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Lo spiraglio di Draghi nello scontro sui migranti

Vertice europeo teso  su diversi temi come i movimenti secondari, il comportamento della Bielorussia contro le frontiere dell’Ue e l’equilibrio tra solidarietà e responsabilità. Ma l’immigrazione è “un problema di tutti”, ha avvertito il presidente del Consiglio

I numeri sono indispensabili per inquadrare il problema dell’immigrazione: fino al 22 ottobre in Italia sono sbarcati 51.568 migranti rispetto ai 26.683 dell’anno scorso a conferma che la rotta del Mediterraneo centrale è quella più percorsa dai trafficanti di esseri umani. Oltre 14.000 sono i tunisini, 6.000 i bengalesi e più di 5.000 gli egiziani, sparute avanguardie di quanti vorrebbero compiere lo stesso percorso. Pessime notizie arrivano anche dai confini tra Europa e Asia perché 3,5 milioni di profughi afghani sono in Iran dopo la presa del potere dei talebani e circa 2 milioni sarebbero pronti a muoversi. È quanto pensa il ministro dell’Interno turco, Suleyman Soylu, visto che 2.000 afghani ogni giorno cercano di entrare in Turchia.

Proprio perché la pressione migratoria aumenta, la riunione del Consiglio europeo è stata tesa e spigolosa su diversi temi come i movimenti secondari, il comportamento della Bielorussia contro le frontiere dell’Unione europea e l’equilibrio tra solidarietà e responsabilità, che comporta anche una migliore (nelle intenzioni italiane) suddivisione dei soldi. È quest’ultimo punto, introdotto nel documento finale, che il presidente del Consiglio ha sottolineato alla fine del vertice: Mario Draghi si è detto molto soddisfatto perché inizialmente nel testo erano citati solo i movimenti secondari e, soprattutto, perché si “è aperto uno spiraglio sulla discussione sul Patto sulla migrazione e l’asilo, ferma da un anno”.

L’Italia punta sul fatto che l’immigrazione è diventata “un problema di tutti, quindi è importante non dividersi e non ha senso privilegiare un Paese o una rotta” ha detto Draghi. È l’obiettivo più difficile da raggiungere e sul quale il presidente insiste da mesi in pubblico e negli incontri riservati: dare al Mediterraneo meridionale, con le rotte che interessano solo pochi Stati membri, la stessa importanza che si dà al Mediterraneo orientale in termini di fondi. Proprio quello che non vogliono alcuni Stati che intendono cambiare l’accordo di Schengen per limitare i movimenti interni dell’Unione come pannicello caldo per curare la debolezza delle frontiere esterne: “Tanto più debole è la protezione delle nostre frontiere esterne, tanto più forte è la tentazione di limitare i movimenti interni” ha commentato Draghi che è d’accordo con la presidente della Commissione: “Non ci sarà alcun finanziamento di filo spinato e di muri” ha ribadito la presidente Ursula von der Leyen.

Quando Draghi sollecita uno stanziamento di fondi per tutte le rotte si riferisce ai 6 miliardi di euro già versati alla Turchia e a quelli che forse l’Unione europea dovrà ancora versare. Oltre ai 3,7 milioni di profughi siriani (che secondo la Germania sono quasi 4 milioni), in territorio turco ci sono già 300.000 afghani. Da qui l’allarme del governo di Ankara che ha firmato un accordo di cooperazione con l’Iran mentre continua a costruire un muro per coprire 300 dei 534 chilometri di confine tra i due Stati. Sull’altro fronte, le fragilità statuali e il traffico di esseri umani in Africa renderebbero necessaria una cifra anche superiore.

Il presidente del Consiglio l’aveva detto in Parlamento: la Commissione dovrà aggiornare i capi di Stato e di governo in ciascun Consiglio europeo sull’attuazione e l’avanzamento degli impegni assunti. Nel documento finale del vertice, a fronte di otto piani di azione per i Paesi di origine e di transito, è scritto che la Commissione e l’Alto rappresentante devono attuarli “senza indugio”, con “tempistiche concrete e adeguati mezzi finanziari”. Inoltre la Commissione deve presentare proposte “con urgenza” e stanziare finanziamenti “a favore di azioni riguardanti tutte le rotte migratorie”. Nel dibattito Draghi aveva citato la pressione che si esercita al confine della Bielorussia con i Paesi Baltici e la Polonia dove “l’immigrazione è usata strumentalmente dal regime bielorusso”.

I dati dell’agenzia Frontex fino allo scorso settembre indicano che nel Mediterraneo centrale l’aumento rispetto all’anno scorso è stato dell’87 per cento e lungo la rotta dei Balcani occidentali del 148 per cento. L’Ungheria chiederà di modificare i regolamenti europei per ripristinare i campi profughi al confine esterno, anche se l’anno scorso la Corte europea di giustizia ne aveva imposto la chiusura considerando la permanenza in quei campi equivalente alla detenzione. La richiesta ungherese nasce dall’idea di far verificare lo status di rifugiato al di fuori dell’Unione europea, come se in Libia o in Tunisia fosse possibile un simile controllo. In fondo, tra Tunisi e Bengasi sono solo più di 1.800 chilometri di costa.

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