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Gualtieri vs Michetti, parlano gli strateghi. Ecco il dietro le quinte

Amici nella vita, avversari sul campo. Giovanni Diamanti e Luigi Di Gregorio sono i due strateghi della campagna elettorale di Roberto Gualtieri ed Enrico Michetti. Li abbiamo incontrati per una doppia intervista. Viaggio dietro le quinte della corsa Capitale in attesa del verdetto di lunedì

Amici e avversari. In politica si può, eccome. Basta farsi un giro in Transatlantico per un bagno di realtà: salvo rare eccezioni, gli onorevoli che si ringhiano contro su tv e giornali si possono facilmente trovare a scherzare, chiacchierare e bersi un caffè, e non solo dentro il Palazzo. È una regola che vale anche per i “professionisti” della politica. Come Giovanni Diamanti e Luigi Di Gregorio, i due “strateghi” dietro la campagna per Roma, rispettivamente, di Roberto Gualtieri ed Enrico Michetti. Amici nella vita, rivali in politica, aspettano entrambi col fiato sospeso il verdetto capitale di lunedì. Diamanti è co-fondatore di Quorum e YouTrend, docente di Marketing Politico all’Università di Padova e alla Scuola Holden di Torino, già stratega delle campagne elettorali di Nicola Zingaretti, Dario Nardella, Beppe Sala, Vincenzo De Luca. Di Gregorio è docente dell’Università della Tuscia di Viterbo e di campaign management in diversi master e scuole di specializzazione, e fra le altre cose è stato responsabile della comunicazione del Comune di Roma con Gianni Alemanno. Formiche.net li ha incontrati per una doppia intervista. Ecco cosa si muove (e cosa si muoverà) dietro le quinte della corsa al Campidoglio.

Una premessa. Che ruolo hai avuto nella campagna elettorale?

G.D.: Come Quorum/YouTrend in questi mesi abbiamo lavorato a sondaggi, strategia generale e messaggio. Non abbiamo seguito la comunicazione e il day by day della campagna, che in contesti come quello di Roma richiede un grande team di professionisti. Le campagne elettorali sono un momento collettivo e la squadra di Gualtieri è stata di alto livello: dalla regia politica (Claudio Mancini, Mario Ciarla, Albino Ruberti, Maurizio Venafro) fino al ruolo nella comunicazione di Luigi Coldagelli, Andrea Garibaldi, Pierluca Tagariello, Cecilia del Guercio, mentre sul fronte creativo le redini le ha avute Alessandra Furfaro di The Washing Machine, e molti altri. A queste figure va poi aggiunto uno staff operativo di grande esperienza.

L.D.G.:  Fondamentalmente di strategia. Ma poi, avendo fatto diverse campagne a Roma ed essendo già stato in Campidoglio 5 anni come dirigente, i ruoli si sono moltiplicati. Ma è giusto così. Un comitato elettorale non è mai una macchina perfetta e lineare come viene descritta nei manuali di marketing politico… è dinamica, ci si adatta in corsa, anche in base alle esigenze che emergono nel team o in base alle richieste del candidato. La campagna elettorale è uno sport di squadra e il comitato elettorale è a tutti gli effetti una squadra. E devo dire che anche in questo caso ho trovato ottimi professionisti, dalla regia politica, all’ufficio stampa, all’organizzazione, alle agenzie esterne di supporto creativo e agli istituti di ricerca.

Entrambi avete esperienza sul campo. Questa campagna come è andata?

G.D.: Ogni campagna elettorale è diversa dalle altre. Dipende dal candidato, dal contesto, dagli avversari, dagli staff. A Roma, poi, rispetto al resto d’Italia c’è più politica. La regia politica, infatti, in questo caso è stata fondamentale. I candidati sono sempre importantissimi, ma in situazioni come quella di Roma non si possono trascurare anche i partiti e le squadre. Nel complesso, la vera novità di questa campagna sta proprio nello scenario: una sfida con quattro candidati che ambivano alla vittoria non si era mai vista prima.

L.D.G.: Mi divertono sempre le campagne elettorali, sono sempre esperienze da cui trarre lezioni, come consulente e come studioso. E poi si conosce tanta gente, si vivono emozioni intense… in ogni caso, ogni campagna ha le sue peculiarità. Una cosa poco divertente di questa è che mi ha fatto saltare le ferie estive, trascorse fondamentalmente in decine di gruppi su Whatsapp…Scherzo (in parte). No, la cosa meno divertente direi che è stato il clima finale, da buoni contro cattivi, che si è imposto nelle ultime settimane. La peculiarità più interessante, invece, è stata quella di avere a che fare con un candidato civico, senza alcuna esperienza politica pregressa. Non mi era mai capitato, per cui ho dovuto “calibrare” il mio apporto e supporto su un candidato con caratteristiche del tutto nuove per me.

