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La nuova guerra del clima arriva a Glasgow. Basterà?

Tutti sono consapevoli che l’appuntamento di Glasgow sarà una tappa fondamentale per concordare una “road map” che metta in essere quegli interventi necessari per  contenere entro 1,5°C l’aumento della temperatura. Le premesse ci sono tutte; adesso occorre tradurle in azioni concrete

Si avvicina a grandi passi l’appuntamento più atteso del 2021 in tema di lotta ai cambiamenti climatici, la Cop26 delle Nazioni Unite, in programma a Glasgow, Scozia, dal 31 ottobre al 12 novembre, dove i governi dei 200 Paesi presenti dovranno assumere impegni concreti per rispettare gli Accordi presi a Parigi nel 2015: mantenere, cioè, l’aumento delle temperature possibilmente non oltre un grado e mezzo e provare così ad evitare una catastrofe planetaria. L’ultimo rapporto Ipcc (Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico) dell’Onu è un vero e proprio allarme rosso per l’umanità, “il peggio deve ancora venire e a pagarne il prezzo saranno i nostri figli e nipoti”. Se non si inverte la rotta, avvertono gli scienziati, nel 2030 potremmo arrivare a un grado e mezzo e a fine secolo fino a 4 gradi.

Lo stesso papa Francesco ha voluto consegnare nelle mani del presidente designato di Cop26, Alok Kumar Sharma, un appello rivolto ai partecipanti alla Conferenza in cui si afferma che “tutti i governi devono adottare una traiettoria che limiti l’aumento della temperatura media globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Troppo urgenti le sfide senza precedenti che minacciano la nostra bella casa comune”. E che vengano adottate “pratiche di utilizzo della terra sostenibili e rispettose delle culture locali per promuovere stili di vita e modelli di consumo e produzione sostenibili”.

“La scienza è concorde nel ritenere che molto probabilmente l’umanità sta influenzando il clima globale attraverso il rilascio di anidride carbonica dovuta alla combustione di combustibili fossili… Va tenuta in considerazione la possibilità che si verifichino alcuni eventi potenzialmente catastrofici… Le piogge potrebbero farsi più intense in alcune regioni, mentre altri luoghi potrebbero trasformarsi in deserti… Una volta che gli effetti saranno misurabili, potrebbero non essere più reversibili”. Inizia, così con la citazione di un documento redatto negli anni Settanta da uno scienziato alle dipendenze della ExxonMobil, il libro “La nuova guerra del clima – La battaglia per riprenderci il Pianeta” di Michael E. Mann, uscito in agosto per Edizioni Ambiente. “Un must da leggere non solo per le persone che lavorano per affrontare il cambiamento climatico, ma anche per coloro che sono nuovi alla lotta per il clima” secondo la rivista Science.

L’autore, secondo Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano, “fornisce un racconto utile per orientarsi in questi tempi in cui finalmente il cambiamento climatico è entrato nel dibattito pubblico, e se ne parla regolarmente sui giornali e nelle homepage dei portali informativi on line”.

E vediamolo allora questo racconto che parte dalla ricostruzione e dall’analisi delle varie campagne di quella che viene definita la “disinformazione del depistaggio”, iniziata decine di anni fa, quando già una serie di scoperte scientifiche iniziarono a mettere in discussione “interessi consolidati”, mettendo in evidenza un problema che andava affrontato seriamente e senza indugi. E così, specie nel corso degli anni Settanta e Ottanta, per screditare fatti e scoperte scientifiche, sono stati messi in campo, dai gruppi industriali che rischiavano di essere danneggiati dalle legislazioni ambientali, tattiche ed esperti di disinformazione sistematica.

“Anche se la comunità scientifica stava ancora discutendo sulla possibilità di identificare l’impatto umano del clima, esisteva comunque un ampio consenso sul fatto che bruciare combustibili fossili avrebbe portato ad un riscaldamento considerevole del pianeta”. Con il passare degli anni la maggioranza dell’opinione pubblica ha accettato la realtà dei cambiamenti climatici. Anche se molti leader politici a livello mondiale (basti ricordare i presidenti Trump e Bolsonaro) abbiano cercato di scaricare le responsabilità di disastri ambientali, deforestazioni, siccità e incendi ad altri fattori. E nonostante un recente studio del Pentagono metta in allerta su un possibile collasso delle reti elettriche, idriche e alimentari per effetto dei cambiamenti climatici. “Quella che una volta era percepita come una minaccia ambientale ora viene vista come una minaccia economica”.

Secondo Mann, “l’azione per il clima richiede una transizione radicale della nostra economia globale e un’enorme quantità di infrastrutture, ma non c’è ragione di pensare che sia un obiettivo impossibile da raggiungere, e in tempi rapidi, se si mettono in campo adeguati incentivi di mercato”. L’introduzione di un “carbon pricing”, che lo stesso Fondo Monetario Internazionale pensa debba essere aumentato se si vogliono rispettare gli Accordi di Parigi, potrebbe “livellare” il mercato dell’energia, ossia mettere sullo stesso piano competitivo le fonti di energia che non emettono gas serra (le rinnovabili) e quelle che contribuiscono al riscaldamento del pianeta (i combustibili fossili).

E così “la strada oggi realmente percorribile per tutelare il clima comporta una combinazione di efficienza energetica, elettrificazione dei consumi di energia e de carbonizzazione della produzione elettrica attraverso una gamma di fonti rinnovabili di energia”. Un gruppo di esperti di clima ha presentato una serie di “interventi concreti per indurre dinamiche positive di ribaltamento sociale”. Propongono “la rimozione dei sussidi ai combustibili fossili e l’incentivazione della generazione di energia decentralizzata, la costruzione di città a zero emissioni, il disinvestimento dai combustibili fossili, l’approfondimento delle implicazioni morali dei combustibili fossili, il rafforzamento dell’educazione e l’impegno per il clima e la divulgazione delle informazioni sulle emissioni di gas serra”. Molti di questi processi sono già iniziati

“Nonostante tutti i problemi che ho descritto in questo libro, conclude l’autore, sono cautamente ottimista – vale a dire ne beatamente ingenuo, né pessimista, ma oggettivamente speranzoso – sulla possibilità di affrontare la crisi climatica nei prossimi anni. In primo luogo, ci sono stati numerosi disastri meteorologici senza precedenti che hanno reso ancor più evidente la minaccia del cambiamento climatico. Secondo, la pandemia ci ha impartito una lezione chiara sulla vulnerabilità e il rischio. E, infine, abbiamo assistito al risveglio dell’attivismo ambientale e, in particolare, c’è stata una rivolta dei giovani che, in tutto il mondo, hanno inquadrato il cambiamento climatico come la sfida più importante del nostro tempo”.

Adesso, come sempre avviene in questi casi, la palla passa nel campo dei decisori pubblici a livello mondiale. Tutti sono consapevoli che l’appuntamento di Glasgow sarà una tappa fondamentale per concordare una “road map” che metta in essere quegli interventi necessari per  contenere entro 1,5°C l’aumento della temperatura. Le premesse ci sono tutte; adesso occorre tradurle in azioni concrete.

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