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Una legge sul jihadismo. La sveglia del Copasir al Parlamento

Secondo il Copasir, il terrorismo jihadista resta un pericolo incombente ed è sempre più urgente una normativa nazionale sulla deradicalizzazione insieme con una migliore cooperazione europea. Per questo ha approvato la “Relazione al Parlamento su una più efficace azione di contrasto al fenomeno della radicalizzazione jihadista”

Il terrorismo jihadista resta un pericolo incombente ed è sempre più urgente una normativa nazionale sulla deradicalizzazione insieme con una migliore cooperazione europea. Per questo il Copasir, Comitato per la sicurezza della Repubblica, ha approvato la “Relazione al Parlamento su una più efficace azione di contrasto al fenomeno della radicalizzazione jihadista” anche grazie alle audizioni effettuate dopo il ritiro della Nato dall’Afghanistan. In una nota il presidente del Copasir, Adolfo Urso (FdI), spiega che sono state individuate “alcune possibili misure e linee di intervento volte ad accentuare l’efficacia dell’azione preventiva, accanto a quelle di natura repressiva già previste” oltre a sollecitare l’esame delle proposte di legge in materia presentate in Parlamento. Urso, su mandato del Comitato, chiederà ai presidenti di Senato e Camera di sensibilizzare le conferenze dei capigruppo per valutare come discutere questo documento così come la “Relazione sulla disciplina per l’utilizzo di contratti secretati, anche con riferimento al noleggio dei diversi sistemi di intercettazione”, approvata il 21 ottobre.

COME AGIRE

Il documento (relatori Enrico Borghi, Pd, e Federica Dieni, M5S) è un approfondimento dopo le audizioni dei ministri dell’Interno e della Giustizia, del capo della Polizia e del comandante dei Carabinieri, dei direttori delle agenzie di intelligence Aise e Aisi. Non basta la repressione, serve “una pluralità di strumenti” e dunque, scrivono i relatori, “la prevenzione, la repressione e la cooperazione sono le aree in cui occorre agire con interventi efficaci, lungimiranti e integrati” allo scopo di “integrare i meccanismi micro (individuali) con quelli macro (sociali/culturali): solo in questo modo potranno essere messe in campo tecniche efficaci di prevenzione nella lotta al terrorismo”. Il rischio da evitare è che anche questa legislatura non produca una legge in merito: nonostante le emergenze sanitaria ed economica, le conferenze dei capigruppo potrebbero valutare una corsia preferenziale per i testi in discussione.

LA DIMENSIONE DEL FENOMENO

Anche l’omicidio del deputato inglese David Amess del 15 ottobre scorso ha avuto matrice terroristica e ogni rapporto evidenzia i rischi. Quello dell’Europol del 2020 riporta che l’anno scorso in territorio europeo ci sono stati 10 attacchi jihadisti con 12 morti e 47 feriti e dai 254 arresti emerge la giovane età media: l’87 per cento è composto da maschi di 31-32 anni. In Italia, che pure vive una situazione molto migliore di altri Stati per le scarse comunità islamiche e terze generazioni, tra il 1° agosto 2020 e il 31 luglio 2021 ci sono state 71 espulsioni per motivi di sicurezza. La relazione del Copasir, basandosi sull’ultimo rapporto del Viminale, cita 144 foreign fighters anche se è noto che la gran parte è morta e che solo una decina è sul nostro territorio costantemente monitorata.

IL RISCHIO CARCERI

La relazione spiega che su 60mila detenuti in Italia 20mila sono stranieri dei quali 13mila provengono da Paesi musulmani e 8mila si dichiarano islamici. Sono dati contenuti nel report “Comprendere la radicalizzazione jihadista. Il caso Italia” a cura della European Foundation for Democracy e di Nomos Centro studi parlamentari. Invece, secondo il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria al 15 ottobre scorso erano 313 i detenuti sottoposti a monitoraggio suddivisi in base alla pericolosità: 142 di livello alto, 89 medio e 82 di livello basso. Gli algerini con il 27,1 per cento e i marocchini con il 25,8 sono i più rappresentati.

L’URGENZA DI UNA LEGGE

Si parla di deradicalizzazione da qualche anno ma la proposta Dambruoso-Manciulli nella scorsa legislatura non fu approvata. Oggi lo stesso tema delle misure di prevenzione della radicalizzazione di matrice jihadista è in discussione nella commissione Affari costituzionali della Camera insieme con la proposta dell’istituzione di una commissione d’inchiesta sui fenomeni di estremismo violento o terroristico e di radicalizzazione jihadista. Alla Camera sono state presentate altre proposte attinenti in vario modo all’argomento mentre al Senato c’è un disegno di legge analogo a quello di Montecitorio sulla prevenzione, ma la discussione non è cominciata.

