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L’astensione dal voto è un male da non sottovalutare. Scrive D’Ambrosio

Perché molti non votano? Perché poco più di un italiano su due decide di assolvere a quello che è un diritto e anche un dovere, come afferma la Costituzione (art. 48)? Il commento di Rocco D’Ambrosio, presbitero della diocesi di Bari, ordinario di Filosofia Politica nella facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana di Roma

Come era stato previsto, il dato generale dell’affluenza, alle elezioni amministrative, è risultato in forte diminuzione: si attesta al 54,69%, in questo primo turno delle amministrative, segnando un record per la bassa partecipazione al voto. In pratica un elettore su due non si è recato alle urne. Dal 2010 ad oggi la minore affluenza si era registrata in precedenza nel 2017 (1.004 i Comuni al voto) con il 60,07%. Lo scorso anno (764 comuni) l’affluenza era stata del 65,62%; nel 2019 (3.685 comuni) del 67,68%. Nella tornata di cinque anni fa aveva votato il 61,52% degli aventi diritto (Ansa).

Tale tendenza negativa, non solo italiana, si inserisce in un quadro di astensionismo crescente di più lungo periodo, che coinvolge anche le elezioni politiche: si va da punte di votanti del 90% degli anni ’70 a percentuali superiori di poco il 50% degli ultimi anni. Quindi il problema numero uno è la partecipazione alle elezioni. Perché molti non votano? Perché poco più di un italiano su due decide di assolvere a quello che è un diritto e anche un dovere, come afferma la Costituzione (art. 48)? Si dovrebbero realizzare – risorse permettendo – frequenti ricerche, con campioni molto alti, per scoprire le motivazioni del non voto. Personalmente individuo due cause maggiori (tra diverse altre): la scarsa formazione sociopolitica e la crisi di fiducia nella classe politica attuale.

La crisi della formazione. Viviamo in un Paese che non solo ha una larga fetta di non votanti, ma ha, prima di tutto, seri problemi di tipo culturale, scolastico e universitario. Cresce l’analfabetismo di ritorno; esiste una crisi di larghi settori della scuola e dell’università, abbiamo saperi ridotti, monotematici e poco interdisciplinari, effimeri, estremamente dipendenti dalla superficialità di diverse fonti on line. Non manca solo la formazione civica, sociale e politica, manca la formazione tout court! Lo dicono le statistiche scolastiche e universitarie, la debolezza o inesistenza di percorsi formativi nei partiti politici, nelle comunità di fede religiosa, nel volontariato, nell’associazionismo, nello sport e via discorrendo. Un esempio per tutti: gli stranieri che chiedono la cittadinanza italiana sono chiamati a conoscere la Costituzione. Una domanda: ma l’italiano medio conosce la Carta Costituzionale? È stato formato seriamente alla sua visione antropologica ed etica?

Questa è, dunque, la situazione in ampi strati di popolazione. E dove non c‘è formazione, o ce n’è poca e scadente, è molto facile essere influenzati dalle grida del momento, senza nessuna capacità critica di discernere, anche nelle scelte elettorali. Il segnale che, in diversi comuni, si sia scelto il candidato più competente, rispetto a quello meno, è importante ma non è ancora un cambio di rotta stabile. Per attuarlo dovremmo approfondire anche le forme di analfabetismo emotivo che riducono la capacità e creano una dipendenza da quei leader che gridano e colpiscono di più. Un riferimento appropriato è a ciò Hannah Arendt chiamava “estraneazione”, che portava le masse ad accogliere, invaghirsi e poi subire forme di dittatura (Le origini del totalitarismo). Bonhoeffer, a proposito, avrebbe detto sinteticamente che «la potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri» (Resistenza e Resa).

La perdita di fiducia. Riguardo ai non votanti per crisi di fiducia nell’attuale classe dirigente il discorso è molto più complesso. Sono convinto che siano, in generale, persone sufficientemente colte e sensibili politicamente. È interessante notare come in altri Paese questo tipo di persone più che non votare indirizza il proprio verso forze nuove e più convincenti: penso ai partiti di impronta ecologica in Germania e nei Paesi scandinavi. In Italia no. Anche qui c’è una componente che non va trascurata: l’individualismo di gruppo e di appartenenze omogenee.

In soldoni: mi interessa solo la mia famiglia, il futuro dei miei figli, la mia professione e alcuni colleghi, alcune relazioni amicali… per il resto i politici “sono tutti uguali” e il mondo può anche cascare. Sono visioni molto miopi e sterili, che nascondono scompensi antropologici ed etici, nonostante il grado culturale e professionale di diversi.

La carriera e il guadagno facile e immediato non si confrontano mai con la fatica delle relazioni, con la complessità del mondo, in tutte le sue componenti: sociale, politica, culturale, economica, istituzionale. Milani, proponendo la politica che si oppone all’avarizia, direbbe “[cara signora professoressa, ndr] con i vostri ragazzi fate meno. Non gli chiedete nulla. Li invitate soltanto a farsi strada” (Lettera a una professoressa). Chi è tutto concentrato a “farsi strada”, a guadagnare il più possibile, a emergere a ogni piè sospinto perde il contatto con la realtà, distrugge relazioni e ipoteca negativamente il proprio futuro. E, ovviamente, non va a votare o, qualche volta, ci va perché, per esempio nelle elezioni locali, ci sono coloro che lo aiutano a “farsi strada”.

Per i primi come per i secondi tipi, di non votanti, ci si attende che istituzioni educative e partiti inizino o riprendano a fare formazione seria, altrimenti è per tutti il “sonno della ragione”, che non ha mai portato buoni frutti, anzi!



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