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Vitti d’arte, Vitti d’amore. Il Festival del cinema di Roma celebra la grande attrice

È una bella dedica d’amore il documentario “Vitti d’arte, Vitti d’amore”, di Fabrizio Corallo, presentato al Festival di Roma sull’attrice e donna Monica Vitti che il 3 novembre compie 90 anni. Da venti anni assente dal set. Leone d’Oro alla carriera alla Mostra di Venezia nel 1995, stella intramontabile, è stata capace di trasformarsi, sorprendere e ammaliare, interpretando i personaggi della scena ma, in fondo, raccontando se stessa. In ruoli drammatici, romantici, comici

Nell’Italia in ripresa, Roma ha accolto, quest’anno, il Festival del Cinema come una festa speciale dello spettacolo e della cultura. Con un sentire e un entusiasmo diversi.

Dopo la lunga chiusura delle sale cinematografiche, ritorna il sogno e la magia del cinema “dal vivo”. Proiezione emotiva per ritrovare nel grande schermo divertimento e desideri, rimpianti ed emozioni, tra fragilità ed emozioni ancor più svelati dalla pandemia.

Alcune pellicole, in anteprima nella sedicesima edizione romana del festival, hanno già conquistato il pubblico e dominato la scena.

Affascina la centralità dei sentimenti nella vita dei protagonisti di film come “Promises” della regista Amanda Sthers, e “Mothering Sunday”, di Eva Husson. Viaggi nel tempo e nei ricordi scanditi dall’amore.

“Promises”, in sala dal 18 novembre, è un film di rimpianti sulla spirale della continua rielaborazione dei ricordi di Alexander (Pierfrancesco Favino) in una sorta di “limbo” interiore. Quando arriva il grande amore, travolge tutto. Ma non sempre è così. E i protagonisti di “Promises”, tra scelte che non riusciranno a compiere, vivranno la loro esistenza tormentati da un sentimento che li divora, in mancanza del coraggio che consenta loro di vivere una storia d’amore.

“Mothering Sunday”, tratto dal romanzo di Graham Swift (“È un giorno di festa”), è l’intensa storia d’amore e di passione tra una giovane cameriera orfana (Odessa Young) e il rampollo di una ricca famiglia (Josh O’Connor). Ritrae il sogno e la malinconia dell’amore, la poesia e l’energia. Approdo e conforto, “nuvola” segreta del calore dei sentimenti, per un idillio che non conoscerà lieto fine nel mondo reale.

Nell’Inghilterra del 1924, il film, in sala dal 19 novembre, è anche il racconto della non facile emancipazione femminile di una ragazza che diventa scrittrice per elaborare le proprie perdite mantenendo intatta la memoria dei ricordi.

Una bella dedica d’amore, nel Festival di Roma, è il documentario “Vitti d’arte, Vitti d’amore”, di Fabrizio Corallo, sull’attrice e donna Monica Vitti che il 3 novembre compie 90 anni. Da venti anni assente dal set.

Leone d’Oro alla carriera alla Mostra di Venezia nel 1995, stella intramontabile non solo per il grande talento, l’intelligenza, lo spirito di sacrificio e per il fascino della seduttività e della inconfondibile voce afona. È l’attrice capace di trasformarsi, sorprendere e ammaliare, interpretando i personaggi della scena ma, in fondo, raccontando se stessa. In ruoli drammatici, romantici, comici.

La Vitti ha dato dignità all’inquietudine e alla fragilità delle donne offrendo volto e ragione a un sentire lacerante, profondo e autentico di 47 ritratti femminili che resistono immutati nella memoria dello schermo e nella realtà ancora attuale. Una ricchezza disarmante e travolgente che rappresenta le contraddizioni e il mistero di amori vissuti, finiti, illusori, delusi.

“Perché devo avere sempre bisogno degli altri?” E ancora: “Sai cosa vorrei? Tutte le persone che mi hanno voluto bene averle qui davanti a me come un muro”, dice una Monica Vitti giovane e bellissima.

