Se volete capire l’era Draghi, studiate Giancarlo Giorgetti. Dal Financial Times arriva un doppio endorsement al ministro leghista a capo del Mise. Ha lui le chiavi della ripartenza industriale e le sa usare. E rappresenta una Lega (e un’Italia) che vuole stare con l’Ue e gli Usa
Chi vuole capire “la chiave” del governo guidato da Mario Draghi deve comporre un solo numero telefonico: quello di Giancarlo Giorgetti. Esordisce così una lunga intervista del Financial Times al ministro dello Sviluppo economico e vicesegretario della Lega. La firma una prima linea del quotidiano finanziario britannico, Miles Johnson, e svetta in uno speciale dedicato all’Italia ai tempi di Draghi. Avviso ai naviganti: “chiunque stia scommettendo sul futuro politico del Paese, dovrebbe osservare Giorgetti”.
È lui, il ministro cui Draghi ha affidato il compito di “dare forma a una nuova politica industriale italiana”, la bussola con cui orientarsi nella nuova fase politica. Che Giorgetti avesse buona stampa oltreoceano non è una novità. Ma quello che parte dalle colonne del Financial Times è un doppio endorsement.
Il primo è politico. Con una Lega sempre tentata dalle sirene sovraniste e ultimamente anche da quelle no-vax, Giorgetti “impersona l’ala del partito più centrista, pragmatica, radicata nella base tradizionale delle imprese del Nord”, scrive Johnson. Di più: alla retorica “Italy first” e ai “flirt con la Russia di Putin”, il vicesegretario, già prima fila della Lega bossiana, è oggi “chiarissimo nel sottolineare l’importanza del posizionamento dell’Italia in Ue e dei suoi impegni con la Nato”.
L’ “atlantismo pragmatico” di cui Draghi ha fatto un biglietto da visita riaffiora di continuo nelle uscite del ministro. Che infatti è sicuro: gli interessi nazionali, a partire dalle ambizioni industriali italiane, trovano spazio, e compimento, nel rapporto privilegiato con Washington DC. “Non credo che l’Europa possa essere indipendente dagli Stati Uniti per la sua politica di Difesa – spiega Giorgetti – dobbiamo continuare a giocare un gioco globale”. E se è vero che, soprattutto sul fronte della Difesa, richiamato da Joe Biden e Draghi durante l’incontro a margine del G20, “l’Europa deve continuare a cooperare con gli Stati Uniti”, l’Italia può e deve “agire nell’interesse dei suoi campioni nazionali, come Leonardo”.
Il secondo endorsement riguarda invece il lavoro svolto da Giorgetti al Mise, ministero-chiave per indirizzare i fondi della ripresa. A soffiare nelle vele c’è una fiducia dei mercati che non si vedeva da un pezzo. Complice “il raro momento di stabilità” inaugurato con Draghi a Palazzo Chigi, dice Giorgetti. “Ci troviamo in una situazione particolarmente favorevole in termini di interessi”. Per riaccendere i motori della crescita, però, serve un’altra spinta da Bruxelles. Ovvero che la decisione presa un anno e mezzo fa con la benedizione (anche) di Angela Merkel, mettere da parte le regole sul debito europee per fare i conti con la pandemia, sia resa, almeno in parte, irreversibile.
“Negli ultimi vent’anni per l’austerity e le regole europee sul bilancio abbiamo pagato un prezzo più alto di altri Paesi – ragiona il ministro – oggi abbiamo più spazio di manovra per investire. È finita la pauperizzazione dei Paesi europei, possiamo usare le nostre risorse in un modo più intelligente”. Poi Giorgetti sussurra una convinzione personale: Draghi può e deve restare a Palazzo Chigi. “Con le elezioni in Germania e Francia, l’Italia può diventare un protagonista nella decisione delle regole. Con la sua leadership, può ricoprire un ruolo diverso dal passato”.