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Bitcoin made in Usa, anche no. L’America scettica secondo Fitch

Nonostante l’esodo delle società di mining dalla Cina in seguito alla repressione del Bitcoin, banche e finanziarie americane non sembrano ancora pronte ad abbracciare la criptovaluta. Colpa di una legislazione assente e di una mannaia fiscale pronta a colpire. Aspettando Amazon…

Il grande esodo del Bitcoin dalla Cina è ormai cominciato e non certo da ieri. E la via per la nuova Terra promessa della criptovaluta sembra essere proprio l’America, il Texas per la precisione. Da quando Pechino ha dichiarato guerra senza esclusione di colpi al Bitcoin, le società di mining che estraggono la moneta hanno cominciato a fare fagotto per lasciare la Repubblica Popolare. Operazione non certo tra le più agevoli, dal momento che bisogna trasportare oltre il Pacifico i voluminosi server senza i quali non si può procedere all’estrazione della criptomoneta.

Eppure le banche americane, le istituzioni più esposte all’avvento del Bitcoin in quanto crocevia delle transazioni presenti e future, sembrano ancora piuttosto scettiche verso questa ondata di criptomoneta che si sta per abbattere sugli Stati Uniti. E questo, spiega l’agenzia di rating Fitch in un report dedicato proprio al futuro delle criptomonete, per un motivo molto semplice: “la mancanza di una mancanza di legislazione o di chiare linee guida normative in materia”.

Condizioni che hanno reso “le banche statunitensi caute nell’entrare nell’universo del Bitcoin e degli asset digitali in genere. Gli sviluppi normativi e l’avvento di una legislazione adeguata sono e saranno condizioni essenziali per l’apertura delle banche tradizionali alle criptomonete. Senza di esse il timore continuerà a condizionare le loro scelte in chiave Bitcoin”, mette in chiaro Fitch.

Non è certo la prima volta che l’agenzia di rating esprime perplessità sul Bitcoin. In occasione dell’ingresso del Bitcoin nel novero delle monete aventi corso legale a El Salvador, Fitch in una nota aveva messo in guardia gli istituti di credito locali, spiegando che “usare Bitcoin per condurre transazioni quotidiane aumenterebbe l’esposizione delle istituzioni alla volatilità del credito”.

Oltre alla diffidenza delle banche, desiderose di un intervento normativo da parte dell’amministrazione Biden, a oggi latitante, c’è anche da fare i conti con il fisco a rendere più problematico l’ingresso del Bitcoin nell’economia americana. Nonostante non sia stato ufficializzato nulla, nei desiderata di Joe Biden c’è infatti un balzello proprio sulle transazioni in criptomoneta.  Nella fattispecie, il dovere di dichiarare il guadagno ottenuto da qualsiasi transizione effettuata con una criptovaluta affinché possa essere tassato. Il che secondo i primi calcoli della Casa Bianca garantirebbe circa 28 miliardi di dollari da reinvestire nel piano infrastrutturale.

E pensare che Amazon avrebbe intenzione di iniziare a studiare la pratica Bitcoin, consentendo gli acquisti i criptomoneta. Facile intuire cosa potrebbe significare se il colosso dei colossi dell’e-commerce stesse davvero ipotizzando una qualche apertura all’utilizzo di valute digitali nei suoi pagamenti. Anche per Joe Biden e i suoi piani.
(Foto: Creative Commons on Flickr cryptowallet.com)
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