“Pace fredda” è un’espressione usata per indicare il confronto strategico fra gli Usa e la Cina. Strutturalmente molto diversa della “guerra fredda” con l’Urss, è molto più complessa. Le strategie per affrontarla devono essere globali: non solo militari, ma in primo luogo tecnologiche, economiche, finanziarie, politiche e anche infrastrutturali. L’analisi di Carlo Jean
L’espressione “pace fredda” per indicare il confronto strategico fra gli Usa e la Cina è stata suggerita da Fareed Zakaria. Essa è strutturalmente molto diversa della “guerra fredda” con l’Urss. È molto più complessa. Le strategie per affrontarla devono essere globali: non solo militari, ma in primo luogo tecnologiche, economiche, finanziarie, politiche e anche infrastrutturali. La Bri sta modificando la geopolitica dell’intera Eurasia, influendo anche sul Mediterraneo allargato e sull’intera Africa.
La globalizzazione dell’economia e le nuove tecnologie dell’informazione hanno unificato il pianeta. La crescita economica ha trasformato la Cina in uno Stato fondamentale dell’economia. Il confronto militare è almeno per ora regionale, limitato all’Indo-Pacifico, specie nelle periferie immediate della Cina, dai Mari Cinesi meridionale e orientale, a Taiwan e alla frontiera himalayana. Sta comunque estendendosi all’intero Oceano Indiano e, dopo il ritiro Nato dall’Afghanistan, all’Asia Centrale.
La strategia Usa, per affrontare la minaccia cinese, è solo in fase di prima definizione. La differenza d’interessi incide sui rapporti fra gli Usa e lUe. L’accordo Quad, quello Aukus e le intese bilaterali fra Washington e vari Paesi dell’area, anche quelli ufficiosi con Taiwan – contrastanti in parte con la politica dell’“Una Cina” adottata da Nixon e Kissinger prima della loro visita a Pechino nel 1972 – nonché il riarmo del Giappone e dell’India, lo testimoniano.
La strategia Usa deve tener conto dell’erosione della superiorità americana, sia economica che militare, e dell’instabilità della dissuasione nucleare, pilastro della guerra fredda, nonché della marginalizzazione dei tradizionali alleati europei degli Usa. Essi non sono più in prima linea e sono divisi sia fra di loro sia nei riguardi del confronto sino-americano. Non vogliono esserne coinvolti, dato anche i loro crescenti interessi commerciali con Pechino. La strategia Usa è poi sfidata dall’apparente maggiore efficienza del sistema cinese, più corrispondente agli autoritarismi dominanti in gran parte del mondo. Gli interessi economici immediati contrastano con quelli della sicurezza, meno immediati e più discutibili, anche per l’astuta “politica del sorriso” seguita quasi ovunque dalla Cina.
Con l’Urss, le cose erano molto più semplici. La competizione era soprattutto militare. Il teatro principale del confronto era l’Europa. La linea di separazione fra i due blocchi era stabile, ben definita dalla “cortina di ferro”. La strategia globale di Washington e gli esiti del confronto erano stati previsti già nel 1946 nel “lungo telegramma” di George Kennan da Mosca, recepito due anni dopo dalla “Dottrina Truman”, base della Nato e della sua strategia. L’Occidente doveva contenere militarmente l’Urss e attendere che l’inefficienza del capitalismo di Stato rendesse impraticabile a Mosca il finanziamento della sua potenza militare e dell’impero sovietico.
Allora, l’Occidente avrebbe vinto. Non esisteva contrapposizione fra la sicurezza e l’economia (sarebbero sorte parzialmente solo alla fine degli anni settanta. con la costruzione dei grandi gasdotti che rendevano dipendente l’Europa dal gas russo). Gli Usa dominavano economicamente e tecnologicamente l’Europa. Con il controllo delle tecnologie strategiche, realizzato formalmente con il CoCom (Coordinating Committee), e con sanzioni extraterritoriali a carico non tanto dei governi, ma direttamente delle industrie che ne violassero le regole, gli Usa erano in condizioni di evitare che venissero fornite al blocco sovietico le tecnologie duali avanzate di cui non disponeva. Per procurarsele, doveva ricorrere allo spionaggio o ad accordi commerciali illegali. Le tecnologie che poteva procurarsi in tale modo erano però limitate e costavano mediamente 10 volte il loro valore commerciale.
