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Acqua, i fondi del Pnrr per una risorsa “circolare”

Un rapporto di Legambiente, realizzato in collaborazione con Utilitalia, la Federazione delle imprese di acqua, ambiente ed energia, presentato in occasione del Forum Acqua, “H2O una risorsa circolare”, fa il quadro della situazione idrica del nostro Paese. Rispetto agli altri Paesi europei l’Italia “utilizza in media tra il 30 e il 35 per cento delle sue risorse idriche rinnovabili, a fronte dell’obiettivo europeo di efficienza che prevede di non estrarre più del 20% di quelle rinnovabili disponibili”

“Valorizzare l’acqua” è lo slogan della Giornata mondiale dell’acqua di quest’anno, un valore non solo economico, ma legato anche alla salute, al cibo, all’ambiente, alla famiglia. “Se trascuriamo uno di questi aspetti, rischiamo di gestire male una risorsa finita e insostituibile”. Il Rapporto 2021 delle Nazioni Unite sullo sviluppo idrico mondiale (“Valuing Water”) suggerisce le metodologie per la valutazione di questo bene in cinque prospettive interconnesse: le fonti d’acqua, le risorse idriche, gli ecosistemi; le infrastrutture per lo stoccaggio, l’uso e l’approvvigionamento idrico; i servizi di acqua potabile e igienico-sanitari; la produzione e l’attività socio-economica, come alimentazione, agricoltura, energia, industria e occupazione.

“Diversamente da quanto accade per numerose altre risorse naturali, conclude il rapporto, determinare il valore effettivo dell’acqua risulta estremamente complesso. Per questa ragione in buona parte del mondo all’effettiva importanza di questa risorsa vitale non corrispondono un’attenzione politica a degli investimenti finanziari adeguati. Ciò comporta non soltanto disuguaglianze nell’accesso alla risorsa idrica e ai servizi collegati, ma anche un utilizzo inefficiente e insostenibile, nonché un degrado delle forniture idriche stesse, il che compromette il conseguimento di quasi tutti gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, come pure dei diritti umani fondamentali”.

Ma come sta messa l’Italia? Il quadro ce lo fornisce un rapporto di Legambiente, realizzato in collaborazione con Utilitalia, la Federazione delle imprese di acqua, ambiente ed energia, presentato in occasione del Forum Acqua, “H2O una risorsa circolare”. Rispetto agli altri Paesi europei nella gestione sostenibile dell’acqua, il nostro Paese “utilizza in media tra il 30 e il 35 per cento delle sue risorse idriche rinnovabili, a fronte dell’obiettivo europeo di efficienza che prevede di non estrarre più del 20% di quelle rinnovabili disponibili. In termini di popolazione nazionale, circa il 26% è sottoposta a forte stress idrico”.

Ma c’è di più. Siamo primi in Europa per prelievo di acqua per uso potabile con oltre nove miliardi di metri cubi l’anno. A questo si aggiunge una rete di distribuzione ormai vecchia e con forti perdite, che non ha ancora messo a sistema il riutilizzo delle acque reflue depurate. Per non parlare dell’emergenza della depurazione: ad oggi sono quattro le procedure di infrazione a carico dell’Italia, due delle quali già in condanna, che costano al contribuente 60 milioni di euro l’anno. E per chiudere il quadro, ci sono ancora due milioni di nostri concittadini, residenti in 379 Comuni, che non hanno né fogne né depurazione.

“Bisogna cambiare passo, è l’appello contenuto nel rapporto. Servono piani di adattamento al clima e più risorse indirizzando meglio quelle del Pnrr per realizzare opere che riducano le perdite di rete ed efficientino la depurazione nel nostro Paese”. Per Legambiente i circa 3 miliardi di euro destinati agli invasi e alla gestione delle acque in agricoltura dovranno andare a completare e ammodernare le infrastrutture esistenti senza prevedere la costruzione di nuovi bacini. “Bisogna infine ridurre gli sprechi e aumentare il riuso favorendo una minore concorrenza tra i differenti usi come quello civile, industriale e agricolo”.

