruxelles di giugno.
Questo è soltanto settembre. Poi a ottobre si terrà una cena informale del Consiglio europeo con la Cina piatto forte per preparare il summit Ue-Cina previsto entro fine anno e l’Alto rappresentante pubblicherà un rapporto sulle relazioni tra Unione europea e Cina. In autunno è attesa anche la pubblicazione dei meccanismi di due diligence da parte della Commissione europea.
Infine, nella primavera dell’anno prossimo, due decisivi appuntamenti elettorali: quello in Francia e quello in Ungheria, dove Viktor Orbán si è rivelato in questi ultimi mesi uno dei migliori alleati della Cina. Con l’interrogativo sull’Italia in vista della corsa al Quirinale e le sue ripercussioni politiche. “Il Consiglio [europeo] potrebbe avere una base più forte per una politica europea sulla Cina più coesa se [Emmanuel] Macron mantenesse la presidenza in Francia, la Cdu/Csu o la Spd guidassero un governo di coalizione in Germania e [Mario] Draghi restasse primo ministro italiano”, notano gli analisti del Merics.
Senza dimenticare che i rapporti dell’Unione europea con la Cina influiscono inevitabilmente con quelli con gli Stati Uniti, che in questa fase sembrano più disponibili, rispetto ai decenni precedenti, ad ascoltare i discorsi di autonomia strategica. Ma a una condizione: che sia coerente con la Nato e i valori transatlantici, e non un modo per essere terzi tra Occidente e Oriente.