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Il valore della missione Nato in Kosovo. La visita di Guerini

Visita in Kosovo per il ministro Lorenzo Guerini, in occasione del cambio di comando della missione Nato Kfor, tra l’uscente generale Franco Federici e il subentrante ungherese Ferenc Kajári. I Balcani sono tornati al centro dell’agenda europea. La sicurezza dell’area non è un dato acquisito

Visita a Pristina per il ministro Lorenzo Guerini che, accompagnato dal capo di Stato maggiore della Difesa Enzo Vecciarelli, ha partecipato alla cerimonia di cambio di comando della missione Nato Kosovo Force (Kfor), tra l’uscente Franco Federici e il subentrante Ferenc Kajári, primo ungherese ad assumere la guida della missione di peace keeping dell’Alleanza Atlantica. A margine della cerimonia, il titolare di palazzo Baracchini ha incontrato il collega Tibor Benkő per un “utile confronto sulla situazione di sicurezza nei Balcani occidentali e sulle prospettive di cooperazione tra le nostre Forze armate e di collaborazione industriale nel settore Difesa”.

L’Ungheria è terzo Paese contributore della missione dopo Italia e Usa, con circa 400 unità. “Sono certo – ha detto Guerini riferendosi al generale Kajári – che con la sua azione, darà lustro alla Difesa ungherese”. Poi il messaggio per il generale Federici: “Grazie per l’ottimo lavoro svolto per contribuire a stabilità e sicurezza Balcani occidentali”. Giunto al termine del mandato annuale, Federici aveva assunto il comando a novembre del 2020, prendendo il posto di un altro italiano, Michele Risi. Dopo otto anni continuativi, l’Italia lascia il comando della missione. A ventidue anni dal suo avvio, la Nato Kfor si è rivelata ancora fondamentale per la stabilità dell’area quando, solo poche settimane fa, ha favorito l’allentamento della tensione nel nord del Paese, lì dove è andata in scena la “guerra delle targhe”. Tra le unità speciali “Rosu” della polizia kosovara al confine con la Serbia e i cacca MiG-29 di Belgrado a sorvolare l’area, l’escalation pareva a un passo.

Oltre i proclami dei vertici europei (in vista del successivo Consiglio Ue-Balcani) sono state le manovre delle forze al comando del generale Franco Federici a evitare il peggio. Da subito la missione Nato ha annunciato di aver “aumentato il numero e la durata dei pattugliamenti di routine in Kosovo, anche al nord”. Poi, una volta raggiunto l’accordo di de-escalation tra le parte, ha mantenuto una presenza temporanea robusta e agile nell’area, comprensiva del controllo delle maggiori vie di comunicazione. Tale attività ha visto il coinvolgimento del Regional Command West, basato sul 185° Reggimento artiglieria paracadutisti Folgore. Coinvolti anche i Carabinieri della “multinational specialized unite”, e un team dell’Esercito per il contrasto a eventuali minacce aeree a pilotaggio remoto.

Attiva sin dal 1999, Kfor è l’unica “forza armata” autorizzata a operare entro i confini kosovari. Il suo mandato deriva dalla risoluzione 1244 del 1999 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La missione principale è “garantire la sicurezza e la libertà di movimento per tutte le comunità che vivono in Kosovo”. Su ordine, le sue componenti possono passare rapidamente dalla “deterrent presence” alla “minimum presence”, qualora servisse evitare nuove escalation. Oggi conta circa 3.500 unità; l’Italia è secondo contributore (dopo gli Usa) con oltre 630 militari (un centinaio in più rispetto al 2020) e più di 200 mezzi terrestri. L’impegno nazionale è considerevole sin dall’avvio della missione e ha sempre guadagnato l’apprezzamento di alleati e comunità locali (qui avevamo raccontato la storia di Shpend Lila).


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