La stabilità dei due blocchi era garantita non solo dai meccanismi della dissuasione nucleare reciproca, ma anche dal comune interesse di Washington e Mosca di mantenere divisa l’Europa. Beninteso, si verificarono momenti di tensione, specie durante la “crisi di Cuba”, ma i due blocchi cercarono di evitare confronti diretti, come nel caso delle insurrezioni di Budapest e di Praga. Seppure a fasi alterne, dissuasione e distensione continuarono a coesistere, permettendo anche accordi come i Trattati di Limitazione degli esperimenti nucleari, di Non-Proliferazione e il SALT-1 che stabilizzava la MAD (Mutual Assured Destruction).
Beninteso, lo scontro era anche ideologico, svolto con la propaganda, la disinformazione e la public diplomacy. Esso coinvolgeva la politica interna di molti Stati anche europei, come dimostra l’episodio dei “Magnacucchi” in Italia, che oggi è politicamente corretto ignorare.
La “pace fredda” è strutturalmente molto diversa, non solo perché la Cina ha una potente economia ancora in crescita e sta recuperando la sua inferiorità militare e tecnologica, ma anche per il suo ruolo centrale nell’economia globale. Si potrà correggere solo in parte con le revisioni in corso delle supply chains e con l’embargo delle tecnologie più sensibili. Esiste per i Paesi asiatici, ma anche per l’Ue, una contrapposizione fra esigenze della sicurezza e gli interessi economici.
La Nato resta necessaria, ma ha vista erosa la sua ragione sociale di difesa collettiva. Con l’Afghanistan è venuto meno anche il suo tentativo di giustificarsi con la ricerca di nazioni da costruire o di terroristi da uccidere. Rimane necessaria non solo per la dissuasione nucleare, ma anche per la stessa tenuta dell’Ue, di cui gli Usa rimangono il federatore, nonché per consentire alla frammentata Europa di giocare un ruolo mondiale in un mondo sempre più dominato dagli “Stati-continente”.
Per mantenere la presenza e il sostegno Usa, gli europei devono essere solidali con gli Usa anche nel loro pivot dell’Indo-Pacifico, seppure i loro interessi commerciali con Pechino, stiano aumentando mentre l’affidabilità della Nato e quella dell’Europa per gli Usa starebbero diminuendo (il condizionale è d’obbligo). Come possono gli europei concorrere con gli Usa alla sicurezza in tale area per gli Stati Uniti sempre più vitale? Lasciamo perdere le fantasie della “Global Europe” o quelle che sia sufficiente proclamare solidarietà con gli Usa e i loro alleati asiatici, mandando qualche nave nell’Oceano Indiano. Più che d’aiuto saremmo d’impaccio. Lo si è visto con le petulanti e per molti versi ridicole proteste per l’Afghanistan e con l’esclusione della Francia dall’Aukus.
Un valido sostegno europeo alla politica Usa, soprattutto verso la Cina, potrebbe nascere nel Ttc (Trade and Technology Council), di Pittsburgh, proposto da Biden lo scorso giugno. Esso è destinato a porre le basi di un coordinamento transatlantico, non solo in campo dello sviluppo tecnologico e commerciale (dopo l’emarginazione e la crisi del Wto), per evitare una “guerra economica” transatlantica, ma anche nel settore del controllo ed embargo delle tecnologie critiche e in quello degli investimenti anche infrastrutturali stranieri (leggasi cinesi e russi). Si tratta di settori decisivi per il rafforzamento dei legami fra l’Ue e gli Usa. Al Ttc non è stata dedicata dall’Ue – soprattutto in Italia – sufficiente attenzione, sebbene possa grandemente incidere sull’economia europea e sui legami economici e politici con gli Usa.
Il Ttc non è esplicitamente interessato ai problemi della sicurezza. Vi partecipano solo i ministri del Commercio. In altre sedi, per rafforzare i legami transatlantici, devono da un lato superare i timori che gli Usa intendano utilizzarlo per una guerra commerciale con l’Ue e che l’interdipendenza di quest’ultima dagli Stati Uniti richieda un coordinamento intersettoriale, e, dall’altro lato, che l’Ue deve comunque consolidare la Nato rafforzandosi militarmente, dando concretezza alla sua fumosa “autonomia strategica” e farsi carico di capacità adeguate e di una strategia unitaria non solo per il Mediterraneo e per l’Africa, ma anche per l’Europa Orientale.
[Foto della Us Chamber of Commerce]