Donna dal carattere indomabile e incoercibile ma anche donna fragile dalla costante esigenza di essere “protetta”, ha detto del regista Michelangelo Antonioni: “Mi ha permesso di essere chi sono e mi ha dato fiducia. E quando è così puoi fare qualsiasi cosa. Mi faceva rispettare e amare la mia condizione di donna”. E ancora: “Era tutta la mia vita, perché mi sentivo estremamente sicura vicino a lui, poi mi guardava con degli occhi pieni di attenzione… In fondo è la cosa che cerchiamo tutti, che qualcuno abbia per te gli occhi dell’attenzione, quelli che si hanno poche volte nella vita”.

È la musa dell’incomunicabilità e dell’alienazione nei quattro film di Antonioni “L’avventura”, “La Notte”, “L’eclissi” e “Deserto Rosso”. “Storie nate dalla nostra vita privata”, come ha affermato, non sono solo film ma anche un modo per accettare la fragilità e la paura dei sentimenti per personaggi “passionali impauriti, forse delusi, ma pronti a ricadere nel vortice del quale non possono fare a meno”.

È poi regina della commedia all’italiana con Mario Monicelli, con “La ragazza con la pistola” (1968), in un susseguirsi di grandi successi, da “Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca” (Ettore Scola, 1970) a “La Tosca” (Luigi Magni, 1973), a “Amore mio aiutami” e “Polvere di stelle” (Alberto Sordi, 1969 e 1973), per citarne qualcuno, dove si intrecciano comicità, ironia e drammaticità. Con la naturalezza e la spontaneità di una grande artista e con il velo di malinconia della donna Monica Vitti che ha saputo rappresentare gli stati d’animo della vita nella sua gioia, sofferenza e mutevolezza.

Diva perfetta in ruoli brillanti accanto ad artisti come Sordi, Mastroianni, Giannini, Gassman, Manfredi, Tognazzi, per la Vitti la comicità è ribellione e riscatto rispetto all’angoscia della vita. L’ironia è il ponte di salvezza per accettare la realtà e trasformare la tristezza in energia.

A metà degli anni ’80, cominciano a diradarsi le sue apparizioni in pubblico. In una delle ultime interpretazioni, è ancora la Monica del dramma della fragilità e del dolore di una visionaria gelosia, nel film “Flirt” (1984), diretto dal marito Roberto Russo, l’uomo che sarebbe poi riuscito a proteggerla per il resto della vita, preservandola dalla sofferenza con un’attenzione totale. Con Russo è interprete di “Francesca è mia” (1986) e, nel 1990, è regista in “Scandalo segreto”.

“La gente la sentiva vicina, era entrata nel cuore di tutti”, dice Carlo Verdone nel documentario presentato al Festival del cinema di Roma. Aggiungendo: “È nel cuore di tutti”.

Monica è la storia dell’antidiva del cinema che ha detto di sé: “Sono una persona estremamente angosciata, triste, e nello stesso tempo allegra, trascinante, vitale. E tutto questo in modo molto estremo”. “Avevo bisogno che la gente mi amasse per quel che ero, senza maschere”.

La donna che ha fatto dell’angoscia, della paura e della fragilità la propria forza. “Se mi ritrovo sono perduta, se perdo la mia angoscia, la mia paura”, ha affermato nella consapevolezza della propria ricchezza interiore, sia pur tormentata.

Il silenzio, da tanti anni, di Monica Vitti, presenza iconica nella storia del cinema, è assordante. Nell’oblio di fatti e personaggi e, anche, di se stessa, la sua arte, sbocciata, a soli 14 anni, tra disagio e sofferenza, ha l’eco dolce e inarrestabile dell’amore che non finirà mai.

Grazie, Monica, per averci fatto ridere, sorridere, piangere. E credere, comunque, nell’amore.



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