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Meloni, il rischio neofascismo e le frasi non dette

Con questa analisi politologica del “fenomeno Meloni” si avvia una serie di disamine delle varie figure di leader di partito, raccontate da Luigi Tivelli, già docente di Diritto costituzionale, politologo non accademico, scrittore e saggista politico

Giorgia Meloni, due giorni prima del turno elettorale amministrativo è stata costretta a salire agli onori delle cronache credo per una vicenda che non le ha fatto certo piacere: quella che ha riguardato il leader di Fratelli d’Italia al Parlamento Europeo, e da sempre amico della Meloni, Fidanza. Una vicenda tra lo squallido e il triste con implicazioni di rigurgiti di neofascismo e di neonazimo, ovviamente con simboli, mani tese, alle quali si è aggiunta un’inchiesta della magistratura sulla scia dell’inchiesta giornalista di Fanpage.

L’inchiesta della magistratura credo riguardi l’utilizzo di fondi neri, la violazione delle norme sul finanziamento pubblico ai partiti e altri aspetti emersi da quella “lobby nera” in cui era coinvolto anche l’onorevole fidanza oltre a una figura semi macchiettistica di nobile molto nero. La Meloni anche in questo caso ha perso l’occasione per fare una seria professione di antifascismo così come aveva fatto a suo tempo – come vedremo – Gianfranco Fini. Un’altra occasione persa è stata l’intervista a Paola di Caro del Corriere della Sera in cui la Meloni ha dichiarato di essere pronta a cacciare tutti i nostalgici che emergano dalle fila del suo partito ma così, aggirando due chiare domande, si è guardata bene dal dire che Fratelli d’Italia si riconosce in una posizione antifascista.

Come altri analisti politici – almeno credo – sto studiando da tempo il “fenomeno Meloni”, oggi ancora più alla luce del fatto che la Meloni con il suo partito quasi personale, Fratelli d’Italia è attestato in media intorno al 20% dei vari sondaggi, in qualche caso sopra la Lega, anche se, come ha calcolato il prof. D’Alimonte, l’ultimo turno di elezioni amministrative Fratelli d’Italia ha conseguito una media non esaltante dell’11% dei voti, un punto e mezzo più della Lega Nord.

Da moltissimo tempo, avendo avuto anche una certa frequentazione a suo tempo con Umberto Bossi, studio anche il caso e gli sviluppi della Lega. Pur tra le tante contraddizioni, gli andirivieni, le posizioni prima assunte e poi negate da Salvini, la Lega è un partito con un fondamento e un radicamento sociale significativo soprattutto al Nord, specie tra le partite Iva, tra i piccoli e medi imprenditori, gli artigiani, una parte significativa del mondo operaio, ecc. Certo, al Centro Sud il partito di Salvini ha “ingaggiato” tra gli altri anche personaggi in qualche caso un po’ improbabili e un po’ dubbi, in qualche fase anche con certe forme di semi collusione con ex fascisti, e con il coinvolgimento in vari altri casi di personalità, magari ex democristiane, a forte radicamento assistenzial-clientelare, come avviene ad esempio in Sicilia.

Tornando però al “fenomeno Meloni” che è quello che qui mi interessa, per quanto abbia provato ad indagare e riflettere non ho capito qual è il radicamento sociale del partito quasi personale della Meloni. Per certi versi i tanti consensi che sembrano andare verso Fratelli d’Italia e la Meloni mi sembrano un fenomeno simile, in questo caso a destra, a quella forma di semi impazzimento di una grande parte degli italiani che nel 2018 hanno attribuito circa il 32% dei voti al Movimento 5 Stelle, con punte sopra i 45% nel Mezzogiorno.

In questo quadro mi ha colpito molto l’articolo su Formiche.net di Antonio Pellegrino pubblicato il 26 Settembre scorso con il titolo “Giorgia Meloni, prima e dopo”. In quell’articolo, analitico e ben documentato e teso a ricercare le contraddizioni di Giorgia Meloni, emerge che c’è un grande Spread, un grande divario fra una Meloni che spesso declama le parole “onestà, libertà, coerenza”, e le posizioni in netta contraddizione assunte nel tempo, con variazioni molto nette e significative dalla Meloni. Quell’articolo spiega molto bene e in termini molto documentati come la Meloni sia passata da una fermezza assoluta, assunta già nel 2018 sulla necessità del ricorso il più possibile ai vaccini, e quelle sostenute tra il 2020 e il 2021, specie nella nostra fase. L’autore evidenzia anche che, ovviamente su indicazione della Meloni, sono stati l’anno scorso cancellati i tweet, e i post che esprimevano quelle posizioni, visto che poi la stessa Meloni ha assunto posizioni molto critiche sull’utilizzo del green pass, sugli stessi vaccini anti-Covid.

