La campagna “Worker Lives Matter” dà manforte a un dibattito ormai inevitabile nel Paese. Sotto accusa la pratica “996” (lavorare dalle 9 alle 9 per 6 giorni a settimana). A imporre il cambio di paradigma e rifiutare l’idea di successo imposta dalla società sono soprattutto le nuove generazioni
La stretta del governo cinese sulle grandi aziende tecnologiche ha scoperchiato il vaso di Pandora sui lavoratori. I ritmi frenetici e le condizioni cui sono sottoposti i dipendenti delle varie Alibaba, Tencent, Baidu e ByteDance sembrano aver stancato (letteralmente) molti di loro, non più disposti a cedere di fronte a richieste fuori portata. Così, quattro neolaureati anonimi hanno lanciato la campagna “Worker Lives Matter”, per chiedere ai dipendenti di registrare su un foglio GitHub il proprio nome, la posizione ricoperta e soprattutto l’orario di lavoro. Tempo poche ore e l’iniziativa è diventata virale.
Un segnale evidente di come anche tra i più stakanovisti ci si sta rendendo conto che la qualità del lavoro conta più della quantità. Molti di loro lavorano cinque giorni a settimana, per circa 10 o 12 ore al giorno. Ma c’è anche chi sta peggio. La maggior parte ha dichiarato come la nota pratica “996” sia molto diffusa. Questi tre numeri indicano un orario di lavoro che parte alle 9 e termina alle 21, per sei giorni su sette. La pratica viene contestata ormai da tempo dagli attivisti e dagli stessi lavoratori e a dar manforte alla loro battaglia è arrivata la sentenza della Corte suprema cinese, che ad agosto ha definito illegale la “996”.
Tra coloro che hanno lanciato la campagna c’è chi spera che possa aiutare i lavoratori a scegliere consapevolmente la propria professione. Il mondo della tecnologia è sicuramente quello più pesante da un punto di vista dello stress, ma dall’iniziativa hanno preso spunto anche quelli occupati nei settori dell’immobiliare e della finanza, decisi a sottoporre il test tra i loro dipendenti. “Speriamo di dare un contributo al boicottaggio della 996 e alla divulgazione della 955”, ha dichiarato uno dei fondatori del sito Zhihu riferendosi a un orario di lavoro più umano, che vada dalle 9 alle 17 con due giorni di riposo. Anche la campagna “996 Icu” ha raccolto diversi consensi nel corso degli anni ed è arrivata a denunciare più di duecento maltrattamenti subiti dai lavoratori nelle loro aziende. Al momento, da queste ultime non è arrivata alcuna considerazione in merito.
Sembra essere in atto, dunque, una trasformazione della concezione del lavoro. Questa nuova prospettiva ha permesso di aprire un dibattito su quanto sia giusto sacrificare gran parte del proprio tempo per dedicarlo al lavoro. Per una professione, inoltre, che molti non sentono realmente propria. Da un approfondimento del numero 1419 di Internazionale è risultato come in Cina è in atto una trasformazione generazionale. Mentre i più anziani mantengono una predisposizione al lavoro elevata, quelli nati dopo 1995 si impongono per condizioni più umane e si oppongono alle lunghe giornate di lavoro condite da una competizione psicologicamente malsana.
Non solo. A finire sotto processo è anche l’utilità del lavoro. La ripetitività delle mansioni porta a una noia generale, capace di appiattire la creatività dell’individuo. Così, anche gli ingegneri laureati in Cina che finiscono in queste grandi aziende (soprannominate “grandi fabbriche”) si autodefiniscono “contadini del codice”. L’insoddisfazione, come scritto, è tipica solamente di una parte di dipendenti – quella appena affacciatasi al mondo del lavoro – generando così uno scontro con quelle precedenti che li accusano di non voler faticare. Tra i neolaureati è in costante crescita la percentuale di coloro che preferiscono trovare un posto all’interno del Partito comunista o un impiego statale piuttosto che finire nel vortice delle imprese private. C’è da dire, però, che le varie amministrazioni si trovano nel mezzo di una battaglia che vede da una parte la salvaguardia dei diritti dei lavoratori e, dall’altra, il pesante ruolo giocato dalle imprese per lo sviluppo del Paese.
Alla vita frenetica e imposta da ritmi infernali, le nuove leve cinesi preferiscono una vita più calma, dove il buon vivere sostituisca il sopravvivere. Il termine tang ping è stato coniato da un ragazzo che si definiva soddisfatto della propria disoccupazione. La parola, infatti, vuol dire sdraiarsi, che tradotto nella pratica indica un senso di rilassamento in contrapposizione a un mondo che corre all’impazzata. In poco tempo, il movimento tang ping ha raccolto migliaia di iscrizioni. Segno di come l’idea di successo imposta dalla società non interessi più come una volta.