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Chiesa in uscita, Chiesa missionaria. Qual è la svolta sinodale

Tra poco comincia il sinodo sulla sinodalità, un evento epocale che proseguirà in tutte le Chiese territoriali del mondo e si concluderà nel ’23. Ma cosa vuol dire? Cosa sta cominciando? Cosa cambia per noi e per la Chiesa? L’obiettivo è cambiare tutto. L’approfondimento di Riccardo Cristiano

Un po’ sottovalutato, un po’ non capito per la complessità del tema, tra poco comincia il sinodo sulla sinodalità. Un evento epocale. Proseguirà in tutte le Chiese territoriali del mondo e si concluderà nel ’23. Ma cosa vuol dire? Cosa sta cominciando? Cosa cambia per noi e per la Chiesa? L’obiettivo è cambiare tutto. Facile a dirsi, importante a capirsi. E non basta dire che “sinodo vuol dire camminare insieme”. Non basta perché non vogliamo capire.

Allora bisogna provare a farsi un’idea. Anche perché questo è l’obiettivo di Francesco dal giorno della sua elezione a vescovo di Roma. Infatti quella sera del 2013 lui non disse che i suoi fratelli cardinali lo avevano scelto come papa, ma disse che lo avevano scelto quale nuovo vescovo di Roma. Vescovo di Roma? Sì, vescovo di Roma. E parlò di sinodalità: “E adesso, incominciamo questo cammino: vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella città tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi”. Dunque la parola cammino è lì, ripetuta tre volte. Cammino di fratellanza, ma tra chi? Francesco non parlava ai sacerdoti di Roma, non parlava ai consacrati, parlava ai battezzati. In piazza c’era “il popolo di Dio in cammino”. Tutti, sacerdoti e laici cattolici.

Dunque la Chiesa sinodale è una Chiesa non clericale, non è una Chiesa dove il celebrante, dando le spalle ai fedeli, li guida verso la verità. No, è una Chiesa dove il sacerdote, insieme ai fedeli, celebra con loro e con loro ricostruisce una mensa comune. Il sinodo che noi conosciamo invece è il sinodo dei vescovi, istituito tra enormi resistenze dal Concilio Vaticano II ma tenuto come strumento consultivo del papa. Dunque vescovi, consultori del papa. Ma Paolo VI sapeva che questo era un esordio per la Chiesa gerarchica, piramidale e clericale, un esordio del cammino verso la Chiesa sinodale, cioè Chiesa in uscita, non rinchiusa in sé stessa e nella sua gerarchia. Infatti con linguaggio tutto nuovo definì questo sinodo (strumento che dovette accettare consultivo) “segno che tutti i vescovi sono partecipi in gerarchica comunione della sollecitudine della Chiesa universale”. Siamo a un cambio di paradigma: dal paradigma “Gesù, apostoli, popolo di Dio”, si passò a “Gesù, Papa, vescovi” e ora si torna verso il paradigma d’origine.

Mentre – poco notata – nelle nostre parrocchie sta nascendo una chiesa laicale, cioè dove i laici possono svolgere tante funzioni prima loro precluse, compresa l’amministrazione parrocchiale e includendo anche un ruolo prima non previsto e non codificato per le donne, la sinodalità modella questa Chiesa missionaria e in uscita. E anche qui ne troviamo una traccia chiarissima già nella famosa intervista che Francesco concede al direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro: “Si deve camminare insieme: la gente, i vescovi e il Papa. La sinodalità va vissuta a vari livelli. Forse è il tempo di mutare la metodologia del Sinodo, perché quella attuale mi sembra statica. Questo potrà anche avere valore ecumenico, specialmente con i nostri fratelli ortodossi. Da loro si può imparare di più sul senso della collegialità episcopale e sulla tradizione della sinodalità”.