Sei gli interventi che occorre mettere in campo. Rendere efficiente il funzionamento del ciclo idrico integrato con interventi strutturali; attuare misure di incentivazione e defiscalizzazione; recuperare le acque piovane e installare sistemi di risparmio idrico; utilizzare i Criteri Minimi Ambientali in edilizia per ridurre gli sprechi; implementare i sistemi di recupero e riutilizzo delle acque; favorire il riutilizzo dell’acqua nei cicli industriali e garantire un servizio di depurazione per una migliore qualità dell’acqua di scarico.

E poi c’è l’emergenza siccità. Secondo gli studi della Commissione Europea, il numero di persone che vivono in aree considerate “sotto stress idrico” per almeno un mese all’anno potrebbe passare dai 52 milioni attuali (11% della popolazione europea) a 65 milioni in uno scenario di riscaldamento di 3°C, il che equivale al 15% della popolazione dell’Unione. Come è facile intuire, la maggior parte delle persone esposte a stress idrico vive nei paesi dell’Europa meridionale, come Spagna (22 milioni, 50% della popolazione), Italia (15 milioni, 26%), Grecia (5,4 milioni, 49%) e Portogallo (3,9 milioni, 41%). Le intere popolazioni di Cipro e Malta sono considerate in carenza d’acqua. Nel Mediterraneo il periodo di stress idrico può superare i cinque mesi e, durante l’estate, lo sfruttamento può avvicinarsi al 100%.

Una siccità prolungata comporta danni diretti per la perdita della disponibilità di acqua per usi civili, agricoli e industriali; ma anche per la perdita della biodiversità, minori rese delle colture agricole e degli allevamenti zootecnici. E non dimentichiamo le aree urbane. Tra i nostri fiumi, quello che è andato più in sofferenza è stato il Po, con portate del 30% al di sotto della media. Secondo il Centro Euro Mediterraneo sui cambiamenti climatici, negli scenari futuri le situazioni di siccità e scarsità idrica più frequenti che verranno a determinarsi porteranno ad un aumento della domanda d’acqua potabile per uso urbano e per usi agricoli, industriali-energetici e per garantire il funzionamento dei servizi eco sistemici. Un conflitto che si colloca in un contesto di stress idrico medio-alto già oggi.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) destina 3 miliardi e mezzo per “garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e la gestione sostenibile ed efficiente delle risorse idriche”. Secondo Utilitalia ne servirebbero almeno 14. “Dietro l‘acqua che scorre dal rubinetto”, ha sottolineato Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia, “c’è un lungo lavoro che parte con la captazione e finisce con la depurazione, per restituirla all’ambiente pronta per rientrare in circolo. Le grandi sfide di questi anni, a partire da quella del cambiamento climatico, ci impongono non solo di garantire servizi efficienti oggi, ma anche di lavorare per assicurare l’accesso alla risorsa idrica alle future generazioni”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente: “La transizione ecologica passa anche attraverso una gestione più sostenibile delle acque, soprattutto oggi in piena crisi climatica. Un obiettivo altamente realizzabile su cui il nostro Paese deve agire con interventi concreti non più rinviabili. Servono progetti di qualità a cui destinare le risorse. Ci sono oggi esperienze, tecnologie e impianti innovativi che dimostrano come sia possibile rendere più competitiva o sostenibile l’intera filiera, a partire dal riutilizzo delle acque reflue, nei processi produttivi e attraverso la riqualificazione idrica degli edifici e degli spazi urbani”.

L’entrata in vigore, lo scorso gennaio, della Direttiva europea “sulle acque destinate al consumo umano”, che gli Stati membri dovranno recepire entro il 2023, pone l’attenzione sulla sicurezza per tutta la filiera (bacini, impianti di approvvigionamento, trattamento e stoccaggio, comprese le infrastrutture idriche e le condotte di distribuzione) e sui requisiti igienico-sanitari che devono avere i materiali utilizzati e che entrano a contatto con le acque potabili.

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