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L’Ue cambia linea e vuole l’ambasciata a Kabul

Si riapre la possibilità di un’ambasciata Ue a Kabul. L’Europa vuole una presenza minima sul terreno per controllare l’invio di aiuti umanitari, anche se le condizioni di sicurezza sono ancora piuttosto instabili

Secondo quanto apprende il Financial Times da fonti informate sulla programmazione, nel giro di qualche settimana l’Unione europea riaprirà una sede diplomatica a Kabul, invertendo una posizione che l’Alto rappresentante per la politica Estera Ue, Josep Borrell, aveva espresso a inizio mese – quando considerava il quadro generale in Afghanistan ancora troppo instabile e poco sicuro per mantenere una rappresentanza (un’ambasciata) nel Paese ora governato dai Talebani.

La portavoce dell’ufficio di Borrell ha precisato al giornale londinese che “una decisione finale non è ancora stata presa”, perché rimangono quei crucci sulla sicurezza: “Possiamo confermare che stiamo lavorando per stabilire una presenza minima sul terreno. Per ragioni di sicurezza, non possiamo entrare nei dettagli”. E ancora: “In questa fase, questo sarebbe solo per l’Ue (come istituzione, ndr). Gli stati membri possono decidere di unirsi, ma questo è a loro discrezione.

”Come abbiamo detto più volte, questo non è un segno di riconoscimento. Vogliamo essere in grado di assistere meglio il popolo afgano che ha bisogno del nostro aiuto essendo più vicini e, inevitabilmente, dobbiamo impegnarci con i talebani”, ha aggiunto. Bruxelles ritiene di aver bisogno di un ruolo in Afghanistan per fare pressione sulla nuova leadership per la protezione dei diritti umani, per forzare i militanti al loro impegno di impedire che il paese diventi di nuovo un esportatore di terrorismo, e per aiutare a prevenire una crisi umanitaria.

Soprattutto, l’Unione europea vuole avere un controllo diretto sul flusso da un miliardo di euro che è stato annunciato durante il G20 che l’Italia ha organizzato per decidere, in forma multilaterale, strategie di contatto con il paese guidato dal gruppo jihadista. Se quanto riporta l’FT sarà confermato, significherà che l’Europa prenderà una decisione autonoma in un dossier paradigmatico per il confronto tra potenze. Come ha dimostrato infatti la riunione organizzata a Mosca – a cui hanno partecipato Russia e Cina, che invece hanno cercato di minimizzare la presenza al G20 – sotto certi aspetti il dossier afghano ha valore paradigmatico di come la partita sugli affari internazionali ruoti attorno a uno scontro tra modelli. Più idealista quello occidentale, pragmatico l’altro.

A fine settembre, l’Unione europea aveva inviato a Kabul una squadra tecnica per verificare le condizioni sul campo, dove soltanto Russia, Cina e Turchia hanno mantenuto le loro sedi diplomatiche. A i tempi, la situazione era stata invidiata come non sicura. Il contesto non è cambiato, ma forse si è modificata l’urgenza – quando gli aiuti umanitari Ue arriveranno nel paese, dovrà essere garantito la correttezza di quel flusso di fondi; detto semplificando, quel miliardo dovrà effettivamente essere utilizzato per assistere la popolazione e non diventare un’entrata che arricchisce le tasche dei signori della guerra che guidano le varie correnti all’interno del governo talebano.

In quest’ottica, non viene ritenuta sufficiente la gestione del contatto col paese solo attraverso il Qatar – che è in vantaggio su tutti riguardo alle relazioni con i Talebani, ospitando una delegazione diplomatica fissa a Doha dal 2013 e avendo guidato i negoziati che hanno portato al ritiro statunitense (e Nato) dall’Afghanistan. Uno dei problemi tecnici che rimane riguarda la gestione della sicurezza in senso stretto: chi se ne occuperà? “Si stanno esplorando le opzioni disponibili”, ha dichiarato la portavoce di Borrell. L’Ue, per quanto noto, sta mediando per chiedere la possibilità di utilizzare contractor scelti, ma i Talebani sarebbero contrari per una questione di sovranità e immagine.

L’organizzazione ora vuole dimostrare di essere un interlocutore affidabile, sia all’esterno che all’interno del Paese, e questa affidabilità non può che partire direttamente dall’amministrazione della sicurezza. Ultimamente le unità talebane si sono impegnate in attività di polizia e operazioni anti-terrorismo rivolte essenzialmente contro lo Stato islamico nel Khorasan, Iskp, la filiale baghdadista che sta seminando il terrore con attacchi sempre più brutali e continuativi proprio contro i Talebani – che ultimamente hanno messo nel mirino la presenza di stranieri, a cominciare dalla Cina.

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