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Così l’effetto Draghi ha inciso sul risultato elettorale

Non solo il “tecnico” Calenda a Roma: anche a Milano e Napoli ha vinto intelligenza politica, competenza e rifiuto dei populismi. La penalizzazione della Lega ondivaga e dei 5 Stelle sono il segnale che gli elettori chiedevano chiarezza e stabilità. Il commento di Luigi Tivelli

Nell’inflazione di analisi e commenti delle televisioni e della carta stampata sui risultati elettorali non mi pare che alcun osservatore abbia intercettato un aspetto che ha svolto un ruolo cruciale nelle tendenze elettorali: “l’effetto Draghi”. Il presidente del Consiglio sta accanto al Presidente della Repubblica in testa negli indici di gradimento. Il successo della campagna vaccinale in atto è riconosciuto dalla gran parte dei cittadini come un merito di Mario Draghi, che ha affidato le vaccinazioni al competente generale Figliuolo. Nonostante gli ostacoli delle bandiere e bandierine piantate da qualche partito il processo di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza prosegue.

Gli italiani si sono quindi abituati ad una leadership di Governo a impronta tecnica, ma accompagnata da intelligenza politica, sulla base di competenze precise. La prima conseguenza di fatto dell’effetto Draghi è stato il rifiuto ad opera di una parte significativa di potenziali elettori di un certo tipo di offerta politica che veniva da qualche partito, a cominciare da quella di impronta populista o populistico-dilettantesca. Credo che questo sia stato uno dei fattori che ha indotto circa metà dell’elettorato all’astensione. Ci sono poi altri indicatori ancora più espliciti di come l’effetto Draghi abbia esercitato una certa funzione nei risultati elettorali.

A Roma, ad esempio, un esponente riconosciuto come competente e di origine tecnica (essendo stato un manager industriale) come Carlo Calenda, il cui partito, Azione, non supera la soglia del 3% nella media dei sondaggi elettorali, ha superato il tetto del 20% dei voti, battendo una esponente grillina che pur era sindaco in carica nel corso della campagna elettorale e nella fase di svolgimento dell’elezioni. Mi sembra di poter dire che questo riconoscimento a un esponente in qualche modo tecnico-politico come Carlo Calenda sia a Roma un indicatore già di per sé significativo di come molti cittadini siano orientati a privilegiare forme di leader in qualche modo un po’ più somiglianti a Mario Draghi.

Ma gli elementi più importanti emergono se si guarda a quanto avvenuto a Milano e a Napoli. Il voto plebiscitario a Milano a favore di Beppe Sala, certamente sindaco uscente, ma soprattutto già top manager di riconosciuta autorevolezza è un indice ulteriore di come gli italiani si riconoscono maggiormente in figure di governanti, anche al livello locale, dotati di una certa competenza e di una certa impronta tecnica. La stessa cosa si è registrata a Napoli, con il voto quasi plebiscitario e di investitura sin dal primo turno di una personalità che era stata un ministro tecnico e un autorevole rettore di una grande università, come Gaetano Manfredi.

Il caso Napoli è ancora più significativo di quello di Milano in quanto l’ampia maggioranza assoluta dei napoletani che ancora 5 anni fa aveva dato l’investitura a un sindaco di impronta populista (e con non pochi aspetti para-dilettanteschi) come Luigi De Magistris ha ora scelto una personalità autorevole, un serio accademico e serio professionista. Ma l’effetto Draghi è riscontrabile anche in altri aspetti dei risultati elettorali. A destra la forza più penalizzata è stata la Lega (con un vero flop del Centro-sud e con risultati molti risicati al Nord), cioè quella forza che in vari casi, come ad esempio sulla diffusione del green pass ha fatto un po’ un andirivieni cercando di piantare bandiere e bandierine rispetto a quell’attuazione dell’agenda Draghi in cui si riconosce la larghissima parte degli italiani.

Ma un’altra forza politica che ha fatto registrare una vera e propria débâcle sono stati i 5Stelle, con un forte crollo al Sud e con risultati risibili al Nord: ad esempio a Milano hanno conseguito poco più del 2%. Quei 5Stelle che non solo sono nati come portatori di un’impronta chiaramente populista, ma hanno anche nel loro codice cromosomico il dilettantismo (pensiamo a quanti danni ha fatto la diffusione della cultura e della pratica dell’ “1 vale 1”). I tentativi di mascherare questa impronta originaria con qualche atteggiamento per certi versi di impronta neodorotea ad opera di qualche autorevole dirigente del movimento, non mi sembra che abbiano sortito moti effetti.

Quanto alla leadership di Conte, se l’avvocato “del popolo” già nell’ultima parte del suo mandato a Palazzo Chigi avesse avuto come spin doctor un buon politologo, invece di Casalino, avrebbe potuto meglio comprendere la difficoltà della transustanziazione da Premier a Leader.

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