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Gli italiani non la bevono, il fallimento della destra e la Waterloo grillina

Il commento di Luigi Tivelli ai risultati elettorali: Letta canta vittoria ma il corpo elettorale si è dimezzato. Meloni può dire di aver superato Salvini ma è lontana dalle percentuali dei sondaggi che la vedevano in testa a livello nazionale. E Giuseppe Conte ha scoperto che è più facile da leader diventare premier che il contrario

I risultati elettorali per certi versi un po’ a macchia di leopardo di questo turno di elezioni amministrative meritano un’analisi politica ragionata, svolta un po’ a freddo, una volta acquisiti i dati conclusivi. Il primo punto riguarda il grande astensionismo. Si sono recati alle urne, con qualche differenziazione territoriale, poco più del 50 per cento degli italiani. Credo ciò dipenda per un verso dal rifiuto, dopo la lunga fase della pandemia con le sofferenze e gli effetti connessi per moltissimi cittadini, di un’offerta politica di tipo populistico, o sia populistico che dilettantesco o semi dilettantesco: un punto su cui ritornerò successivamente.

Oltre a questo, un altro fattore sta nel più scarso riconoscimento, rispetto a quello che avveniva in fasi e anni precedenti, da parte dei cittadini del ruolo dei comuni e degli enti locali. Ciò anche perché una delle conseguenze della pandemia è stato il forte accentramento a livello nazionale di fatto anche di molte decisioni che prima potevano essere di competenza degli organi locali. Inoltre, la mancata partecipazione al voto può essere un messaggio che molti cittadini hanno voluto dare ad una politica che spesso si nutre del piantare bandiere e bandierine invece di affrontare i veri problemi del Paese.

Toccando gli aspetti più di merito dei risultati elettorali delle singole forze, Enrico Letta a nome del Pd canta vittoria, ma si tratta di una vittoria che avviene anche grazie al fatto che il corpo elettorale si è dimezzato. Credo che l’altro fattore dei risultati abbastanza significativi per il Pd stia nel fatto che per gli italiani è molto importante che Mario Draghi governi e continui a farlo e il Pd ha espresso tendenzialmente il suo sostegno a Draghi e alla sua agenda, pur avendo per certi versi un’agenda in qualche caso non correlata ai vari problemi del Paese: il ddl Zan, il voto ai sedicenni, lo ius soli, la tassazione sulle eredità e altri aspetti di questo tipo.

Passando al centrodestra, mi sembra che i risultati elettorali segnino una sorta di débâcle. La Meloni di Fratelli d’Italia suona la grancassa e canta una specie di vittoria, ma mi sembra una vittoria molto “mutilata”. Non mi pare poi che i risultati di Fratelli d’Italia siano in linea con quanto emergeva dai sondaggi nazionali, che la davano attorno al 20 per cento. Basti notare che a Roma, che rappresenta il bacino di voti più significativo per Fratelli d’Italia, la Meloni ha conseguito poco più del 17 per cento, mentre ben minori sono stati mediamente i risultati nelle altre città.

Sì, la Meloni potrà godere del fatto che il suo partito un po’ sovranista un po’ populista ha superato la Lega di Salvini, che è stata duramente colpita dal voto degli italiani sia al Nord che ancor più al Centro-sud, ma non c’è certo da godere per il destino della coalizione di centrodestra. C’è poi il dato molto significativo della Calabria, in cui un centrodestra guidato in modo chiaro da Forza Italia ha vinto nettamente nelle elezioni regionali al primo turno: i cittadini apprezzano di più un centrodestra a trazione moderata, nonostante le performance di Forza Italia nelle tante città in cui si è votato non siano state certo esaltanti.

Come poi ha evidenziato anche Salvini, specie i candidati del centrodestra nelle due grandi città, Roma e Milano, non mi sembra siano stati scelti in modo oculato. A Milano una disfatta, accentuata anche da un sindaco a forte impronta civica e di grande personalità, Sala. È vero che a Roma Michetti, il candidato del centrodestra, indicato dalla Meloni ha raggiunto qualche punto percentuale in più rispetto al candidato del centrosinistra Gualtieri, ma mi sembra che questi abbia un sostanziale maggior potere di coalizione in vista del secondo turno rispetto al candidato della destra.

L’ottimo risultato poi a Roma di Carlo Calenda, che per qualche esigua percentuale sembra aver superato anche la Raggi, è significativo. Forse lo stesso Calenda, che ha voluto assolutamente solo una lista, la sua, di appoggio, si dovrebbe chiedere quale risultato avrebbe potuto conseguire se avesse accettato anche, come pur gli era stato proposto, l’appoggio di almeno un’altra lista civica che, di fronte al rifiuto di Calenda, è passata a sostenere la candidatura di Gualtieri.

L’ultimo e più importate aspetto che vale la pena sottolineare è la vera e propria disfatta dei Cinque Stelle che non possono fingere di esaltare il risultato di Napoli ma che devono fare una severa autocritica, visto che hanno subìto una netta condanna dagli italiani. Questo penso che sia dovuto in parte a quella miscela di dilettantismo e populismo che sta nel loro codice genetico oltre al fatto che, essendo gli italiani “apoti” (cioè non la bevono facilmente, come sosteneva Prezzolini), non hanno creduto neanche alla nuova versione governista dei Cinque Stelle con impronta semi dorotea, che non hanno né un programma serio, né una chiara riconoscibilità, tanto più in una fase in cui la larghissima maggioranza degli italiani apprezza lo stile di governo di Draghi e, di conseguenza, non mi sembra avere molta nostalgia del governo dell’ex premier Conte.

A questo proposito, credo che il nuovo leader dei cinque stelle sconti quello che vari politologi hanno da tempo evidenziato, cioè che è molto più facile il passaggio da leader a premier che il passaggio da premier (tanto più con un’investitura quasi casuale) a leader.

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