Intervista al fondatore di Limes: Blinken a Parigi per rimettere in sesto le relazioni dopo Aukus, Macron pronto a rilanciare. Un’illusione credere che parlerà a nome dell’Europa, in cima alla lista c’è la partita industriale di Naval Group. E in cambio la Francia otterrà sostegno in Africa contro i mercenari di Putin
Le scommesse sono aperte. Quando questa settimana Emmanuel Macron riceverà all’Eliseo il Segretario di Stato americano Antony Blinken, parlerà a nome dell’Europa, o della Francia? Il protagonismo ritagliato dal presidente francese in vista del ritiro di Angela Merkel dal palcoscenico europeo potrebbe suggerire la prima risposta. Ma le manovre francesi per chiedere a Joe Biden una contropartita dopo lo smacco Aukus, il patto militare per i sottomarini nell’Indo-Pacifico che ha mandato in fumo una commessa miliardaria di Parigi, racconta un’altra storia. Nulla di strano, dice a Formiche.net Lucio Caracciolo, fondatore e direttore di Limes, “un Paese serio fa così”.
Washington e Parigi tornano a parlarsi. La tempesta è passata?
Non c’era scelta. I francesi hanno perso il primo tempo della partita, sanno di non poter rientrare nel gioco Indo-pacifico. Sono finiti in una rete di interessi troppo grande, che si basa su un grado di intimità che può esistere solo fra Paesi disposti a scambiarsi informazioni sensibili di intelligence.
Intende i Five Eyes?
Una parte dei Five Eyes. Aukus ha creato una spaccatura all’interno dell’alleanza di intelligence anglosassone. Da una parte i tre membri a pieno titolo, Australia, Stati Uniti e Regno Unito, alleati dentro e fuori il campo di battaglia fin dalla Prima guerra mondiale. Dall’altra i due partner secondari, Canada e Nuova Zelanda, ritenuti troppo liberal e guardati con sospetto per la loro ostilità al nucleare.
Con la Francia è stata una ricucitura obbligata?
La Francia resta un alleato importante degli Stati Uniti, e al tempo stesso un alleato scomodo. Ha idee di grandezza che nessuno degli altri partner rivendica. È la prima potenza sottomarina europea, la seconda nel dominio marittimo. E ha un impero da proteggere: non solo in Nord Africa, anche nei domini pacifici. La difesa della Nuova Caledonia, ad esempio, ha un enorme valore simbolico: una tentazione indipendentista può creare seri problemi.
Cosa chiederà Parigi a Blinken?
La Francia ha bisogno degli Stati Uniti in Africa. Gli americani possono dare un sostegno logistico, di intelligence e a bassa intensità anche militare in quei teatri che vedono i francesi in contrasto con i russi.
Ad esempio?
Penso alla recente perdita della Repubblica centrafricana, finita sotto l’egida di Mosca. Un boccone duro da digerire, perché da lì si passa per andare in Niger, Paese strategico per la fornitura di uranio e per le rotte migratorie. O ancora al Fezzan, la “Libia francese”, e al Mali, che sono lentamente scivolate fra le braccia dei mercenari russi della Wagner.
L’Italia è in partita?
Siamo coinvolti in Mali con l’operazione a guida francese Takuba. Entrare con forze speciali ed elicotteri in uno dei Paesi più pericolosi del continente africano, culla del peggiore jihadismo e di una struttura statale inesistente, è stato un enorme azzardo. Peraltro con tanto di beffa.
Perché?
Il tempismo non è stato dei migliori. L’idea di un coinvolgimento italiano nasceva per mostrare solidarietà alla Francia, che invece ha deciso di levare le tende in fretta e furia. Nel frattempo anche qui la Wagner ha iniziato a farsi strada.
All’indomani dell’annuncio di Aukus, la Francia ha preso in mano il vessillo dell’autonomia europea. È una rivendicazione credibile?
La Francia, che a differenza dell’Italia è un Paese serio, fa semplicemente il suo dovere: difende l’interesse nazionale. E come altre nazioni dell’Ue, vedi la Germania o l’Olanda, ammanta questa operazione con una retorica europeista, chiedendo sostegno e copertura agli altri Stati membri.
Insomma, c’è un sottofondo di sovranismo…
Certo, non lo scopriamo oggi. Lo stesso richiamo francese alla sovranità europea è un ossimoro.
Poi c’è una partita industriale, che finirà nei colloqui parigini di Blinken.
Sarà in cima all’agenda, vedremo con quali sviluppi. Lo smacco di Aukus è stato notevole, una commessa da 56 miliardi di euro è andata in fumo. Per capirci, è più di quanto la Francia abbia ottenuto dal Recovery Fund. Naval Group ormai fatica ovunque e l’industria militare francese si sta muovendo per salvare il suo campione nazionale.
C’è una lezione per l’Italia?
C’è eccome. In Francia, come in qualsiasi Paese industrializzato, prima si stabiliscono gli obiettivi strategici e poi si costruiscono gli armamenti. In Italia succede il contrario. Con il risultato che alcuni dei nostri migliori prodotti dell’industria militare e navale finiscono all’estero, e continuiamo a muoverci seguendo una logica meramente commerciale. Finché queste sono le premesse non c’è partita.