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La Cina è già una sfida per la Nato. Il punto di Stoltenberg

Per il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, intervistato dal Financial Times, contenere la sfida cinese è una necessità per l’Alleanza Atlantica, la cui sicurezza è già minacciata dall’assertività di Pechino. Il nuovo Concetto strategico sarà la base per ripensare gli impegni della Nato

“Quello che possiamo predire è che l’ascesa della Cina impatterà sulla nostra sicurezza; già lo sta facendo”. Questa è la posizione espressa dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, intervistato dal Financial Times sul cambio di paradigma che sta interessando l’Alleanza Atlantica, con la necessità, sempre più urgente, di rivolgere attenzione e risorse alla sfida posta da Pechino. “La Nato è un’alleanza tra Nord America ed Europa, ma affronta sfide globali: terrorismo, cyber ma anche l’ascesa della Cina”.

L’ASCESA DEL DRAGONE

“La Cina si sta avvicinando – ha ribadito il segretario generale – la vediamo nell’Artico, nel cyber-spazio, la vediamo investire pesantemente in infrastrutture critiche nei nostri Paesi”. A preoccupare in particolare è il potenziamento delle capacità militari cinesi avviato ormai da oltre un decennio. Lo sviluppo di armi a lungo raggio, capaci di colpire anche i Paesi dell’Alleanza, insieme alla progettazione di armi ipersoniche capaci di trasportare testate nucleari, rendono la minaccia cinese una priorità non solo statunitense, ma globale: “Quando si tratta di rafforzare la nostra difesa collettiva, si tratta anche di come affrontare l’ascesa della Cina” ha detto Stoltenberg al Financial Times.

TRA RUSSIA E CINA

Non tutti, però, condividono questa impostazione, e i suggerimenti di spostare la deterrenza dalla Russia alla Cina, incontra invariabilmente le proteste degli Stati membri dell’Europa orientale, che continuano a vedere Mosca come la minaccia principale alla propria sicurezza. Per Stoltenberg, invece, Russia e Cina non dovrebbero essere viste come minacce separate, sia per il livello molto stretto di collaborazione che le lega, che per gli investimenti nello sviluppo tecnologico, questione che riguarda entrambe le prospettive. Per Stoltenberg non ha senso distinguere eccessivamente tra Cina, Russia, Asia-Pacifico o Europa: “Sono un unico grande ambiente di sicurezza che dobbiamo affrontare tutto insieme”. Quanto fatto dalla Nato sulla prontezza operativa, sulla tecnologia, sul cyber, sulla resilienza è indirizzato a tutte queste minacce, senza mettere un’etichetta alle capacità alleate.

UN CAMBIO STRATEGICO

Dopo gli anni trascorsi ad affrontare l’Unione Sovietica e, dopo il 2001, il terrorismo, lo spostamento dell’orientamento geopolitico iniziato dagli Stati Uniti sta imponendo un cambio nel pensiero strategico dell’Alleanza. Questo mutamento di paradigma è al centro della riflessione sul nuovo Concetto strategico della Nato per il 2030, che dovrebbe venire implementato a partire dal summit dell’estate prossima. Secondo l’ex primo ministro norvegese, gli alleati della Nato dovranno “ridimensionare le attività al di fuori dei loro confini e aumentare le proprie capacità di difesa interna per resistere meglio alle minacce esterne.

LA QUESTIONE AFGHANA

L’intervista è stata anche l’occasione per rispondere sulla questione del ritiro delle forze Nato dall’Afghanistan in agosto, per Stoltenberg una scelta ovvia: “Fondamentalmente più importante è l’aspetto politico: siamo andati in Afghanistan dopo un attacco agli Usa, militarmente sarebbe stato possibile rimanere, ma politicamente lo considero assolutamente irrealistico”. La decisione degli Usa di lasciare il Paese ha, per il segretario generale, comportato una situazione per cui, mentre i militari europei sarebbero stati perfettamente in grado di rimanere anche senza il sostegno americano, più difficile sarebbe stato per i leader politici europei giustificare una presenza militare continua.

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