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La Bce può salvare le imprese italiane dall’inflazione

Il mantenimento di un atteggiamento accomodante da parte della vigilanza europea diventa un fattore essenziale per la sopravvivenza delle aziende. E questo perché… L’analisi di Andrea Ferretti, docente al Master in scienze economiche e bancarie presso la Luiss Guido Carli

Sono del tutto corretti gli sforzi che il governo Draghi sta facendo in più riprese per evitare che la lievitazione del costo dell’elettricità e del gas si scarichi come una onda anomala sulle bollette delle aziende italiane. Come è giusto che il recente decreto metta al riparo dai rincari energetici le categorie più fragili ed esposte. Anzi, a ben vedere, se ci trovassimo in presenza di una fiammata speculativa alimentata dai ricatti di Gazprom o dalle strozzature nella fornitura di carbone dovute alla brusca ripresa post lockdown, non ci sarebbe un gran che di cui preoccuparsi.

Anche perché, solitamente, queste fiammate tendono ad esaurirsi da sole. Il punto che l’attuale pressione sui costi delle fonti energetiche ha sicuramente una componente più strutturale dovuta al vuoto temporale che si è generato nel processo di sostituzione tra fonti energetiche tradizionali e fonti rinnovabili. Vuoto che, alterando il corretto equilibrio tra domanda e offerta, finisce per generare una diffusa instabilità dei prezzi anche nel lungo periodo. Tanto è vero che, secondo i report di Standard&Poor’s, le attuali tensioni sui prezzi ci accompagneranno almeno fino al 2023.

Il punto è che se il problema energetico è anche strutturale, diventa indispensabile analizzare le sue ripercussioni sul comparto produttivo e sulle nostre Pmi ancora in debito di ossigeno. Infatti, il grosso rischio è che una impresa si trovi oggi a maneggiare un mix esplosivo composto da

1) postumi del lock down

2) aumento del costo di materie prime e semilavorati a causa delle strozzature negli approvvigionamenti

3) esplosione dei costi dell’energia elettrica

4) raddoppio della tassazione a fronte dell’emissione di CO2. In questo scenario l’azienda potrebbe ritrovarsi con una struttura di costi fissi irrigidita dai decreti anticovid (sospensione dei licenziamenti etc) a fronte di costi variabili fuori controllo. E poiché in molti casi mercato e concorrenza non consentono alle pmi di scaricare sui prezzi questo aumento dei costi, ne consegue che la stessa sopravvivenza dell’azienda può essere messa in pericolo.

Ora, è necessario evidenziare che, in questa situazione, l’intervento del governo è importante nell’immediato, ma l’atteggiamento che assumerà la Bce sarà la variabile chiave per le imprese nel medio lungo periodo. Atteggiamento che, oltretutto, dovrà coinvolgere ambedue le anime dalla Bce, quella monetaria e quella vigilante. Più in particolare, per quanto riguarda l’anima monetaria, appare fondamentale che la Bce, attraverso il Pepp (Pandemic Emergency Purchase Program) da 1700 miliardi, continui a fornire ai sistemi bancari tutta la liquidità necessaria affinché questi possano sostenere il comparto produttivo evitandone il collasso.

Il punto delicato è che, essendo questi interventi monetari legati al raggiungimento di un target di inflazione al 2% (considerato compatibile con una crescita sana), la fiammata inflazionistica connessa al caro energia ed al rincaro delle materie prime possa dare l’illusione di essere vicini all’obiettivo. Il rischio conseguente è che, benché le linee guida della Bce prevedano che il target di inflazione debba essere mantenuto in maniera salda e durevole sino al 2023, i Popoli del Nord possano sfruttare le attuali tensioni inflazionistiche per richiedere di accelerare la riduzione degli interventi monetari di emergenza.

E questo sarebbe estremamente pericoloso perché potrebbe limitare la capacità del sistema bancario di supportare le PMI, già alle prese con il citato “mix esplosivo”. Oltretutto, impedendo alle stessero di agganciare la ripresa. Ma, come detto, per sostenere le imprese nell’attuale contesto, anche l’anima “vigilante” della BCE dovrà fare la sua parte. Infatti, è vero che nei momenti più delicati della crisi pandemica la vigilanza della Banca Centrale ha imposto alle banche limitazioni alla distribuzione dei dividendi al fine di renderle più resilienti.

Ma è anche vero che la Bce ha assunto, al contempo, un atteggiamento più soft relativamente ai requisiti patrimoniali richiesti agli Istituti, con particolare riferimento al loro ripristino in caso di riduzione al di sotto dei livelli previsti. Il tutto, ovviamente, per consentire alle banche di erogare alle imprese tutto il credito necessario per sopravvivere alla pestilenza. Qui il punto è che, anche a causa delle descritte tensioni sui prezzi delle materie prime e dell’energia, l’odissea delle PMI non è affatto terminata.

Di conseguenza, pur nella necessità di evitare una lievitazione della massa di credito deteriorato (Npl) nella pancia delle banche, il mantenimento di un atteggiamento accomodante da parte della vigilanza diventa il secondo fattore essenziale per la sopravvivenza delle aziende. E questo perché consentirebbe una maggiore elasticità agli istituti nella valutazione del merito creditizio delle aziende in difficoltà, evitando pericolosi automatismi e classificazioni massive a credito deteriorato. Anche perché, visto che in Italia la banca costituisce il principale sostegno finanziario per il 90% delle pmi, ridurre l’ossigeno alle aziende proprio ora che si intravede una ripresa sarebbe davvero un peccato mortale.


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