Il vero punto forte della campagna a cui avete lavorato?

G.D.: Sono diversi: in primis la squadra, una coalizione forte guidata da un candidato autorevole. A Roma non si può pensare di vincere con una lista unica. Poi, la disciplina del candidato: ha una comunicazione rassicurante e poco polarizzante, può metterci un po’ di più a scaldare, ma fa pochi errori. Non è un caso che dalla sua candidatura in poi, nei sondaggi Roberto sia cresciuto in modo lento ma costante.
La sua autorevolezza: Gualtieri non fa paura, non provoca una mobilitazione “contro”. Queste caratteristiche rassicuranti, poi, lo rendono più forte al ballottaggio: con più del 40% dei romani che due settimane fa ha votato altri leader, la capacità di unire mondi diversi conta.

L.D.G.: Nella prima fase i partiti. Il centrodestra aveva una coalizione unita e molto forte nei sondaggi a livello nazionale, mentre il fronte opposto arrivava al primo turno diviso su 3 candidati diversi. Dunque avevamo come punto di forza il voto fidelizzato, mentre eravamo deboli sul profilo e sull’immagine del candidato. Pian piano quel profilo è venuto fuori. Ma mentre cresceva il candidato, nella seconda parte sono venuti meno i partiti, nel senso che il clima di opinione nazionale li ha penalizzati.

E un punto forte di quella del vostro avversario?

G.D.: Michetti è abituato alla radio, ha una spigliatezza quando parla che lo fa percepire come estremamente alla mano, e non disdegna le battute.

L.D.G.: L’esperienza politica e da ministro, in una fase come questa, possono dare rassicurazioni all’elettorato. E poi direi…sapere che per il secondo turno sarebbero arrivati gli endorsement incrociati degli altri candidati a rafforzare le sue chance di vittoria. Poi in effetti sono arrivati anche se solo in parte.

Ora un mea culpa. Dove si poteva fare di più?

G.D.: Questo si potrà capire solamente con i dati di lunedì. La vera sfida è uscire da questo voto colmando le lacune viste negli ultimi anni nelle periferie.

L.D.G.: Si può sempre fare di più, su tante cose. Forse l’errore più grande è stato quello di non essere riusciti a definire il nostro candidato prima e meglio degli altri. Gli avversari, la stampa, gli opinionisti e gli influencer della controparte sono stati più bravi di noi a definire Michetti come volevano loro… Essere partiti per ultimi ovviamente non ha aiutato su questo fronte, così come avere un candidato non allenato a certe logiche e certe dinamiche da campagna elettorale.

Avete studiato da vicino i sondaggi. Quali sono le tre vere priorità per i romani?

G.D.: Le priorità dei romani sono legate al risolvere i problemi di tutti i giorni: smaltimento dei rifiuti, decoro, traffico. Lo scontento verso l’amministrazione ha portato a una richiesta di occuparsi essenzialmente delle piccole cose. Su questo, abbiamo lavorato molto sul message testing, per individuare, oltre ai temi, i messaggi specifici più efficaci nei vari target che abbiamo considerato fondamentali.

L.D.G.: Le priorità per i romani di solito sono sempre le stesse: viabilità/trasporti, degrado/rifiuti, buche. Questa volta però c’era anche l’ “effetto covid” e dunque tanta voglia di futuro, di riscatto (per alcune fasce e zone della città). In generale vedo un elettorato mediamente disilluso e distratto, poco attento a Roma e forse alla politica in generale. Abbiamo avuto un primo turno con 4 candidature forti: 2 ex ministri, il sindaco uscente e un civico espressione della coalizione più forte nel paese, eppure ha votato il 48% degli aventi diritto al primo turno.

Lunedì Roma avrà un sindaco. Quale sarà la prima e più urgente mossa di chi entrerà in Campidoglio?

G.D.: Chiunque vinca, si troverà di fronte una città disillusa, arrabbiata, lontana. L’affluenza bassissima mostra che segmenti importanti di cittadini sono sempre più lontani dalla politica e dall’amministrazione: serviranno scelte simboliche per dare segnali, e molta presenza fisica nei quartieri.