Nella relazione del Copasir si sottolinea che è “fondamentale comprendere il percorso attraverso cui le persone adottano credenze che giustificano la violenza e come traducano il pensiero in comportamenti violenti. Nel processo di radicalizzazione assumono rilievo diversi passaggi, come la mobilitazione potenziale – per cui soggetti con lo stesso insieme di credenze assumono ruoli diversi e compiono diversi tipi di azioni – e le reti di reclutamento”. Il rischio del lupo solitario fu ribadito nell’ultima relazione dei Servizi al Parlamento nella quale è scritto che la minaccia jihadista sull’Europa è caratterizzata da “tratti prevalentemente endogeni e destrutturati, tradottasi in attivazioni autonome ad opera di soggetti nella maggioranza dei casi privi di legami con gruppi terroristici, ma da questi influenzati o ispirati”. Web e carceri sono i principali “luoghi” di proselitismo.

LE NORME ATTUALI

Il decreto antiterrorismo del 2015 e la ratifica di convenzioni internazionali del 2016 sono punti fermi della legislazione italiana. A livello europeo, nello scorso maggio fu approvato il regolamento per il contrasto alla diffusione di contenuti terroristici online e la collaborazione con i gestori dei siti per rimuovere quei contenuti. L’Italia spicca inoltre per il Casa, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, dove c’è un costante scambio di informazioni tra forze di polizia, intelligence e amministrazione penitenziaria. Sul fronte del recupero degli ex terroristi, invece, la relazione ricorda che questo tipo di programmi governativi è stato attivato in Occidente da pochi anni, al contrario di alcuni Paesi islamici. Comunque i Cve, Counter Violent Extremism, sono attivi in Gran Bretagna, Danimarca, Olanda, Svezia, Norvegia, Germania e Canada con l’obiettivo di recuperare gli islamici deradicalizzati e reintegrarli nella società.

LE PROPOSTE DEL COPASIR

Il Comitato segnala “l’esigenza urgente e non più dilazionabile di un intervento legislativo” per dotare l’Italia “di una disciplina idonea a contrastare in modo più incisivo il crescente fenomeno della radicalizzazione di matrice jihadista, quale nuova frontiera della minaccia terroristica”. “La deradicalizzazione entra, a pieno titolo, tra le politiche di antiterrorismo, rappresenta un vero e proprio strumento securitario di controllo e di riduzione della minaccia eversiva e del reclutamento di cittadini europei da parte di organizzazioni terroristiche”. Il campo di battaglia “cruciale” è il web senza dimenticare scuole, carceri, luoghi di aggregazione.

Inoltre, il Copasir propone di inserire nel Codice penale un articolo per punire anche la semplice detenzione di materiale di propaganda che oggi non comporta nessuna sanzione mentre potrebbe essere preso a modello l’articolo 600 quater sulla detenzione di materiale pedopornografico. L’obiettivo dev’essere quello di “intervenire tempestivamente sui soggetti radicalizzati” anche se non hanno ancora commesso un reato.

Allo scopo di migliorare la collaborazione europea, oltre ai contributi che gli Stati membri dell’Ue inviano al Centro di intelligence e situazione dell’Europol (Eu Intcen), il Copasir ricorda che tra poco la Commissione europea produrrà “un Codice di cooperazione di polizia” che, oltre a migliorare appunto la cooperazione, “prevede la creazione di una rete di operatori, tra cui Europol, che investighino a livello finanziario al fine di colpire i flussi che finanziano il terrorismo”. In Italia, è necessario invece mettere a sistema singole iniziative di prevenzione giudiziaria considerate per ora “una delle strategie possibili” di prevenzione.

IL COMITATO VUOLE ASCOLTARE DRAGHI

Nella sua nota il presidente Urso sottolinea l’auspicio del Comitato di poter ascoltare il presidente del Consiglio sull’esito del G20 a presidenza italiana “che si avvia alla conclusione e che è stato caratterizzato, tra i diversi temi trattati, dall’esame di questioni di politica internazionale, sicurezza e difesa”. Infine, la prossima settimana sarà ascoltato il sottosegretario Franco Gabrielli anche nell’ambito dell’esame della Relazione semestrale sull’attività dei servizi di intelligence per il primo semestre del 2021.


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