Perché l’Aukus è partita dai sottomarini a propulsione nucleare? Quanto conta il dominio subacqueo nel confronto tra potenze? La flotta italiana è idonea alle sfide del Mediterraneo allargato? Le risposte nel numero di ottobre di Airpress, dedicato alla “guerra sotti i mari”, con Giampaolo Di Paola, Ferdinando Sanfelice Di Monteforte, Andrea Petroni, Marco Rizzuti, Michele Nones, James Goldrick e tanti altri
Il nuovo confronto internazionale si gioca sotto il mare. Dopo lo sconquasso provocato dall’Aukus, sono state due notizie di cronaca recente a riaccendere il dibattito sul tema: l’arresto, negli Stati Uniti, dell’ingegnere Jonathan Toebbe, accusato di aver cercato di vendere informazioni riservate sui sottomarini nucleari a uno Stato non identificato; lo scontro, nelle acque internazionali del Mar cinese meridionale, tra il sottomarino americano Connecticut e “oggetto non identificato”, tale da causare ferite “moderate” a una dozzina di membri dell’equipaggio. Negli stessi giorni, tra l’altro, la Marina di Russia annunciava il primo lancio da sottomarino (a propulsione nucleare) per il missile Zircon, vettore da crociera capace di viaggiare a tre chilometri al secondo (Mach 9).
Ma perché i sottomarini sono tanto importanti nel ritorno del confronto tra potenze? Lo spiegano autorevoli esperti e addetti ai lavori sul numero di ottobre del mensile Airpress, dedicato proprio alla “guerra sotto i mari”. Lo spunto nasce dall’intesa Aukus, una scelta strategica chiara di Washington, Londra e Canberra sulla priorità d’azione nell’area dell’Indo-Pacifico, illustrata sulla rivista dall’ambasciatore Stefano Stefanini e da Alessandro Marrone, responsabile Difesa dello Iai.
Perché Aukus è partito dalla consegna di sottomarini a propulsione nucleare all’Australia? “Perché il sommergibile – scrive l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, già ministro della Difesa, capo di Stato maggiore della Difesa e presidente del Comitato militare della Nato – è il mezzo militare più stealth che esista e consente di operare in relativa sicurezza in aree a forte minaccia, quali i mari cinesi dove Pechino sta sviluppando una forte capacità militare anti-access/area denial (A2/Ad) che mette a forte rischio, in situazione di crisi, la presenza di unità di superficie”.
L’attenzione è condivisa da tutte le marine, compresa quella italiana. “La rilevanza del dominio underwater nelle dinamiche geo-economiche e geopolitiche globali moderne è assoluta”, scrive il contrammiraglio Andrea Petroni, comandante dei sommergibili della Marina militare. “La rete di connessione tra diversi popoli e continenti si snoda lungo le rotte marittime e attraverso i fondali dove migliaia di chilometri di cavi assicurano il 97% del traffico dati; dagli abissi sono, inoltre, ricavate e trasportate le principali fonti energetiche fossili che alimentano l’economia mondiale”. In sostanza, evidenzia, “la vita quotidiana sulla Terra, e il suo futuro, passano sopra e sotto la superficie dei mari, soprattutto dove più numerosi sono gli attori e gli interessi in gioco”.
