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Prezzi e materie prime, niente panico. Fortis spiega perché

Intervista all’economista dell’Università Cattolica e vicepresidente della Fondazione Edison. L’aumento dei prezzi e le difficoltà di approvvigionamento per le imprese sono più un problema per Berlino e Parigi che per l’Italia, terra di piccole imprese e spesso meno dipendenti dalle forniture della Cina. Ma questo non vuol dire dormire sereni

L’aumento del prezzo delle materie prime rischia seriamente di mettere un’ipoteca sulla ripresa in Europa, ora che i primi soldi del Recovery Fund sono arrivati a destinazione e che la pandemia sembra essere sotto controllo. Energia, carburante, componentistica per auto, metalli, tutto sta vertiginosamente aumentando, spingendo l’inflazione su livelli di guardia.

E così gli imprenditori del Vecchio continente si ritrovano a corto di materia prima, più cara quando la trovano e con bollette più pesanti. Ce ne è abbastanza per fiaccare la più strutturale delle riprese. Eppure, dice a Formiche.net Marco Fortis,  economista, docente all’Università Cattolica e vicepresidente della Fondazione Edison, non è il caso di farsi prendere dal panico.

L’aumento dei prezzi delle materie prime pare essere un problema non banale per le imprese e i cittadini. Quanto dobbiamo preoccuparci?

Facciamo una premessa. Quello dei prezzi non è solo un problema italiano, è un problema che riguarda tutta Europa, anzi tutto il mondo. Fatte le debite proporzioni, poi, l’Italia sta soffrendo meno degli altri, come Germania e Francia anche perché l’industria dell’auto non è più così dominante per le sorti della nostra manifattura come nel Novecento

Come si spiega?

Molti Paesi hanno produzioni in serie e proprie. L’Italia ha produzioni di nicchia, che non si inceppano come invece accaduto in Germania. Lo dimostra il fatto che il terzo trimestre in Italia sarà migliore di molti altri Paesi. Il punto è che il nostro modello industriale, rispetto a quelli dominanti di Giappone e Corea, è molto più flessibile perché caratterizzato da tanti settori produttivi di nicchia, molto spesso d’eccellenza, e un sistema di piccole e medie imprese in grado di reggere qualsiasi forza d’urto, anche grazie alle riforme dell’industria 4.0.

Approvvigionamento e costi della materia prima. Eccola la combinazione micidiale…

Lo è. Ma vede, tutto questo impatta di più su industrie che fanno della materia prima la componente micidiale. L’Italia sta sperimentando una certa pressione su certe industrie, ma su molte altre no. Nel complesso, non siamo messi così male.

Ma come si spiega questo grande corto circuito planetario?

Colpa del disallineamento dei diversi lockdown mondiali. Guardiamo al Vietnam, che oggi è in lockdown e parliamo di un grande fornitore. Un anno fa ci eravamo noi. Questo scostamento ha prodotto una grande strozzatura sulle merci e i prezzi, una strozzatura importante che a mio parere è dovuta principalmente a un’emergenza congiunturale globale. Speriamo non duri troppo tempo.

Che cosa dobbiamo aspettare?

Che la lotta alla pandemia faccia il suo corso e che si torni al punto di partenza. In poche parole, che l’economia e le sue leggi si riassestino. Qui parliamo di una catastrofe globale, mica un colpo di vento.

Ammetterà che il surriscaldamento dei prezzi rischia di compromettere la ripresa, globale e italiana. Sbaglio?

Guardi, la ripresa è in realtà molto forte e solida, soprattutto in Italia. Non siamo di fronte solo a un rimbalzo. I dati dimostrano che l’industria manifatturiera italiana sta correndo forte in molti settori, dalla meccanica alla chimica. Grazie all’industria 4.0 gli investimenti dell’industria manifatturiera sono cresciuti in media a tassi superiori all’8% per più di quattro anni consecutivi. Il Nord-est non ha nulla da inviare alla Baviera. Il Veneto e il Friuli Venezia Giulia manifatturiero hanno performato addirittura meglio della Cina grazie alla modernizzazione digitale e alla robotizzazione delle sue imprese che considero un fatto straordinario”.

E la Cina? Se Pechino si ferma è un problema, per tutti.

Anche lì, certamente è un problema perché la Cina consuma e produce molto. Ma essendo il fornitore del mondo, non credo abbia interesse a strozzare le forniture e i prezzi, perché ci rimetterebbe essa stessa. Torno a ripetere, il problema è l’inceppamento globale a causa dei vari lockdown, estremamente frastagliati. Non dimentichiamo poi la speculazione…

Ovvero?

Pensiamo al gas. La Russia ha dirottato molti flussi verso la Cina. Questo è solo uno dei tanti granelli di sabbia nell’ingranaggio mondiale. Però l’Italia ha un’industria forte, se non troviamo un componente lo andiamo a cercare da qualche parte. Se la Germania deve produrre 80 mila Golf VolksWagen e non gli arriva l’elettronica dalla Cina, si ferma un’industria intera, per la precisione di ferma la Germania stessa che dipende dall’auto. Noi non abbiamo tali volumi di produzione il che in questo momento è un salvagente. Glielo dimostro?

Vada.

Sono abbastanza sicuro che quest’anno la Germania non vada oltre il 2% di Pil. L’Italia ha già una previsione del 6%, al netto del Pnrr. Secondo lei chi sta peggio?

 

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