Durante un incontro pubblico in onore di Luigi Petroselli, a quarant’anni dalla sua improvvisa scomparsa in piena attività di sindaco, il candidato del Pd ha definito Clelio Darida un “grande sindaco democristiano”. Nessuno, a destra o a sinistra, ha mai formulato un giudizio così netto e impegnativo. Con ciò è caduta una barriera, origine di tante distorsioni e furberie politiche. Il commento di Giuseppe Fioroni
Nei giorni scorsi avevo suggerito a Roberto Gualtieri di portarsi a fondo campo, come la punta di una squadra che non ha paura di giocare all’attacco, per essere il candidato più aperto ed inclusivo in questo scorcio di campagna elettorale, a poca distanza temporale dal ballottaggio per il Campidoglio.
Devo riconoscere che lo sta facendo con intelligenza ed equilibrio, sempre con lucidità. Anche gli avversari dovrebbero riconoscere la costanza di un discorso che mira a unire la città, non ad imprigionarla nella logica del pregiudizio e dello scontro. Ne abbiamo bisogno specialmente oggi, allorché Roma si risveglia ferita dalla violenza di estremisti neri, pronti a sfruttare la paura e il disagio serpeggianti nella società proprio all’uscita da questa lunga e complicata pandemia.
Abbiamo bisogno, senza dubbio, di un sindaco che abbia a cuore una vera politica di coesione e solidarietà. Solo questo approccio coscienzioso, capace di trasporre sul piano territoriale il modello vincente di Draghi, ci assicura che il motore dello sviluppo giri a pieno ritmo e non s’inceppi al primo tornante della risalita. Roma esige uno sforzo di larga convergenza, sostenuto da slancio e generosità, per affrontare la sfida di un’eccezionale rigenerazione urbana, a partire dalla qualità dei servizi pubblici e sociali.
Gualtieri ha dato prova di quella serietà che spesso in campagna elettorale s’invoca inutilmente. Senza tanti clamori, ha rimosso il tabù che nel circuito romano ha impedito finora di cogliere e valorizzare gli elementi di positiva continuità a riguardo della storia amministrativa locale del secondo Novecento. Può sembrare l’elegante colpo d’ala di uno storico di professione, in vena di benevoli revisionismi, ma non lo è; piuttosto, osservando bene, è ciò che possiamo ben identificare come il carattere paradigmatico di una politica volta ad unire la comunità. Cosa ha fatto di preciso, Gualtieri? È andato ad un incontro pubblico in onore di Luigi Petroselli, a quarant’anni dalla sua improvvisa scomparsa in piena attività di sindaco, e invece di attenersi alla ennesima commemorazione di tale carismatica figura della sinistra romana, ne ha voluto ricordare l’aspetto meno celebrato e anche meno noto, ovvero il suo disporsi comunque al dialogo, all’incontro e finanche alla collaborazione con gli interlocutori più esigenti o addirittura più ostici.
E qui la serietà, mista indubbiamente a coraggio, ha spinto Gualtieri a definire Clelio Darida – con lui Petroselli collaborò in anni difficili, a cavallo del referendum sul divorzio e del convegno diocesano sui mali di Roma, stando pur sempre i comunisti fuori dalla giunta – un “grande sindaco democristiano”. Nessuno, a destra o a sinistra, ha mai formulato un giudizio così netto e impegnativo. Con ciò è caduta una barriera, origine di tante distorsioni e furberie politiche. Si pensi ad esempio alla grossolanità della polemica sul debito capitolino, ogni tanto sbandierato, anche dopo la dubbia “cura Alemanno”, come emblema di una stratificata corruzione. Non è stato invece il prodotto di scelte particolarmente onerose, quali l’assegnazione di case popolari a svariate migliaia di baraccati e l’imponente processo di risanamento dei borghetti? D’altronde, questa fu la grande operazione che Paolo VI chiese riservatamente in vista del Giubileo del 1975, all’epoca pertanto della ricordata “collaborazione dialettica” tra Darida e Petroselli.
Ora, in questa cornice ideale, non è molto rilevante se Gualtieri abbia o non abbia gratificato la dispersa galassia del popolo democristiano. Semmai è il potenziale nascosto in questo accenno di ricucitura storica, con la giusta comprensione delle dinamiche operanti nella realtà di Roma dal dopoguerra ad oggi, ad essere davvero rilevante.
Si possono prendere molti impegni davanti agli elettori, non lesinando promesse e rassicurazioni, ma la garanzia più solida della loro centralità e permanenza dentro lo scenario amministrativo a venire consiste nell’incentivazione di un dialogo costruttivo con tutte le forze sociali e politiche, per collegare la maggioranza di governo al rispetto del pluralismo e le opposizioni al comune lavoro per il bene della città. Senza facili entusiasmi, ma con senso di responsabilità.