Per Francesco, spiega in queste ore La Civiltà Cattolica, “queste strutture (la parrocchia, le comunità di base, i movimenti, la Chiesa diocesana, le Conferenze episcopali, le strutture centrali e del papato) sono chiamate a una conversione pastorale e missionaria secondo il cuore del Vangelo, soprattutto alla luce della forma basilare di sinodalità, ritratta nella metafora ecclesiologia di una Chiesa in uscita”. Dunque tutta la Chiesa è una comunità evangelizzatrice, cioè una comunità di discepoli missionari. È la vocazione sinodale del popolo di Dio. Tutto questo è indicato con accuratezza che si pensava destinata a restare sulla carta nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium. Ma è molto importante per capire la visione e la Chiesa secondo Francesco anche il discorso che pronunciò in occasione del 50esimo anniversario dell’istituzione del sinodo dei vescovi.

Quel giorno, il 17 ottobre 2015, nel pieno del più violento attacco contro di lui con la divulgazione della falsa notizia del suo inesistente tumore cerebrale, Francesco disse tantissime cose: “Fin dall’inizio del mio ministero come Vescovo di Roma ho inteso valorizzare il Sinodo, che costituisce una delle eredità più preziose dell’ultima assise conciliare. Per il Beato Paolo VI, il Sinodo dei Vescovi doveva riproporre l’immagine del Concilio ecumenico e rifletterne lo spirito e il metodo. Lo stesso Pontefice prospettava che l’organismo sinodale ‘col passare del tempo potrà essere maggiormente perfezionato’. A lui faceva eco, vent’anni più tardi, San Giovanni Paolo II, allorché affermava che ‘forse questo strumento potrà essere ancora migliorato. Forse la collegiale responsabilità pastorale può esprimersi nel Sinodo ancor più pienamente'”.

Dunque la sinodalità deve crescere, espandersi. Ma come: in tantissimi modi, perché è un metodo, un abito, un modo di essere. “Il mondo in cui viviamo, e che siamo chiamati ad amare e servire anche nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle sinergie in tutti gli ambiti della sua missione. Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio. Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola ‘Sinodo’. Camminare insieme – Laici, Pastori, Vescovo di Roma – è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica”. Eccola la grande novità: laici, pastori, vescovo di Roma. Sì, “laici, pastori, vescovo di Roma”. Più volte Francesco ha ricordato che gli unti del Signore sono tutti i battezzati. Chi si ricordava che al battesimo oltre all’acqua versata sul capo si viene anche unti? Chi considerava questo fatto sacramentale come reale? E se è così, ed è così, per secoli si è dimenticato un tratto costitutivo del cristianesimo, e quindi Francesco aggiunse: “Ciascun Battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del Popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. Il sensu fidei impedisce di separare rigidamente tra Ecclesia docens ed Ecclesia discens, giacché anche il Gregge possiede un proprio “fiuto” per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa”.

Dove si arriva seguendo questa strada? Le tappe sono tante, ne ricordo solo due. La prima: “In una Chiesa sinodale, il Sinodo dei Vescovi è solo la più evidente manifestazione di un dinamismo di comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali”. E il papa? “Sono persuaso che, in una Chiesa sinodale, anche l’esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce. Il papa non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come Battezzato tra i Battezzati e dentro il Collegio episcopale come Vescovo tra i Vescovi, chiamato al contempo – come Successore dell’apostolo Pietro – a guidare la Chiesa di Roma che presiede nell’amore tutte le Chiese”. Non possiamo qui ripercorrere tutte le tappe di quel discorso epocale. Certo sinodalità non vuol dire “voto a maggioranza”, vuol dire “seguire lo spirito”, cioè discernere i segni dei tempi, cercando insieme la strada dello Spirito, e non imponendo, che non è sinodalità. Eppure proprio in questa sinodalità Francesco seppe vedere la grande lezione per il mondo, la società, la democrazia in crisi.

La Chiesa che con i suoi capitoli degli ordini seppe indicare la via che avrebbe portato ai Parlamenti, oggi cosa direbbe al mondo moderno? “Una Chiesa sinodale è come vessillo innalzato tra le nazioni in un mondo che – pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica – consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere. Come Chiesa che “cammina insieme” agli uomini, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell’autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più bello e più degno dell’uomo per le generazioni che verranno dopo di noi”.

Tutto questo è al centro del confronto ecclesiale, da oggi.

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