L.D.G.: Direi quella di attivarsi per pulire questa città visto che ci sono previsioni catastrofiche a breve termine sulla questione rifiuti. Però io in Campidoglio ci sono stato e posso dire che la prima e più urgente mossa non arriverà presto. C’è da fare la squadra degli assessori, poi quella dei dirigenti apicali, poi quella degli amministratori delle società partecipate, poi in base alle deleghe si dovrà rifare l’assetto organizzativo di Roma Capitale, poi bisogna approvare le linee programmatiche in Assemblea Capitolina…tutte queste operazioni non sono semplicissime da farsi. Insomma, la prima mossa vera non è dietro l’angolo.

Su questo ballottaggio pesano i voti dei due grandi esclusi, Raggi e Calenda. Partiamo dalla prima. C’è un cavallo di battaglia del Movimento Cinque Stelle a Roma che si può recuperare?

G.D.: La legalità e la trasparenza a Roma sono temi che mantengono un peso importante, soprattutto in alcune zone della città, e che richiamano alla mobilitazione molti elettori a 5 Stelle.

L.D.G.: Mi verrebbe da dire l’onestà, ma l’ho sempre ritenuto un prerequisito della politica, per cui non mi pare un punto programmatico vero. Quindi direi l’attenzione alle periferie, dalle quali è arrivata l’onda gialla di 5 anni fa e che ora si è dimezzata e vede tantissimi cittadini disillusi e che si sentono traditi e lontano dalla politica in generale.

E invece di Calenda?

G.D.: Gli elettori calendiani hanno scelto al primo turno il candidato che consideravano più competente. Sarà ancora una volta l’esigenza di competenza a guidare il loro voto. Certo, visti i giudizi di Calenda su Michetti di questi mesi, quello della competenza è un terreno ostico per il candidato del centrodestra, e recuperare gli elettori centristi non sarà facile per lui. C’è poi un elemento che unisce gli elettori calendiani e pentastellati: il governo Draghi.

L.D.G.: L’idea manageriale della gestione di una grande capitale. Non basta per fare il Sindaco di Roma, ma è indubbiamente una strada utile per gestire una città che è 7 volte Milano, con i problemi di bilancio e con i problemi strutturali che ha, a partire dai servizi essenziali: rifiuti, trasporti, manutenzione strade, ecc.

Per i due comizi finali Gualtieri e Michetti hanno scelto due piazze centralissime, Piazza del Popolo e Campo dei Fiori. E le periferie?

G.D.: Non basta un comizio per convincere gli elettori delle periferie. Le chiusure di campagna si fanno in centro città soprattutto perché sono i luoghi più semplici in cui concentrare tanta gente, e perché sono ben collegati. Ma i piccoli comizi di quartiere ci sono stati dall’inizio.

L.D.G.: Michetti ha chiuso la campagna del primo turno a Spinaceto, in periferia. L’attenzione alle periferie è stata costante, anche in termini di impegni elettorali. Come ho detto prima, è lì che si annida la maggior parte dei problemi della città, nonché la maggior parte dei cittadini da “recuperare” per la politica in generale. Ma i dati sull’affluenza e molti dati di sondaggio ci dicono questo recupero non sarà facile, per nessuno.

Da lunedì bisogna pensare a una squadra. C’è secondo voi una ricetta per scongiurare il via vai di assessori e collaboratori del sindaco visto durante la gestione Raggi?

G.D.: L’autorevolezza del sindaco è la chiave per avere libertà nelle nomine e per placare gli animi nei momenti di tensione. Quando un sindaco è poco autorevole, è difficile richiamare all’ordine i propri assessori. Su questo, direi che con Gualtieri saremo in mani sicure.

L.D.G.: L’unica ricetta che mi viene in mente è quella di non sbagliare la prima squadra, i primi 12 assessori. Ma è più facile a dirsi che a farsi. Entrare in giunta a Roma non è così appetibile come può sembrare, non c’è la corsa a farne parte, al contrario direi. Aggiungerei che il via vai dipende anche dal fatto che i problemi strutturali di Roma sono peggiorati nel tempo e dunque gli assessori falliscono sempre più spesso nel soddisfare le aspettative anche minime (sia del sindaco che dei cittadini), non sempre per responsabilità loro. Roma ha bisogno di una cura ricostituente di risorse e di nuovi poteri. PNRR e Giubileo possono aiutare, ma serve la ormai “mitologica” riforma di Roma Capitale, ossia un nuovo assetto con maggiori poteri e più trasferimenti dello Stato, come avviene in tutte le capitali occidentali. Finché questo non accadrà, vedremo tanti assessori saltare e tanti sindaci fallire… il governo di Roma è una sfida enorme, ma almeno bisogna dare a chi si mette in gioco le leve giuste per provarci.



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