Io, così come l’autore dell’articolo, sui vaccini la penso come la Meloni del 2018, ma la Meloni mostra oggi di pensarla in termini opposti a com’era se stessa nel 2018 e nel 2019. Nello stesso articolo si evidenzia come anche rispetto all’omosessualità ci sia stata una “netta” evoluzione della Meloni, in precedenza e anche quando era ministro della Gioventù molto aperta rispetto ai diritti omosessuali, mentre nel 2020 e oggi la stessa leader di Fratelli d’Italia sostiene posizioni nettamente diverse, distinguendo tra omosessuali e organizzazioni Lgbt, sostenendo poi, come documenta l’articolo citato che non si può dire che gli omosessuali siano discriminati.

Analogo è il discorso sulle posizioni assunte dalla leader in netta scesa dei sondaggi sul fascismo. Mentre Gianfranco Fini, che è stato un leader di tutt’altro livello della destra, anche se oggi sembra che tutti se ne siano dimenticati e sembra abbandonato da tutti, aveva sostenuto tra l’altro già nel 2008, ma anche in precedenza, “dobbiamo essere chiari, la destra si riconosca nei valori dell’anti fascismo”, ben diverso è l’atteggiamento della Meloni, che, come emerge dall’articolo citato, sostenne tra l’altro: “E adesso per favore basta con questa storia del fascismo o dell’anti-fascismo, pietà”. Gianfranco Fini, invece, già nel 2003, avendo organizzato con cura un suo viaggio in Israele, dichiarò davanti alle autorità di quel Paese che “il fascismo è stato un male assoluto”, mentre la Meloni si nasconde dietro al fatto che lei è giovane ed evidenzia che interessa poco ad un giovane la vicenda di un regime superato.

Le stesse contraddizioni emergono in relazione al sovranismo. A parte che, come riferito nel citato articolo, la Meloni, che era stata una pupilla di Fini e che deve a Gianfranco Fini tra l’altro le due significative cariche ricoperte di vice presidente della Camera e di ministro della Gioventù, di Gianfranco Fini sostanzialmente dice che “ha deciso di essere la mascotte degli interessi della grande finanza, della massoneria, delle lobbies e dei grandi potentati”. Lo sosteneva già nel 2015, accusando lo stesso Fini di aver snaturato la propria identità. Nonostante poi provi a presentarsi soprattutto come conservatrice, come documenta l’articolo di Antonio Pellegrino, è chiaro che le posizioni della Meloni sono di tipo sovranista.

Inoltre, quando mi capita di studiare l’emersione di un leader, provo sempre a verificare le prove e le performance da lui date nelle cariche istituzionali assunte. Non mi sembra che la Meloni abbia brillato come vice presidente della Camera (un mestiere tra l’altro molto facile perché il vice presidente della Camera ad esempio quando presiedono le sedute sono direttamente e con continuità assistiti dagli ottimi funzionari parlamentari del servizio assemblea, se non dal Segretario generale della Camera). Detto per inciso, il fatto che Luigi Di Maio abbia usato come trampolino la carica di vice presidente della Camera per una grande carriera ministeriale successiva dovrebbe essere valutata in modo critico, visto che la funzione di vice presidente della Camera è sostanzialmente una delle più facili da assolvere per il motivo che ho già tentato di spiegare. Beppe Grillo ha invece presentato Di Maio come una specie di statista per il fatto di aver assolto dignitosamente alle funzioni di vice presidente della Camera.

Non mi pare poi che la Meloni abbia brillato come ministro della Gioventù: in un Paese in cui la questione giovanile è grave e pesa non solo sul futuro dei giovani ma anche su quello del Paese (pensi ad esempio alla disoccupazione giovanile) non mi ricordo chissà quale performance della Meloni come ministro della Gioventù. E un leader va misurato anche dalle prove date nel momento in cui ha rivestito cariche istituzionali. Non mi pare poi di vedere qualche radicamento sociale del partito della Meloni, in cui ci sono esponenti di ottimo livello come Guido Crosetto (un buon imprenditore piemontese di sana origine democristiana che credo provi più di qualche imbarazzo quando viene intervistato sulla Meloni e con qualche accenno all’impronta neofascista di qualche esponente di Fratelli d’Italia, come avvenuto in una recente intervista a Repubblica), come Fabio Rampelli che è stato un buon capo gruppo e un buon vice presidente della Camera (migliore per quanto mi sembra di come fu per lo stesso ruolo la Meloni) e qualche altro che conosco e ho studiato di meno.

Mi riferiscono però che ci sono certe forme di familismo, qualche cognato molto presente in televisione, ecc., ma io per principio non bado a quelli che possono essere pettegolezzi. Mi ha colpito molto che il libro “Io sono Giorgia” sia stato a lungo primo nella classifica dei libri di saggistica più venduti. L’ho perfino comprato e gli ho dato una veloce lettura: quello che mi è venuto da pensare, avendo ricoperto anche la funzione di consulente editoriale, avendo letto moltissimi libri, oltre ai tanti che ho scritto, è che non mi sembra che una parte degli italiani sia molto attenta nel selezionare le letture, perché per me è stata una lettura utile per capire qualcosa di più della Meloni ma onestamente non certo esaltante.

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