Per questo il dominio underwater appare oggi così rilevante. “I sottomarini sono i predatori in cima alla catena alimentare dei confronti marittimi”, scrive James Goldrick, contrammiraglio della Royal Australian Navy, storico navale, docente di Studi strategici e di difesa, che offre la visione di Canberra nell’estratto del report dell’Aerospace security project dell’Australian strategic policy institute (Aspi). I sottomarini, aggiunge, “schierano una varietà di armi altamente letali, di solito senza preavviso; possono posare mine intorno ai porti nemici e nei canali di navigazione; possono affondare navi di superficie con siluri o missili antinave; possono sparare missili contro obiettivi terrestri e possono inserire e recuperare forze speciali per missioni di ricognizione o raid su piccola scala a terra”,
Il tutto è frutto dell’evoluzione del mezzo sottomarino illustrata dall’ammiraglio Ferdinando Sanfelice Di Monteforte, esperto militare e docente di Studi strategici: “Negli ultimi sessant’anni l’arma subacquea ha compiuto enormi progressi, tanto da realizzare in toto la profezia di Jules Verne sulla conquista della terza dimensione, appunto quella subacquea, rappresentata dal sottomarino comandato dal capitano Nemo”. Da notare, aggiunge l’esperto, che “negli ultimi vent’anni, anche i sommergibili convenzionali si sono trasformati in sottomarini, grazie all’introduzione di sistemi di propulsione indipendenti dall’aria; questi sottomarini Aip (Air independent propulsion) sono, in generale, più piccoli e agili rispetto ai loro corrispondenti a propulsione nucleare, anche se hanno una minore autonomia e possono raggiungere velocità meno elevate”. Per le sue dimensioni, “il sottomarino Aip è preferibile in bacini marittimi relativamente poco vasti e complicati dal punto di vista idrografico, potendo operare in relativa sicurezza anche vicino a costa o in aree con fondali relativamente bassi e costellati di scogli, mentre i sottomarini a propulsione nucleare hanno maggiori difficoltà a fare altrettanto”.
L’Italia può attualmente contare su una flotta “composta oggi da battelli classe U212A – nota il contrammiraglio Petroni – mentre i rimanenti sottomarini appartengono alla classe Sauro, prossima al termine della vita operativa”. Dal 2027 la sostituzione “avverrà attraverso un progetto che è il trait d’union tra l’affidabile U212A e le tecnologie emergenti; il sottomarino U212 Near future submarine (Nfs) ingloberà un’estesa serie d’innovazioni di matrice italiana, tra le quali batterie al litio per la propulsione, sollevamenti elettrici e un nuovo sistema di combattimento”. Eppure, aggiunge Petroni, “la vera rivoluzione è aver concepito il battello come un sistema di sistemi che possa condurre, attraverso l’uso di droni e l’integrazione con reti di sensori sottomarine, la sorveglianza e la protezione del dominio underwater”.
È il risultato di un approccio sinergico tra industria e Difesa. Data l’accelerazione tecnologica e le sfide in campo, scrive Marco Rizzuti, responsabile della Progettazione sommergibili di Fincantieri, “all’industria conviene iniziare a lavorare in modo da distillare le esigenze e i bisogni per giungere a scelte tecniche solide e focalizzate sugli obiettivi da raggiungere”. La soluzione, spiega Rizzuti, “proviene dall’adozione di metodologie ricavate dalla System engineering, branca ingegneristica multidisciplinare che si pone l’obiettivo di creare processi e strutture in modo da tracciare i bisogni e le necessità del cliente verso la realizzazione del progetto e la verifica finale dell’aderenza del sistema complesso alle performance richieste”. Tale metodologia “è risultata essere perfettamente idonea alla gestione del design e alla realizzazione di sistemi complessi”, e Fincantieri “ha già impiegato attivamente soluzioni di System engineering su programmi relativi alle navi di superficie”. Poi, “un ulteriore passo è stato fatto applicando queste metodologie con un maggiore dettaglio e profondità come, ad esempio, nel programma U212 Nfs, contrattualizzato a febbraio 2021 tramite l’Occar verso la Marina italiana”.
La prospettiva è condivisa da Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai), che nota come “rafforzamento della collaborazione italo-tedesca potrebbe rappresentare un’occasione unica per l’Europa nell’affermare la sua leadership nei sottomarini convenzionali e costruire un importantissimo legame italo-tedesco, utile ad ambedue i Paesi per bilanciare i loro legami con la Francia”. Si potrebbe, in conclusione, “puntare a una qualche forma di concentrazione e integrazione a livello industriale, magari cominciando dallo sviluppo di un’iniziativa congiunta nell’attività di supporto logistico da localizzare a Taranto, collocazione ottimale nel Mediterraneo dove operano molti sottomarini di questa classe e dove sono basati i sottomarini italiani, così come la Scuola sommergibili della Marina militare”.