Un errore strategico il forfait di Xi, Putin e Bin Salman. Un successo la preparazione di Draghi, che ora può farne un metodo. Il G20 di Roma traccia una strada per l’Italia post-pandemia. Il commento di Giovanni Castellaneta, già ambasciatore italiano a Washington DC
Il Summit G20 è iniziato a Roma con Mario Draghi a fare gli onori di casa per l’Italia. Una grande occasione di visibilità internazionale per il nostro Paese, in un momento cruciale per le relazioni internazionali dato che il mondo sta cercando di uscire dalla pandemia – seppur con velocità ancora differenti – garantendo stabilità alla ripresa economica, e al tempo stesso di prendere impegni ambiziosi di lungo periodo per vincere la sfida più grande dei nostri tempi, il cambiamento climatico.
Ma che cos’è davvero il G20? È soltanto una “coreografica” occasione di incontro tra i principali leader del pianeta a livello economico (non dimentichiamoci che i Paesi G20 mettono insieme l’80% del Pil mondiale), oppure è un forum in grado di avere un impatto concreto sulle grandi questioni multilaterali? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo pensare al ruolo attribuito al G20 a partire dalla sua nascita. Creato nel 1999 come incontro tra i Ministri delle Finanze per affrontare la crisi finanziaria nel Sud-est asiatico, nel 2008 – su iniziativa degli Stati Uniti – è stato elevato al livello dei Capi di Stato e di Governo per cercare risposte condivise all’eccezionale emergenza rappresentata dalla crisi finanziaria globale.
Tuttavia, nel corso degli anni il “mandato” del G20 si è allargato, occupandosi non solo delle questioni economico-finanziarie, ma anche di politiche energetiche e ambientali, commercio internazionale ed investimenti, cooperazione allo sviluppo, politiche del lavoro e dell’istruzione. Ed effettivamente, nel corso di questi quattordici anni alcuni importanti risultati sono raggiunti: dall’istituzione del Financial Stability Board al secondo vertice di Londra nel 2009 arrivando quest’anno alla decisione (di portata quasi storica) di istituire una global minimum tax sulle multinazionali nel tentativo di contrastare i paradisi fiscali e la concorrenza sleale tra Paesi.
Il valore e il significato del G20 sono di tipo soprattutto geopolitico. La decisione di istituire questo forum di dialogo e confronto tra i leader è dovuta essenzialmente alla volontà di estendere inclusività e rappresentatività del G7, che esisteva già da tempo ma che sembra sempre più come un “club” ristretto delle principali democrazie occidentali (a maggior ragione da quando il formato a 8 è stato abbandonato in seguito all’espulsione della Russia nel 2014) che condividono più facilmente valori e visioni sulle grandi questioni internazionali. In quest’ottica, dunque, il G20 sembra come il tentativo di trovare un denominatore comune tra le molteplici posizioni e i diversi interessi in gioco, per cercare una composizione a istanze spesso contrapposte tanto più nel contesto attuale dove non c’è più una sola superpotenza e il multilateralismo sta attraversando un periodo di crisi.
All’interno di questo contesto, come si è mossa l’Italia di Draghi? Al di là dell’evocativa impostazione dell’agenda intorno alle cosiddette “3P” (People, Planet and Prosperity), che ha caratterizzato i lavori a livello tecnico durante tutto l’anno di Presidenza italiana, il premier è comunque riuscito ad organizzare un vertice di altissimo profilo, pur dovendo fare i conti con l’”handicap” rappresentato dalle pesanti assenze di Vladimir Putin, Xi Jinping e Mohammed bin Salman.
La sintonia con Biden e gli altri leader europei (Angela Merkel, Emmanuel Macron – anche se la prima in uscita e il secondo con elezioni in vista – ma anche Boris Johnson) è evidente, ma l’auspicio è che questo G20 sia utile anche nei prossimi mesi per comporre alcune fratture e per trovare una via comune su sfide quali il superamento definitivo della pandemia e l’avvio di un percorso deciso nel contrastare il cambiamento climatico. Da non sottovalutare anche il fatto di essere riusciti ad organizzare una riunione – seppur virtuale – sull’Afghanistan: le questioni di politica estera non sono tradizionalmente affrontate dal G20, dunque è positivo che l’Italia sia riuscita quantomeno a convincere gli Stati membri a sedersi intorno al tavolo e discutere la crisi afghana, tema che richiederà attenzione e sforzi congiunti nei prossimi anni.
Non possiamo infine non constatare come questo summit si sia svolto al termine di un anno “magico” per l’Italia: lungi dall’attribuire a Draghi proprietà taumaturgiche da “re Mida”, è però innegabile che grazie alla sua leadership e alla sua altissima reputazione internazionale il nostro Paese abbia fatto enormi passi avanti nel corso del 2021, uscendo dall’emergenza sanitaria e riattivando l’economia in maniera significativa (tanto che molti osservatori internazionali sostengono che gli anni Venti saranno un decennio d’oro per il nostro Paese). L’auspicio è che si possa dare continuità a questo percorso, andando oltre la Presidenza del G20, per restituire prestigio e autorevolezza all’Italia in uno scenario internazionale complesso e in mutamento.